Domenico Bianchi illumina la galleria Poggiali di Firenze
“Mehr Licht!”, ovvero “più luce”, avrebbe invocato Goethe in punto di morte. Un auspicio che Domenico Bianchi concretizza, in occasione della sua prima personale alla galleria Poggiali di Firenze, innescando un processo di “trasformazione” della materia in luce. Anche con il marmo
Attesa, meditata, quasi “sperimentale”: è una mostra senza precedenti quella con cui Domenico Bianchi debutta alla galleria d’arte Poggiali di Firenze. Non solo perché l’artista di Anagni, classe 1955, ripetutamente presente con i suoi lavori alla Biennale di Venezia, oltre che in sedi espositive nazionali ed estere, espone per la prima volta nello spazio fiorentino di via Benedetta. Proprio nella città che in questi mesi sta celebrando Donatello, maestro dello stiacciato, Bianchi sceglie di affiancare a una recentissima serie di opere realizzate con la cera, nelle quali applica la sua distintiva tecnica a una rinnovata gamma cromatica, due inediti interventi in marmo, anch’essi datati 2022.
LA MOSTRA DI DOMENICO BIANCHI A FIRENZE
Coerente è la traiettoria di ricerca che l’autore traccia, sia misurandosi con la pastosità della cera – materia “povera”, malleabile, precaria, sensibile al calore –, sia esordendo sulla superficie bidimensionale con il prezioso marmo bianco di Carrara, qui protagonista di un sofisticato sodalizio con i lapislazzuli. In tutte le opere esposte, infatti, la matrice di stampo geometrico diviene espressione di una visione “poeticamente cosmologica”, ovvero il riflesso dell’aspirazione verso una dimensione trascendentale e l’elemento propulsore di ciascuna composizione. Tutto, infatti, prende forma dal centro, per propagarsi con modalità autonome a partire da cerchi e circonferenze spezzate. Indipendentemente dalla materia impiegata, Bianchi procede con determinazione nel percorso di ridefinizione della superficie pittorica canonica. Nelle sue mani, le lastre marmoree e le porzioni in cera su fibra di vetro originano composizioni in cui la luce conquista porzioni di spazio a essa altrimenti recluse o inaccessibili: ci sono dunque “più luce”, più intensità, più fluidità. Un risultato reso possibile dalla profondità, a sua volta esito delle minime, ma fondamentali, variazioni di spessore: così facendo i lavori di Bianchi appaiono svincolati dalla definizione di “quadri” e in grado di incoraggiare inediti livelli di lettura, di relazione con lo spazio architettonico e con la componente luminosa che lo qualifica.
‒ Valentina Silvestrini
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