Paola De Pietri – Da inverno a inverno

  • SIMONDI

Informazioni Evento

Luogo
SIMONDI
Via Della Rocca 29, Torino, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Martedì - Sabato (15:00 - 19:00).
Mattino su appuntamento.

Vernissage
15/09/2022

ore 17

Artisti
Paola De Pietri
Generi
fotografia, personale

La galleria Peola Simondi è lieta di presentare una selezione di opere fotografiche dal progetto Da inverno a inverno di Paola De Pietri.

Comunicato stampa

La galleria Peola Simondi è lieta di presentare una selezione di opere fotografiche dal progetto Da inverno a inverno di Paola De Pietri.
Nell’arco di un anno, dal 14 febbraio 2019 al 13 gennaio 2020, Paola De Pietri ha percorso le campagne dell’Emilia-Romagna seguendo il susseguirsi delle stagioni. Il progetto, pubblicato nell’omonimo volume dalla casa editrice Marsilio nel 2021, è composto di 34 sequenze di immagini sia a colori che in bianco e nero, corrispondenti ad altrettante giornate dell’anno trascorso. Le fotografie di ogni giornata sono presentate in una installazione che disegna nell’alternanza dei pieni e vuoti la frammentarietà della nostra percezione e della complessità dei fenomeni.

Dal testo di Antonello Frongia, Documenti possibili, in Paola De Pietri, Da inverno a inverno, edizione Marsilio, 2021.

Sin dalle prime tavole, Da inverno a inverno di Paola De Pietri si presenta come un attraversamento della geografia e insieme come un viaggio nello sguardo, una sorta di diario di bordo che registra una lunga serie di esercizi di visione condotti nell’arco di un anno solare in luoghi e paesaggi rurali dell’Emilia-Romagna. Da un lato, questo impegnativo corpus fotografico ci propone per sintesi – attraverso micro-sequenze corrispondenti a giornate di lavoro in località identificate – un catalogo di quadri ambientali nei quali hanno luogo attività produttive fondamentali per l’economia e l’identità della regione. Dall’altro, sotto l’apparenza di una descrizione precisissima e insistita, si affaccia continuamente un dubbio non articolato, una pulsione del vedere che non corrisponde a nessun interrogativo finalizzato, ma che potrebbe tradursi con l’espressione: «Che cosa è qui?». Da una presa di posizione decisa nella vastità della geografia – per Paola De Pietri, un punto di vista spesso rialzato e chiarificatore, non di rado in un accenno di controluce – l’occhio riflette contemporaneamente sulla complessità dei segni che si dispiegano nello spazio («Che cosa c’è qui davanti?») e sull’atto stesso di osservarli («Che cosa significa qui?»).
A percorrere e animare Da inverno a inverno è questa tensione tra presenza e distanza, tra la soggettività dello sguardo e la precisione dell’immagine, tra l’io implicito di un osservatore nascosto e l’autoevidenza del paesaggio. Paola De Pietri si colloca nel solco di un pensiero saggistico che nel contatto materiale con il mondo, nel tastare l’esterno con piedi mani occhi, trova motivo e necessità per una riflessione informata sul proprio andare e sul nostro essere nei luoghi.

[…] Lo sguardo di Paola De Pietri non si confronta solo con temi e soggetti del paesaggio rurale già sedimentati nella coscienza collettiva – l’aia, la stalla, gli animali da allevamento, la casa colonica, il silo per i mangimi, la serra, le trame colturali, l’orografia – ma si sofferma regolarmente su configurazioni e strutture più complesse, osservate da una distanza calibratissima che condensa per lo spettatore (attraverso un’utile finzione) l’esperienza del camminare e la sospensione chiarificatrice della visione aerea. Così nelle ampie vedute strutturare attorno alle linee della maglia viaria, ma anche delle osservazioni più dettagliate di una via poderale, o nella piega di un semplice sentiero, le fotografie non declinano mai verso l’evocazione romantica di un infinito ignoto, ma restituiscono il senso pregnante di un paesaggio percorso nei secoli dai corpi e dai mezzi, battuto dagli usi e dalle consuetudini, misurato dalle necessità e dalle giornate di lavoro, forse anche banalizzato dallo streamlining della modernità industriale, ma sempre pienamente vissuto e vivente.
Analogamente, la generale assenza di persone in questo viaggio da inverno a inverno non corrisponde a una sospensione elegiaca nel tempo ideale del «c’era una volta». Nella leggerezza dei grigi non si gioca il trucco pittorico di un tonalismo avvolgente e mistificatorio, ma si ritrova uno sguardo ancora una volta esattissimo, persino cerebrale, nel cogliere la materia di una luce che struttura il paesaggio non meno di strade ed edifici, strumento di misura del qui e ora, cesello che per via di levare dà splendore alle cose.

Il colore interviene a tratti, improvviso, chirurgico, a dissipare ogni tentazione di caduta nell’inganno di un “sentimento oceanico”. Allo stesso modo, frammenti incongrui del paesaggio come “bene immobiliare”, identificati nel vivo di un mondo rurale a prima vista immutato, si inseriscono nel silenzio del viaggio come schegge di vetro infilate in un meccanismo che scorre: la linea di demarcazione di un muretto in calcestruzzo con rete zincata spezza la continuità della terra per stabilire il confine della proprietà privata; un muro con inferriata in ferro battuto si incunea sull’erba creando il nuovo qui di un giardino all’inglese.