Marco De Sanctis – La Chute
NOVO – lo spazio sperimentale indipendente della galleria Eduardo Secci -, presenta la mostra “La Chute” di Marco De Sanctis, a cura di Edoardo Monti.
Comunicato stampa
A Firenze, dal 27 maggio al 10 settembre 2022, NOVO - lo spazio sperimentale indipendente della galleria Eduardo Secci -, presenta la mostra “La Chute” di Marco De Sanctis, a cura di Edoardo Monti.
Frutto del lavoro di oltre un anno, la personale “La Chute” (La Caduta) raccoglie un corpo di opere interamente inedito che spazia tra pratiche diverse: scultura, pittura, incisione e anche fusione. Alle tecniche di restauro - punto di partenza della ormai consolidata serie Marine -, si unisce la conoscenza di materiali come bronzo e marmo, sapientemente declinati nel genere della natura morta, come in Vanitas, ma anche in lavori dai toni più solenni come Icona e Fallite Fallentes.
Affondando le radici nel passato - della storia dell’arte, come il richiamo romantico all’idea di “frammento”, e del trascorso personale, che emerge dalla continuità dei lavori nel corso degli anni -, l’indagine di De Sanctis è il risultato di un continuo processo di rielaborazione dell’immagine.
Difatti, all’interno della mostra rimane centrale la riflessione sulla potenzialità dell’immagine, la decadenza e il tempo. Accostando opere concettualmente nuove a ricerche pregresse, “La Chute” ripercorre il percorso artistico di Marco De Sanctis, costituendo un momento di sintesi della ricerca finora svolta e punto di partenza per quella a venire.
La mostra sarà visibile anche on-line: www.novo.ooo/it/exhibitions.
Marco De Sanctis (1983, Milano) vive e lavora a Bruxelles. L'artista ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Brera, all’Hogeschool Sint-Lukas e all'Accademia Reale di Belle Arti di Bruxelles. La sua ricerca affronta questioni relative al concetto di immagine e al processo creativo o alla sua costruzione, attraverso le relazioni che si sviluppano tra il disegno, le diverse tecniche e l'ambiente circostante. Le sovrapposizioni sono seguite da tratti pazientemente realizzati che segnano il passare del tempo e creano nuovi ricordi, tracce e immagini. Tra gli spazi espositivi che hanno presentato le sue opere: Bozar a Bruxelles (2021), Mana Contemporary a Jersey City (2020), Palazzo Monti a Brescia (2019), Jewish Museum a Bruxelles (2012) e MAAC - Maison d'Art Actuel des Chartreux a Bruxelles (2012).
Edoardo Monti è il fondatore di Palazzo Monti a Brescia e curatore.
La Chute
Marco De Sanctis
Testo curatoriale di Edoardo Monti
Distruzione e creazione. Tecnologie antiche e moderne. Materiali eterni ed effimeri. Bruxelles e Milano. Dicotomie equilibrate, quelle di Marco De Sanctis (Milano, 1983). L’intera pratica dell’artista milanese, che da anni vive e lavora in Belgio, affonda le radici nel passato, squarcia e ricuce con chirurgica precisione, ci catapulta nel presente e oltre, verso il futuro, un futuro possibile, si concentra sui dettagli - e quanti diavoli, nei dettagli di De Sanctis.
La Chute (La Caduta), mostra personale presso gli spazi fiorentini di NOVO, project space di Eduardo Secci, presenta nove lavori inediti di Marco De Sanctis, realizzati nel corso di un anno di intensa produzione. Pittura, scultura, fusione, incisione e disegno rispondono all’appello, ci accompagnano nel laboratorio dell’artista, mostrandoci la poliedricità esecutiva e di pensiero di De Sanctis.
Si parte con Marine, appartenente ad una celebre serie che l’artista prosegue da anni. Siamo di fronte ad un gesto diretto, irrimediabile. La tecnologia, amata da De Sanctis in tutte le sue forme e discipline, importante motore della creazione, non serve solo a concretizzare idee e manifestarle nel mondo materiale, bensì funge lei stessa da motrice che muove concetti e conduce verso nuove direzioni. Oggetto di ricerca per Marine è la pittura, nel suo aspetto materiale e fisico, prima ancora che la composizione finale. Applicando tecniche da restauratore, De Sanctis rimuove chirurgicamente l’originale strato pittorico di tele antiche, acquistate da mercanti d’antiquariato, cancellando l’immagine dipinta per crearne una nuova. Vengono erosi tutti gli strati di pittura e vernici superficiali, esponendo la fragile trama della tela stessa. L’intervento è preceduto da passaggi meticolosi: indagine, messa in sicurezza, foderatura, pulitura, consolidamento e formatura del colore, interventi al supporto ligneo, reintegrazione e protezione finale. Poco sopravvive della tela originale, restaurata e subito annichilita. Rimangono solo frammenti, un ricordo. Frammenti che tuttavia danno vita ad un’altra immagine: un mare in tempesta, la silhouette di un veliero in balia delle onde. Rimuovendo questo paesaggio, De Sanctis ne afferma l’esistenza. Evidenziare, cancellando.
To dive è un vecchio paravento che presenta un intervento figlio dell’esperienza con le Marine, e porta con sé un elemento autobiografico. Il paravento ci protegge, crea uno spazio intimo, ci scherma da schizzi immaginari di un tuffo che forse è una caduta volontaria, controllata. Tanti i riferimenti al passato, storico e privato: il tuffatore di Paestum, il ’Salto nel vuoto’ di Yves Klein, un tuffo vero, pericoloso, avvenuto troppo presto nel processo di riabilitazione ad un infortunio alla spalla. Tuffandoci, attraversiamo in pochi secondi terra, aria, acqua. Un rito di passaggio, tra la vita e la morte e la vita ancora.
Entra in scena Forme uniche della continuità nello spazio, bronzo il cui titolo è un chiaro riferimento alla celeberrima opera del Boccioni, presente anche sui 20 centesimi italiani. Questo carotaggio di Oceano, in bronzo patinato, esprime la volontà di confrontarsi con il Futurismo, e risponde alla domanda che nasce dall’analisi pura del solo titolo dell’opera, dimenticandosi per un attimo della sua forma fisica. Ebbene, un Oceano in tempesta, quando nessuno lo vede, rappresenta alla perfezione la forma unica della continuità dello spazio, la compenetrazione tra il mondo liquido, solito, gassoso.
In 2021- 2022, i rami spinosi di una mora selvatica, endemica del centro urbano di Bruxelles, vengono strappati ai muri cittadini che stavano infestando, sono potati, persi nella fusione, saldati e patinati in verde a freddo. Tornano ad impossessarsi di una parete, quella della galleria, auto-definendosi opere d’arte, erigendosi al pari di bronzi museali. Ed è proprio l’utilizzo di questo nobile metallo a celebrare la rinascita, simbolicamente rappresentata da una pianta selvatica, che si impossessa di tutto e tutti senza discriminazione, si protegge con spine affilate, ora eterne e repellenti, rese tali dalla fusione. Un filo spinato naturale, un monito, una forma di protezione, una pianta forte che ci racconta: per ogni caduta, una rinascita. Una natura morta, nel verso senso della parola, che celebra un ciclo vitale inarrestabile.
Fallite Fallentes, recitava Ovidio nell’Ars Amatoria, rivolgendosi agli amanti e considerando l’amore una guerra spietata in cui il fine giustifica i mezzi, onesti o sleali che siano. L’opera, intitolata proprio come l’incitazione di Ovidio, dialoga con una celebre storia narrata dal poeta romano nelle Metamorfosi, quella del pastore Batto e del dio Mercurio, che punisce il povero mortale trasformandolo in una pietra, a seguito di una delazione subito scoperta. La frase, incisa su una sfera di marmo di 40 cm di diametro e il cui peso si avvicina proprio a quello di una persona adulta, viene in potenza impressa a terra ancora e ancora ad ogni rotazione. Torna l’attenzione al dettaglio, su cui De Sanctis si focalizza all’ennesima rilettura di un testo che quasi conosce a memoria. La sfera è una forma pura, inneggia alla perfezione, sapienza e conoscenza. Il peso esagerato non le garantisce stabilità, anzi la priva di esso, e ruotando non sempre sullo stesso asse dona al suolo lettere e parole composte senza cognizione, invitandoci a tornare a quella frase potente e quasi violenta, che porta con sé un altro significato, profondo, saggio, moralizzante.
Ancora bronzo, tanto caro alla pratica di un artista-restauratore-artigiano-studioso. Requiem for the sea, fiamme di candela forse già spente, la cui delicata esistenza è manifestata dalla presenza di fuliggine sulla parete bianca. Candele votive, fiaccole esauste, ex-voto dedicati al mare, senza il quale non possiamo vivere e senza il quale la pratica di De Sanctis sarebbe tutt’altra cosa. Un ricordo d’infanzia, gli ossi di seppia venivano raccolti in spiaggia e su di essi incisi scarabocchi, puro carbonato di calcio ora reso eterno dal bronzo lucido. Si celebra la preghiera, la riflessione, la meditazione, temi invece assenti in Vanitas (limone tagliato), natura morta che perpetua un gesto nobile, capriccioso: un limone viene tagliato di netto, appoggiato ad una mensola, fine. Il limone appena consumato evapora nei calori del forno, avvolto dalla terra refrattaria, si trasforma in metallo e si guadagna un posto nell’eternità. Questo strano frutto, acido e anch’esso protetto da rami spinosi, si trasforma in oggetto decadente, perennemente caduco.
In Icona ci illudiamo di guardare cornici dorate, geometrie concentriche di marmo nero belga. Come nelle icone ortodosse, dove non osserviamo la rappresentazione di una divinità ma LA divinità, ci rendiamo conto che non si può vedere solo con gli occhi ma anche con la mente. Ci vuole predisposizione, fede, una conoscenza trasversale, non verticale. De Sanctis apre una finestra, elogiando la cornice e la sua funzione, sbloccando un processo mentale come Pavel Florenskij fece in ‘Le porte regali’, saggio sul mondo della pittura di icone che in mancanza di esso sarebbe per sempre incomprensibile se lo si avvicinasse con i consueti strumenti della critica d’arte. De Sanctis denuncia la falsa conoscenza, invitandoci ad analizzare il mondo con sensi altri a quelli corporei, con la fiducia.
In conclusione, La Chute, incisione settecentesca installata su tavola di legno che presenta un intervento a disegno ad inchiostro, e condivide il suo titolo con quello della mostra. Esattamente un anno fa, De Sanctis cade dalla bici, si rompe la spalla sinistra, la vita cambia in un istante: evade la temporanea disabilità inventandosi un nuovo modo di pensare, non potendo fare altrimenti. Nasce il lavoro su San Michele, su Satana dominato, un angelo caduto che subisce una violenza inaudita. Il giavellotto affilato, letale del Santo viene allungato, esce dalla superficie stessa dell’incisione, esplodono le proporzioni, si avvicina alla nostra dimensione, possiamo quasi afferrarlo. Se prima San Michele ci sembrava inarrestabile, eternamente protetto dalla corazza d’oro, elegante nell’iconografia di Raffaello, ora ci pare vulnerabile, patetico nel tentativo di controllare un’arma grande tre volte tanto. Satana, il caduto, il ribelle, ha una nuova chance. Per ogni caduta, c’è sempre una rinascita.
La galleria Eduardo Secci si trova a Firenze, dove è stata fondata nel 2013, e a Milano con due sedi inaugurate nel 2021 e 2022. Il suo doppio programma affianca alle mostre della galleria d’arte le proposte espositive dello spazio sperimentale indipendente NOVO.