Quale futuro per i musei di Milano? Parola al direttore appena nominato Gianfranco Maraniello
La rete di istituzioni che compone il Polo museale del Moderno e Contemporaneo di Milano pone sfide e opportunità decisive per l’offerta culturale della città nel futuro prossimo. Il neodirettore ci racconta la sua visione sui musei e sul loro ruolo in questa intervista.
Museo del Novecento, GAM Galleria d’Arte Moderna, Palazzo Morando | Costume Moda Immagine, Casa Museo Boschi Di Stefano e Studio Museo Francesco Messina: sono i musei che costituiscono la rete del Polo museale del Moderno e Contemporaneo di Milano, voluto dalla nuova amministrazione comunale nella persona di Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura, nell’ambito di una riorganizzazione dell’offerta culturale della città. A dirigere questa realtà – fresco di nomina – è Gianfranco Maraniello, critico e storico dell’arte di chiara fama con ampia esperienza nel mondo della curatela e dei musei. Un compito che si preannuncia ricco di sfide legate alla gestione di un considerevole patrimonio storico, artistico e culturale e di una città che sta attraversando un momento intenso di riqualificazione, sviluppo e slancio verso il futuro. Il neodirettore ci ha spiegato la sua visione del panorama museale della Milano dei prossimi anni.
A caldo. Qual è la tua strategia su questa rete di musei che ti appresti a dirigere? Dove li porterà la tua visione?
Si tratta di cinque musei, alcuni dei quali centrali per una visione strategica in parte già annunciata, in parte tutta da costruire. Mi riferisco per esempio all’espansione del Museo del Novecento nell’Arengario, oppure alla potenzialità non ancora pienamente espressa di Palazzo Morando, per una tematica così centrale per l’immaginario di una città come Milano. Ci troviamo di fronte a due casi di musei che necessitano di una visione più ampia di sviluppo, con un impatto addirittura sul piano urbanistico, paesaggistico e simbolico. Sono consapevole che ci ritroviamo di fronte a un momento strategico di ripensamento complessivo del valore culturale di una città già in un momento straordinario. A livello globale, Milano è una città che presenta molti aspetti di desiderabilità, oltre a un importante patrimonio. È ora di esprimere questa consapevolezza nei gesti e nelle azioni a venire, quindi pensare davvero in grande.
In che modo questo potrà accadere?
Portando al centro dell’attenzione planetaria le vicende storiche e artistiche della città. Penso al tema del Novecento e alle collezioni che stanno convergendo su questa città, a una Brera che inaugurerà Brera Modern… Quello che serve è costruire una trama percepibile e comunicabile che contribuisca a livello identitario a capitalizzare le grandi energie che ci sono state, che ci sono e che ci saranno nei prossimi anni. Un’occasione di pensare i musei all’interno di dinamiche ampie, anche più della visione di un singolo direttore, che in questo caso si pone come interlocutore tra le istituzioni assieme al suo team. Sono davvero a disposizione delle ambizioni di questa città con grande forza d’animo ed entusiasmo.
Quindi possiamo dire che la città sarà il tema centrale che potrà costituire un legame concettuale tra queste istituzioni, così diverse l’una dall’altra.
Certo, ma sempre tenendo a mente che la città in questione non è ascrivibile a una sorta di auto-narrazione. Milano offre un patrimonio di storie, valori e temi di interesse planetario! Bisogna avere il coraggio di pensare in una scala che non è solo quella della gestione dei musei. Questi diventano strumenti di costruzione di visione.
A proposito di Palazzo Morando, che hai nominato più volte, mi sembra il punto di partenza per parlare di un vuoto sorprendente per una città di Milano, alla quale manca un vero Museo della Moda. Qual è il tuo punto di vista in merito? Cosa succederà a questa sede?
Dire cosa accadrà è prematuro. È importante, invece, che ci sia una riflessione, bisogna anche avere l’umiltà di domandarsi perché questo non sia mai capitato… non penso che nessuno si sia mai accorto prima di questa mancanza! Bisogna allora capire come far coincidere il museo con un ruolo che non riguarda solo la sua struttura museale, ma anche quale contributo valoriale può dare a un sistema diffuso, ampio, dove esistono già molti attori importanti sul tema. La dimensione pubblica di un museo riguarda non soltanto l’allestimento di sale museali: una progettualità va costruita anche nell’autentico dialogo con gli interlocutori di questo tipo di piattaforma.
Un modus operandi che non riguarda solo un museo della moda…
In generale, penso che i musei lo debbano fare sempre, costruendo le occasioni di opportunità collettive. Penso, ad esempio, a quando a Bologna nacque ArtCity, l’artweek che si svolge tutt’ora in occasione di ArteFiera, coordinata dal museo MAMbo che ha preso le redini dell’iniziativa sfruttando il desiderio della città di autorappresentarsi e creando di fatto un modello di sviluppo.
Passiamo alla Galleria d’Arte Moderna: sta per tornare nelle sue sale il Quarto Stato. Quali sono i cambiamenti che immagini per questa realtà?
In merito al ritorno del Quarto Stato non ho problemi ad affermare che ne sono felice. Avevo già espresso (prima della mia nomina) l’idea che l’opera tornasse alla Galleria di Arte Moderna dopo l’esposizione di Firenze. Credo ci siano molte buone ragioni e anche opportunità di questa scelta, ad esempio quella di creare un ponte tra GAM e Museo del Novecento che l’ha ospitata negli ultimi anni. Non ho mai amato la precedente collocazione… se c’è un quadro che spazialmente e a livello di allestimento va ben oltre il proprio perimetro è il Quarto Stato, come se proseguisse ai suoi lati espandendosi.
Penserete, in questa occasione, a una riorganizzazione delle collezioni di GAM? Molte opere, anche di forte importanza storica e artistica, non vengono ad oggi adeguatamente valorizzate dal contesto espositivo…
L’importanza della dimensione allestitiva nella valorizzazione delle opere è un tema appassionante e decisivo. Che cosa accadrà? Io credo molto nel rispetto delle competenze, sono un interlocutore disponibile a pensare assieme a chi i musei li conosce da più tempo, portando uno sguardo, un dialogo rinnovato anche sulle scelte di allestimento. Ma è molto prematuro parlarne, di certo se lo faremo lo faremo in maniera condivisa con il team del museo, lo presenteremo assieme e ne spiegheremo anche le ragioni.
-Giulia Ronchi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati