Inquietudine e rinascita nella mostra di Anish Kapoor a Venezia

Dagli oggetti geometricamente perfetti alle escrescenze monumentali, sessanta opere di Anish Kapoor compongono la sua doppia mostra veneziana alle Gallerie dell’Accademia e a Palazzo Manfrin

Dopo le mostre dedicate a Mario Merz, Philip Guston e George Baselitz, le Gallerie dell’Accademia di Venezia scelgono Anish Kapoor (Mumbai, 1954) per il quarto incontro con l’arte contemporanea che avviene in concomitanza con la Biennale di Cecilia Alemani.
Questa grande retrospettiva, a cura di Taco Dibbits, è stata pensata per essere ospitata in due sedi espositive che si trovano ai lati estremi della città. Oltre alle sale delle Gallerie, infatti, è Palazzo Manfrin a completare la rassegna. Si tratta di due luoghi molto diversi ma legati da una storia comune: la collezione di dipinti che apparteneva originariamente alla famiglia Manfrin dal 1856 costituisce uno dei nuclei fondamentali delle Gallerie dell’Accademia. Il palazzo è attualmente la sede della Anish Kapoor Foundation e, oltre ad accogliere alcune opere più note dell’artista, farà da cornice a mostre e seminari dedicati alla scena contemporanea.

Anish Kapoor. Exhibition view at Gallerie dell'Accademia, Venezia 2022. Photo © Irene Fanizza

Anish Kapoor. Exhibition view at Gallerie dell’Accademia, Venezia 2022. Photo © Irene Fanizza

KAPOOR E VENEZIA

Sento un profondo legame con Venezia”, ha dichiarato l’artista durante la conferenza stampa alle Gallerie dell’Accademia. Un legame radicato nella particolare configurazione della città, che evoca sentimenti opposti, tra lo sprofondare e l’emergere. Due poli che ritroviamo anche in questa mostra, dove bellezza e violenza sono fortemente intrecciate. Un percorso che oscilla dalla luce all’ombra, metaforizzando il mistero della vita e il dramma della morte. Definito dall’intellettuale e critico Homi K. Bhabha “il signore che sta nel mezzo”, Anish Kapoor viaggia nel mezzo di una ricerca tra pittura e scultura, tra consistenza materiale e illusione, tra realtà e finzione.

Anish Kapoor. Exhibition view at Gallerie dell'Accademia, Venezia 2022. Photo © Irene Fanizza

Anish Kapoor. Exhibition view at Gallerie dell’Accademia, Venezia 2022. Photo © Irene Fanizza

LA MOSTRA DI KAPOOR ALLE GALLERIA DELL’ACCADEMIA

Colore, luce, prospettiva e spazio sono le basi del dialogo ideale tra la ricerca presentata da Kapoor e le opere a fondo oro della Sala I delle Gallerie dell’Accademia, dedicata alla pittura veneziana del Trecento e dei primi decenni del Quattrocento. Qui l’artista presenta uno degli ultimi lavori creati con il Kapoor Black – un materiale che in origine si chiamava “Vantablack” ‒, mettendo in atto una contrapposizione frontale molto forte che da un lato accentua la massima luminosità e dall’altro l’oscurità assoluta.
Trattandosi di un pigmento in grado di assorbire più del 99,9% della luce visibile, nel 2016 l’artista, da sempre interessato al “mondo di sotto”, ne ha acquisito i diritti per l’utilizzo esclusivo dalla società inglese che lo produce, la Surrey NanoSystem.
Pitture e sculture si alternano nel provocare un profondo senso di disagio che inizia con Shooting Into the Corner: l’artista colloca all’interno di una sala un cannone che spara proiettili di cera rossa da undici chili ciascuno. Percorrendo gli altri spazi si avverte un forte richiamo alla “madre”, al mistero del concepimento e della nascita. Questo è evidente osservando, ad esempio, l’opera Pregnant White Within Me, per la quale l’artista è intervenuto sulla parete dell’edificio distorcendola con un rigonfiamento.

LA MOSTRA DI KAPOOR A PALAZZO MANFRIN

A Palazzo Manfrin la seconda parte della mostra si apre con Mount Moriah at the Gate of the Ghetto, una monumentale escrescenza in silicone e vernice che, pendendo dal soffitto, occupa un enorme spazio al centro dell’androne. Successivamente, con Internal Objects in Three Parts, diventa ancora più evidente una delle intenzioni dell’artista: quella di intraprendere un viaggio dentro il corpo. Proseguendo verso altre opere iconiche, come White Sand, Red Millet, Many Flowers del 1982, il percorso continua con una serie di opere specchianti e altre che si riallacciano ai temi presenti alle Gallerie dell’Accademia. Ci si raduna poi attorno a una grande installazione che richiama, forse, la morte meccanizzata e l’Olocausto: uno dei nastri trasporta mattoni di cera rosso sangue verso una fornace simboleggiata da un disco rosso incandescente (Symphony for a Beloved Sun, 2013).
È in mostra la terribilità, come suggerisce Norman Rosenthal nel suo saggio in catalogo, definendo questo termine come “una qualità artistica che scuote il cuore, attacca i nervi e ti fa digrignare i denti”. Sensazioni che Kapoor riesce a scatenare non solo attraverso l’utilizzo sapiente di colori come il nero e il rosso, ma anche con la dimensione degli oggetti esposti: opere immense che disorientano ma anche opere piccole che fanno percepire qualcosa che affiora da un’impenetrabile profondità.
Secondo Kapoor l’oggetto d’arte deve essere pericoloso perché solo così può sprigionare il suo valore potenzialmente salvifico. L’artista ci chiede, dunque, di accettare di vedere le nostre paure più orribili percorrendo con lui gli abissi dello spazio-tempo.

Donatella Giordano

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Donatella Giordano

Donatella Giordano

Nata in Sicilia, vive a Roma dal 2001. Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, dove nel 2006 ha conseguito il diploma di laurea con una tesi che approfondiva la nascita dei primi happening e delle azioni performative…

Scopri di più