I maestri dell’artigianato che si sono distinti nella seconda edizione di Homo Faber a Venezia
L’alta sartoria, il micromosaico, l’antica tecnica della tintura del kimono, il restauro delle imbarcazioni d’epoca: Homo Faber ha portato per tre settimane sull’isola di San Giorgio il meglio dell’artigianato mondiale. Ecco i maestri che ci hanno colpito di più
La seconda edizione di Homo Faber che si è svolta nell’Isola di san Giorgio Maggiore a Venezia, ha visto convergere i maestri delle arti e dei mestieri depositari di tecniche antiche e rare, da ogni parte del mondo, con un particolare focus sulla tradizione giapponese. Homo Faber rappresenta un’iniziativa illuminata, nata per impulso della Michelangelo Foundation for Creativity and Craftmanship, grazie alla personalità di Alberto Cavalli – Direttore esecutivo della Fondazione – con l’obiettivo di promuovere un futuro più umano e sostenibile. Una riflessione concreta, guidata da icone dell’artigianato mondiale, sul valore di un oggetto fatto a mano, o della parola che diventa poesia. Forme di bellezza e veicolo di un significato, il cui valore si tramanda attraverso l’arte e la memoria.
HOMO FABER E LA NUOVA GENERAZIONE DI MASTER OF ARTISANS
Quando parliamo di luxury goods non si può scindere il concetto di bellezza dalla sua forza narrativa, dalla sua storia e dal suo significato. Con quest’obiettivo, maison, con una storia d’eccellenza come Cartier, sono state rappresentate a Homo Faber dai suoi maestri – artigiani custodi di tecniche rare e preziose – come Philippe Nicolas. Negli storici spazi della Fornace Orsoni – l’ultima fornace storica di Venezia che utilizza gli stessi metodi dal 1888 per produrre mosaici a foglia d’oro 24K, oro colorato e smalti veneziani in più di 3.500 tonalità – entriamo in contatto con l’anima più profonda del saper fare delle maestranze di Cartier, dai suoi micromosaici alla glittica di cui è grande maestro Philippe Nicolas, responsabile della sua diffusione alle nuove generazioni. È qui che scopriamo la magia della nascita di un’ispirazione, suggerita dall’elemento primario. “La pietra.Da qui nasce ogni progetto”, afferma ci racconta Nicolas. E poi il gesto magistrale, la competenza, il savoir faire.
THE HOMO FABER WAY ALLA FONDAZIONE CINI
Un excursus in cui il lusso, grande protagonista di queste stanze, non ha a che fare con il suo nome o il suo prezzo, ma esclusivamente con il valore che risiede dietro al lavoro delle persone e le loro tecniche. Dall’alta sartoria di Dolce & Gabbana che mostra il tempo necessario (ovvero 20 giorni) per la produzione di un singolo abito sartoriale lavorato rigorosamente da una sola persona, alle borse in mosaico di pelle di Serapian, intrecciate a mano, con una tecnica che ha le sue origini nel 1947, da 4 maestre artigiane che firmano ogni borsa con un’etichetta del proprio colore; la tecnica “velours au sabre” di Hermes per creare a mano un delicato motivo velluto sulla seta dei suoi foulard; e ancora l’antica tecnica giapponese Yuzen per la tintura Kimono che risale al XVII secolo, per la quale viene utilizzata una pasta di riso in più di venti passaggi (da venti persone diverse in un tempo che va dai 3 ai 6 mesi), una tecnica che fissa il colore su determinate zone e con intensità e sfumature diverse. ARTIGIANATO FRANCESE E IMBARCAZIONI D’EPOCA A HOMO FABER The house of Lemarié, fondata da Palmyre Coyette nel 1880 e oggi, uno dei pochi plumassier rimasti a Parigi, in una riproduzione di un pezzo della collezione di Chanel con file di petali e cristalli Swarovski cuciti a mano. La pendola Atmos di Jaeger Le Coultre, il cui sistema di moto perpetuo è in grado di adattarsi in base alle variazioni della temperatura, grazie alla contrazione ed espansione di una miscela di gas. Evento nell’evento, i visitatori hanno avuto l’occasione di visitare il Teatro Verde, il famoso anfiteatro di 1500 posti che è stato oggetto di una importante azione di recupero e restauro grazie alla partnership con Cartier, che ha riportato alla luce l’architettura originaria, la qualità dei materiali e tutta la struttura botanica circostante. I visitatori hanno, inoltre, avuto modo di salire sulla leggendaria Eilean (“Little Island” in gaelico), il leggendario yacht del 1936 di costruzione scozzese, sapientemente restaurato da un maestro artigiano italiano per volontà dell’allora AD di Officine Panerai Angelo Bonati. Un atto d’amore, anche questo, che ha regalato all’imbarcazione una seconda vita e al pubblico di poter ammirare la sua bellezza in ogni dettaglio.
– Rosamaria Coniglio
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