Con la mostra Arbeitskreis 1972-2022. Un’esperienza costruttiva europea (fino al 5 novembre) si inaugura a Varese la nuova stagione espositiva della Fondazione Marcello Morandini.
La collettiva raccoglie opere storiche e contemporanee degli artisti del gruppo Iafkg (Internationaler Arbeitskreis für Konstruktive Gestaltung ‒ Centro internazionale di studi d’arte costruttiva), attivo per una decina di anni a partire dal 1972 con l’organizzazione di una quindicina di simposi. “Non si tratta di un’esposizione di opere monumentali, ma piuttosto di grafica e documenti di un movimento molto attivo fra gli Anni Settanta e Ottanta: sono esposte oltre 40 opere di 20 artisti provenienti da 16 nazioni”, racconta Marcello Morandini.
Il gruppo Iafkg ha fatto “da catalizzatore per tutti coloro che avevano dell’arte costruttiva un’idea che andasse oltre il Costruttivismo, ovvero che superasse il concetto che ‘costruttivo’ fosse un aggettivo talmente storicizzato da poter essere attribuito soltanto alle Avanguardie Storiche. Invece, l’arte costruttiva – allo stesso modo dell’espressionismo, a mio parere – non è un movimento cristallizzato nella storia, ma piuttosto un’‘attitudine’ artistica che si rinnova continuamente, dopo che storicamente (quello sì…) si è liberato il campo dal concetto tradizionale di rappresentazione”, scrive Marco Meneguzzo nel volume che accompagna la mostra edito da Silvana Editoriale e che uscirà a luglio. Una tradizione ispirata dal Costruttivismo russo e dal Neoplasticismo olandese che vede riunite a Varese le opere di alcuni artisti del gruppo come José & Béatrice Bréval, Ewerdt Hilgemann & Antoinette De Stigter, Peter Lowe, Matti Kujasalo, Marcello Morandini, Alberto Zilocchi, Fraçois Morellet e molti altri.
LA STORIA DI MARCELLO MORANDINI
Nell’itinerario espositivo non poteva mancare il padrone di casa, Marcello Morandini (Mantova, 1940), che lo scorso autunno ha inaugurato nell’ex Villa Zanotti, un gioiello Liberty nel centro di Varese, la Fondazione che porta il suo nome. Nata nel 2016 per promuovere e valorizzare le opere d’arte e di design di uno degli artisti più rappresentativi dell’Arte concreta in Europa, dopo oltre tre anni di lavoro curati dall’architetto Corrado Tagliabue la Fondazione ha trovato sede nella villa. Quasi mille metri quadrati articolati su quattro piani e un grande parco con alberi secolari e piante esotiche. Ora la memoria storica dell’edificio si integra con gli spazi museali, dove si può ripercorrere tutto l’itinerario artistico di Morandini iniziato nel 1964 e che già nel 1965 si concretizzò a Genova in una prima mostra personale, curata da Germano Celant. Nel 1967, su iniziativa di Gillo Dorfles, Morandini viene invitato alla IX Biennale di San Paolo in Brasile e nel 1968 ha una sala personale nel padiglione italiano alla Biennale di Venezia. Sono gli inizi di un cammino che più che in Italia ottenne subito riconoscimenti all’estero, in particolare in Germania. Nel 1977 è invitato a Documenta 6 di Kassel, nel 1988 progetta una scultura esterna per il museo di Ingolstadt. Del 1993 è la prima importante mostra antologica, arte e design, al Museo Die Neue Sammlung di Monaco. E poi, negli anni, interventi e mostre a Ludwigshafen, Weissenstadt, Venezia (Ca’ Pesaro), Norimberga, Bayreuth, Roma (Galleria d’Arte Moderna), solo per citare alcuni momenti significativi.
LA FONDAZIONE MORANDINI A VARESE
La mostra che riapre al pubblico la Fondazione è stata l’occasione per un incontro con Marcello Morandini a cui chiediamo come è nata l’idea della Fondazione.
“Dal desiderio di riunire la mia produzione artistica, almeno i pezzi più significativi, sotto uno stesso tetto. Ma tutto questo non si sarebbe potuto realizzare senza la generosità di due americani di origine europea che vivevano a Lucerna, appassionati di musica e di arte. Li ho conosciuti tramite Philip Rosenthal durante un pranzo a Villa d’Este: ci hanno offerto 1,6 milioni di euro per aprire il museo. Ma quei soldi non bastavano e allora io e mia moglie Maria Teresa siamo andati a Lucerna e i milioni sono diventati tre tramite una fondazione”.
La foto dei due mecenati che nel frattempo sono mancati la si scopre durante il percorso espositivo nella villa. In un altro angolo compare la litografia con il ritratto di Philip Rosenthal, opera di Andy Warhol. La seconda metà degli Anni Ottanta per Morandini è un momento di intensa collaborazione con Rosenthal a Selb, fino ad arrivare alla progettazione della facciata di 64 metri per il nuovo edificio amministrativo dell’azienda.
“C’era un gran via vai di artisti attorno a Rosenthal, da Warhol a Lichtenstein, da Dalí a Morellet, erano anni molto stimolanti. Rosenthal mi chiese un alfabeto coloratissimo da usare sui prodotti della sua azienda di ceramica. Mi sono divertito moltissimo a creare quello specialissimo abbecedario. Ricordo una crociera da Vienna a Budapest con Rosenthal e tutti gli artisti in cui si misero a punto molti progetti creativi”.
IL DESIGN SECONDO MORANDINI
Da allora la tecnologia, soprattutto per il design e le arti applicate, ha modificato molto gli stili di lavoro, ma Morandini è rimasto fedele al suo modo di operare.
“A me serve un tavolo, una penna, una squadra e un tecnigrafo. Preparo disegni che possono poi diventare definitivi, se necessario anche modellini in carta. Poi faccio fare un rendering, fornisco istruzioni precise per chi deve tagliare e per il montaggio. Per fortuna ora non devo più spostarmi. Per il plexiglas, ad esempio, lavoro con un laboratorio nelle Marche che mi segue da quarant’anni”.
Passeggiare con Morandini fra le sue opere significa ripercorrere momenti e tappe di una lunga fedeltà all’essenzialità del bianco e nero, con qualche rara concessione alle sfumature del grigio. Tutte le opere sono classificate con un numero, a partire dalla N°1 del 1964, eventualmente con l’aggiunta di una lettera. Un rigore che si respira ai piani superiori della villa dove sono esposte alcune delle opere d’arte più significative dell’artista. La scala è affiancata da un monolite nero di 12 metri di altezza.
“Sto cercando di recuperare all’asta, pagando di tasca mia, alcune mie creazioni per completare il percorso che si può fare qui in Fondazione e permettere ai visitatori di vedere tutti i pezzi chiave”. Ci sono opere che hanno storie da raccontare e ‒ afferma Morandini ‒ “mi riportano a momenti importanti, a persone che ho conosciuto. La sedia Bine, dedicata a Sabine, una giornalista di Amburgo, disegnata per Sawaya e Moroni, all’inizio non fu capita dal mercato e fu un insuccesso commerciale. La panca Posseduta disegnata nel 1998: da due anni la produco io direttamente e c’è una richiesta continua dall’estero”. E poi Risoluta che è un po’ la sorella più giovane di Posseduta, gli scacchi in porcellana su commissione di Rosenthal, il tavolo in marmo per Remuzzi, per finire con la giocosa ironia di Amore Infinito, le due tazzine da caffè unite dal simbolo matematico dell’incommensurabile.
‒ Dario Bragaglia
https://www.fondazionemarcellomorandini.com/
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