Che cosa può fare l’arte per sfuggire al controllo?
Prevedibilità, likeability, controllo: oggi l’arte sembra essere imbrigliata da queste componenti. Solo l’imprevisto può farla uscire da una stasi tutt’altro che positiva
Mentre in queste settimane facevo le prime presentazioni del libro L’arte rotta, spesso le discussioni pubbliche si sono concentrate sul tema della likeability. E io mi sono accorto, via via che gli scambi alimentavano la riflessione, di quanto in realtà la likeability sia connessa all’argomento della prevedibilità – e, di conseguenza, dell’imprevisto.
Ci siamo abituati a una progressiva irreggimentazione di ogni singolo aspetto della nostra vita quotidiana, dal tempo libero a – ovviamente – l’arte: la grande cifra di questo presente è dunque il Controllo, declinato come tutti ci accorgiamo non nelle forme ferree, fisicamente violente del Novecento, ma in forme più subdole, immateriali, e non per questo meno coercitive e costrittive.
È sufficiente andare al bar, al ristorante, in hotel, in spiaggia: chiunque cerca di imporvi le sue regole (che quasi mai corrispondono a quelle della logica), e appena voi cercate di discostarvi dalle istruzioni, di deviare, di proporre un’alternativa (magari per un servizio che, in ogni caso, state pagando voi) immediatamente si irrigidisce.
Questo aspetto riguarda anche, e forse soprattutto, la nostra percezione e gestione del tempo. L’epopea di Stranger Things, per dire, è l’esempio più vistoso di questo fenomeno, che è consistito sostanzialmente nel far compiere alla nostalgia – tratto caratteristico e distintivo della storia culturale postmoderna per oltre un trentennio – un deciso salto di qualità. L’opera, in questo senso, riesce a veicolare la nostalgia non solo ai suoi fruitori in qualche modo ‘naturali’ (coloro cioè che hanno vissuto, fatto esperienza diretta di quel periodo storico, coloro che erano giovani e/o bambini durante gli Anni Ottanta…) ma anche agli esseri umani che non erano vivi allora.
TEMPO, SPAZIO E NOSTALGIA
Questa particolare – e nuova – forma di nostalgia ‘sintetica’ genera un tempo che non è più passato e non è più neanche presente, una sorta di presente/passato che assomma al suo interno il comfort di qualcosa che si conosce già, di già definito nei suoi contorni e nei suoi parametri, con il vantaggio di qualcosa che non è morto, finito, di qualcosa che esiste.
È il processo su cui si sofferma Georgi Gospodinov in Cronorifugio, quando scrive per esempio: “Suppongo che durante il 1968 non ci fosse ancora il 1968. Allora nessuno si è messo a gridare: Ehi, questo che stiamo vivendo adesso è il grande 1968, che rimane nella storia. Tutto accade anni dopo essere accaduto… Ci vuole tempo e un racconto perché accada quanto è già accaduto… senza fretta, come si sviluppavano le fotografie di una volta, e l’immagine piano piano appare nell’oscurità…” (G. Gospodinov, Cronorifugio, Voland 2020, p. 230).
Ecco, ciò che a noi manca in questo momento è esattamente “tempo e un racconto”, due dimensioni che si intrecciano e si sovrappongono: tempo per sviluppare una storia che è ancora in svolgimento, racconto per dipanarla, per costruire i riferimenti necessari. Per costruire un immaginario.
Invece, “A quel tempo [nei primi Anni Novanta] c’era una riserva intatta di futuro e noi la distribuivamo audacemente. In modo del tutto ingenuo, come si è visto poi. Un decennio dopo, negli anni con lo zero, questa riserva non c’era più, solo il suo fondo brillava smaltato davanti a noi. Da allora, da qualche parte, tra la fine del decennio e l’inizio del successivo, è accaduto qualcosa col tempo, qualcosa si è incastrato, ingarbugliato, ha scoppiettato, si è bloccato e fermato” (ivi, p. 243).
CONTROLLO E ARTE CONTEMPORANEA
L’arte contemporanea ha a che fare dal punto di vista temporale, dal punto di vista storico, con questo blocco, con questo incastro – che a sua volta è strettamente legato alla dimensione del Controllo, del prevedere ogni aspetto e ogni sviluppo. Ciò vuol dire che la stragrande maggioranza delle opere si muovono oggi all’interno di questo circuito di prevedibilità, di una storia e di un tempo e di un racconto già scritto, già finito e definito. L’opera e le opere che vogliono avere una chance di disincagliare il blocco temporale dovrebbero invece muoversi consapevolmente fuori dal circuito, agire fuori dalla prevedibilità e dunque in un’altra sfera inattesa, imprevista.
‒ Christian Caliandro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati