L’arte come pratica politica. Giovanni Gaggia in mostra a Palermo
L’artista marchigiano presenta al Museo Riso di Palermo una personale che accoglie tutti i lavori realizzati nell’ambito di “Quello che doveva accadere”, progetto di memoria collettiva dedicato alla Strage di Ustica
Al Museo Riso di Palermo va in scena Quello che doveva accadere. Pratica poetica politica, la mostra di Giovanni Gaggia (Pergola, 1977) a cura di Desirée Maida, che raccoglie oltre dieci anni di lavoro e impegno civile dell’artista sulla Strage di Ustica. Nell’ambito dell’esposizione è stato realizzato un laboratorio con la IV H del Liceo Classico Vittorio Emanuele II di Palermo, e a uno degli studenti, Davide Costanza, è stato affidato il racconto del progetto e della mostra. Ecco la sua recensione.
L’ARTE E LA MEMORIA
Dimenticare. Un’azione comune a tutti gli esseri pensanti, una parola il cui significato, paradossalmente, è come un marchio indelebile all’interno della mente umana. La parola “dimenticare” si foggia mediante l’unione di due parole latine, de e mens, e assume, in questa connotazione, il significato di “uscire o far uscire qualcosa dalla mente”. Si tratta di un processo dal quale gli uomini non possono sfuggire, se sono da soli. Quindi se si è da soli si dimentica. Di contro, la condivisione delle esperienze crea memoria, e in quanto tale la memoria ha un suo fondamento sociale. La memoria, tuttavia, può e deve avere un suo efficace veicolo di condivisione nello spazio e nel tempo, uno strumento evocativo che ne trasmetta l’essenza fra gli uomini e la storia.
IL PROGETTO DI GIOVANNI GAGGIA SULLA STRAGE DI USTICA
Ed è per questi motivi che prende vita l’opera di Giovanni Gaggia, Quello che doveva accadere, che nasce nel 2010 quando l’artista si reca al Museo per la Memoria di Ustica a Bologna, con una serie di disegni sotto il nome di Sanguinis Suavitas. Gaggia decide così di dedicare tempo ed energie a una storia che è diventata sinonimo di mistero, mezze verità e ingiustizia, ovvero la Strage di Ustica. Un mistero, quello del lontano 27 giugno 1980, che emerge nella storia italiana come una delle pagine più enigmatiche di cui la nostra nazione fu, ed è tuttora, testimone, segnata dal sangue di 81 vittime che persero la propria vita in un crimine di guerra risoltosi nel ’99 con una sentenza che, a oggi, simboleggia il trionfo di un nemico invisibile, “non luogo a procedere”.
LA MOSTRA DI GIOVANNI GAGGIA AL MUSEO RISO DI PALERMO
Le tavole di Gaggia, che a questo sangue affiancano elementi della vita di tutti i giorni, quasi a unire in un commovente connubio vita e morte, vengono raccolte in seguito in Inventarium, libro pubblicato nel 2016. Seguiranno altri interventi, come l’arazzo con la scritta Quello che doveva accadere, frase suggerita a Gaggia da Daria Bonfietti, Presidente dell’Associazione Parenti delle Vittime della Strage di Ustica, e un arazzo con la stessa scritta in Braille, custodito al Museo Tattile Statale Omero di Ancona.
Dal 2010 a oggi, il progetto evolve ancora, e a Palermo, nell’ambito della mostra in corso al Museo Riso, diventa Pratica Poetica Politica, e ha come costante il ricamo, forma d’arte che, metaforicamente, simboleggia l’azione riparatrice di una ferita che si rimargina e lascia una cicatrice.
GIOVANNI GAGGIA TRA ARTE E IMPEGNO CIVILE
Ed è l’aspetto politico del progetto che ha prevalso nel corso del laboratorio “Io faccio”, progetto formativo PCTO che ha permesso ai ragazzi della IV H del Liceo Classico Vittorio Emanuele II di diventare “politici” nel senso classico del termine, ossia di essere coloro che hanno agito attivamente nell’interesse di una comunità in cui la memoria di Ustica è stata martoriata al punto che la stessa strage risulta sconosciuta alla maggior parte degli stessi palermitani, soprattutto tra i giovani.
Ma l’arte è veicolo di memoria, ed è l’unico mezzo che può portare chi non è stato testimone di questi eventi a sfuggire dalla caverna platonica che l’assordante silenzio di Palermo è diventato. Lo spirito che l’installazione di Gaggia vuole comunicare, d’altronde, non è di morte, ma di vita. Il ricamo, le registrazioni, le immagini e lo stesso operato dei ragazzi della IV H sono la metafora di quella ricerca della verità che ha animato chi è venuto prima di noi. A questo fine sono serviti gli incontri con i parenti delle vittime e con la stessa Daria Bonfietti, che hanno permesso agli studenti di sviluppare un proprio pensiero in merito alla vicenda, espresso poi con una singola parola nell’installazione presente nella seconda sala, inedita, proprio come l’arazzo di fronte a essa, che riporta le parole “PRATICA POETICA POLITICA”.
Palermo non può dimenticare, dal momento che la storia di Ustica è una storia che ci unisce, una memoria comune che vive ancora nei cuori di chi l’ha vissuta, e che trova asilo negli animi di noi giovani che abbiamo potuto essere, in qualche misura, partecipi di un dolore che lo sterile inchiostro non è in grado di comunicare.
‒ Davide Costanza
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