Le antiche stampe dei mostri giapponesi esposte a Monza
La mostra allestita alla Villa Reale descrive un mondo nel quale uomini, demoni e animali convivono. Dando forma a un immaginario tutto da scoprire
Contro la proliferazione esponenziale delle mostre d’arte già ci avevano messi in guardia in tempi non sospetti figure oracolari come Federico Zeri o Cesare Brandi, e più recentemente Tomaso Montanari e Vincenzo Trione hanno lanciato j’accuse contro esposizioni che si rivelano raccogliticce, pretestuose, di cassetta.
Ma adesso un’altra pulce ci viene messa nell’orecchio: e se tutte queste mostre fossero, in gran parte, anche noiose? Sembrerebbe che in genere l’aspirazione degli organizzatori di questi eventi dovesse essere in ogni caso quella di compiacere il più possibile i gusti del pubblico, trasformando gli spettatori in consumatori. Ma ecco che arriva in queste settimane un programma espositivo che suona come una dichiarazione di guerra, e che si presenta come “una crociata contro l’uggia delle mostre d’arte”.
I MOSTRI GIAPPONESI IN SCENA A MONZA
A partire con la lancia in resta è Chiara Spinnato, fondatrice della neonata Vertigo Syndrome, e ideatrice e produttrice di Yōkai. Le antiche stampe dei mostri giapponesi, realizzata nel Belvedere della Villa Reale di Monza con il patrocinio del Comune di Monza e del Consolato del Giappone. Premettendo subito che il livello scientifico di questa mostra è inattaccabile, con il catalogo Skira curato da uno studioso del valore di Paolo Linetti, la ricetta proposta è quella di un percorso immersivo che strizza l’occhio a un pubblico più vasto, e, con un encomiabile intento pedagogico, soprattutto più giovane: e quindi grande spazio alla cartellonistica, agli oscuramenti e ai giochi di luce, a diorami di manichini abbigliati da samurai, a voci che raccontano storie di spettri e di mostri. Tutto questo a commento e illustrazione delle stampe e dei libri dei maggiori artisti giapponesi del XVIII e XIX secolo, tra i quali spicca una rarissima edizione dei quaderni manga di Hokusai. Ora se si considera che, come dimostra il grado di usura di questo reperto, passato più volte di mano in mano, queste opere avevano una destinazione di consumo e di intrattenimento, non risulterà improprio usare le suggestioni e le tecniche televisive dei manga e cartoni animati di oggi per spiegare e veicolare quelli di ieri, che ne sono gli antenati e i precursori, in qualche modo ripercorrendo a ritroso un cammino circolare di due secoli e mezzo.
LA COLLEZIONE BERTOCCHI
Se questo è il filo conduttore e il percorso principale, il cuore più intimo di questa mostra si concentra in un armadietto di vetro contenente un’ottantina di netsuke, piccole sculture in avorio provenienti dalla collezione Bertocchi e mai esposte in pubblico: oggetti d’uso, risalenti al XIX secolo, che, appesi a dei cordoncini, entravano a far parte del vestiario. Dopo tutto questo girovagare fra loquele d’oltretomba, luccichii fantasmatici e querule locandine, in un fazzoletto di spazio siamo invitati alla sosta e al raccoglimento: a prendere pazientemente la mira entro un microcosmo in cui uomini, animali e demoni incrociano i loro destini in una magica dimensione che fonde insieme il quotidiano e il fantastico.
‒ Alberto Mugnaini
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