Al MAO di Torino una rassegna sul concetto di vuoto buddhista
Il Museo di Arte Orientale di Torino inaugura la stagione espositiva del neo-direttore Davide Quadrio con una mostra e una rassegna interdisciplinare dedicata al concetto buddhista della vacuità. Ecco il report della performance della musicista giapponese Hatis Noit
Si intitola Il Grande Vuoto – dal suono all’immagine la rassegna che sancisce l’inizio di una nuova fase per il Museo di Arte Orientale di Torino. Concepito dal nuovo direttore in carica, Davide Quadrio, l’ambizioso progetto nasce dalla volontà di ridefinire l’identità stessa del museo elevandolo da mero contenitore per canoniche esposizioni a veicolo di esperienze interdisciplinari. Da questa visione ben precisa trae origine una mostra atipica, che invita il pubblico a entrare sensorialmente all’interno di pensieri e concezioni apparentemente lontani dalla nostra cultura, per immergersi in una dimensione altra che abbraccia diverse discipline artistiche e filosofiche.
IL GRANDE VUOTO: LA MOSTRA A TORINO
Come suggerisce il titolo, protagonista assoluto dell’iniziativa è il vuoto inteso secondo la dottrina buddhista: un elemento fondamentale, insito in ognuno di noi, in grado di farci sentire un tutt’uno con la vera essenza di ogni cosa. Un concetto che nulla ha a che vedere con il nichilismo occidentale, ma che invece esorta ad annullare impulsi e dualismi per ritrovare un’armonia universale. Da simili profondità la mostra inizia a snodarsi seguendo un percorso che pone l’attenzione sull’atto della contemplazione piuttosto che sulla sola osservazione di opere e oggetti. A determinare l’inizio di questo viaggio è una lunga e sottile scia luminosa che, fattasi metafora di un primordiale atto creativo, si manifesta all’improvviso attraversando le prime sale dell’ambiente espositivo. Accompagnata da un palinsesto sonoro appositamente ideato dal compositore romano Vittorio Montalti, la linea di luce si fa strada nello spazio vuoto tra due oggetti ritualistici (un grembiule cerimoniale tibetano fatto di ossa umane, datato tra il XVII e il XVIII, e un reliquario cinese a forma di pagoda ottagonale che oscilla fra il X e il XII secolo circa) per portare lo spettatore dinanzi a quella che è la vera chiave di volta dell’intera mostra: una thangka tibetana del XV secolo raffigurante Maitreya, il benevolente Buddha che verrà.
LA PRESENZA DEI TULKU
Realizzate principalmente per indurre stati meditativi nei fedeli che le osservano, le thangka si presentano di solito come delle tele dipinte con soggetti religiosi e simbologie proprie dell’universo buddhista. Nella fattispecie, la thangka presente in mostra proviene dal Tibet Centrale e appartiene alla scuola Kagyu. Al centro del dipinto vi è la figura del Buddha del futuro, circondato sia da trentacinque Buddha della Confessione, sia dall’intero lignaggio dei grandi maestri dell’antica scuola, tra i quali ricordiamo l’asceta Tilopa, il suo discepolo Naropa e il noto poeta e yogin Milarepa. Tutto il minimalismo che trasuda dall’allestimento complessivo esplode nell’ultima sala grazie a un’installazione immersiva costituita da un centinaio di gigantografie provenienti dal maestoso archivio personale dell’artista Paola Pivi. Protagonisti di questi scatti solenni, eseguiti tra la fine dell’Ottocento e il secolo scorso, sono i tulku, i Buddha viventi, figure salvifiche incarnatesi in corpi umani per condurre l’umanità verso l’illuminazione suprema. La contemplazione di questi soggetti sacri viene incentivata dal commento sonoro concepito da Montalti in collaborazione con la pianista Gloria Campaner. Chiude la mostra la proiezione del film documentario Some Questions of the Nature of your Existence, dei registi Ritu Sarin e Tenzing Sonam.
IL GRANDE VUOTO: LA PERFORMANCE DI HATIS NOIT
Come detto, Il Grande Vuoto è una mostra trasversale che tocca diverse discipline artistiche e, tra le tante iniziative incluse nel progetto (quali attività didattiche e proiezioni cinematografiche), non poteva mancare un ricco programma musicale – curato da Davide Quadrio, Chiara Lee & Freddie Murphy – che esplora alcune fra le sonorità orientali più interessanti del panorama musicale contemporaneo. Fra queste non si possono non menzionare quelle messe a punto da Hatis Noit, artista sperimentale a tutto tondo che, la sera dello scorso 1° giugno, ha inebriato il pubblico con i suoi canti estatici. Apparsa con indosso un incredibile indumento (in esposizione nell’atrio del museo), realizzato dall’artista Maurizio Anzeri cucendo fra di loro numerosissime ciocche di capelli, la musicista nipponica ha conquistato la sua posizione lungo la tromba delle scale del MAO portando in scena uno spettacolo ipnotico e profondo che ha cristallizzato lo spazio intero per tutta la sua durata. Armata di una loop station, un set di diapason, due microfoni e, soprattutto, della sua voce, Hatis Noit è riuscita a ricreare un’atmosfera quasi ultraterrena richiamando tutta una serie di suggestioni sonore che vanno dai canti gregoriani alla tradizionale musica Gagaku: una commistione di suoni e influenze espressa attraverso una delicatezza così naturale da risultare perfino commovente.
Quello di Hatis Noit è stato solo uno dei diversi appuntamenti che nei prossimi mesi si susseguiranno nelle sale dell’edificio torinese. Fra questi segnaliamo il concerto della musicista cinese Amosphère – previsto per il 30 giugno – e l’esibizione del noto gruppo di suonatori di tamburi taiko, KyoShinDo, fissata per il 4 settembre come evento di chiusura della mostra e di tutta la rassegna.
‒ Valerio Veneruso
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