Valmont, l’arte e la bellezza incontrano l’ospitalità a Venezia
La terza residenza di lusso del Gruppo Valmont, punto di riferimento nel mondo di cosmetici e azienda molto attenta all’arte, è un gioiello silenzioso e pieno di opere di artisti soprattutto veneziani: è la Résidence Bonvicini
Tra le calli di Venezia, immersa nel silenzio e nel fruscio dell’acqua, c’è una casa che vive di arte e relax. È la Résidence Bonvicini, la terza e più recente residenza di lusso del Gruppo Valmont. Dopo i successi dello Chalet Capucine di Verbier e della Villa Valentine di Hydra, in Grecia, la maison di cosmesi ha aperto lo scorso autunno un luogo dove l’amore per il bello e quello per l’arte si fondono in un grande omaggio a Venezia.
LA RÉSIDENCE BONVICINI A VENEZIA
Tre suite sono connesse da una grande cucina a vista su sala da pranzo, un accogliente salone con pezzi di design a ogni angolo, un laboratorio artistico – dove potrete trovare opere del presidente di Valmont e artista Didier Guillon e plichi di fogli del New York Times usati come tele – un salotto con soppalco e un balcone incastonato nei tetti veneziani come una piccola gemma. L’amore per la città emerge in ogni dettaglio, senza rinunciare alla cozyness svizzera di un pavimento di legno e il soffitto più basso e accogliente di quelli dei normali palazzi barocchi. Ogni dettaglio nella Résidence è pensato per inserirsi all’interno di una più ampia visione mecenatista della Fondazione Valmont: per citare due artisti, spiccano il veneziano Leonardo Cimolin, che ha già collaborato con il gruppo per il packaging di profumi Storie Veneziane ed presente qui con lampade a forma di maschera di vetro blu e pomelli multicolore, e Silvano Rubino, di cui è esposta nella camera Murano un monumentale quadrittico “sognante”. “Sarebbe molto comodo arrivare in un luogo, comprare oggetti e arredi qualunque. Però non era questo che volevamo quando siamo venuti a Venezia”, racconta Guillon, che ha invece improntato tutta la Résidence alla valorizzazione di Venezia e degli artisti e artigiani locali. La Fondazione ha attuato un vero e proprio recupero del Palazzo, di cui si prende cura e con cui si prende cura degli ospiti.
Tutto questo è possibile grazie alla rete di professionisti della cultura che rendono Venezia quella che è. “L’importante è avere l’occasione di incontrare queste persone incredibili, di entrarci in relazione, vedere se c’è una connessione e creare in questo modo una rete umana: ho conosciuto Sophie Westerlind”, dice Guillon indicando il suo grande trittico site specific in soggiorno, “grazie a Michela Rizzo, che ha la galleria accanto allo studio di Silvano Rubino e che ho conosciuto tramite i curatori che collaborano con me, Luca Berta e Francesca Giubilei di Venice Art Factory. E loro li ho conosciuti alla fornace di Berengo Studio. A Venezia si può fare arte in un modo speciale ed autentico perché tutto è connesso”. Ecco che le opere veneziane – bicchieri di Murano inclusi – si connettono alle sue Cage e agli Ivo il Gorilla che compaiono sui tappeti e sul servizio personalizzato di piatti, insieme alle opere di vetro di Aristide Najean e al lavoro di Sol Lewitt: quello che emerge è un vero tempio dell’arte, del design e dei dettagli. “E poi c’è tanta luce, c’è la vista. É una sensazione di apertura che ricerchiamo in tutte le residenze, perché vogliamo che si stia bene, e qui in particolare perché , beh, ci vivo”, spiega Guillon, realmente veneziano da inizio 2022. Lo stesso ci sarà da aspettarsi per la residenza in apertura nel 2023 a Barcellona, dedicata al figlio Maxence con cui ha aperto il D&M Art Fund per supportare gli artisti emergenti.
LE MOSTRE A PALAZZO BONVICINI
Nello stesso palazzo, poco sotto – introdotto dal magnifico arazzo Soul Cycler dell’artista sudafricano Jody Paulsen – c’è lo spazio che la Fondazione dedica all’attività espositiva. La collettiva aperta fino a febbraio 2023 va a concludere un ciclo di mostre dedicate alla fiaba, preceduta da omaggi a opere come Hansel e Gretel e Alice nel Paese delle Meraviglie, con un grande classico: Peter Pan. Come già in passato, sono stati invitati dai curatori Berta e Giubilei un pool di artisti a costruire insieme il progetto: l’isola di Hydra si è trasformata in una parallela “isola che non c’è”, dove gli artisti hanno condiviso le riflessioni sul libro e sperimentato con il solo metodo del video. Stephanie Blake, illustratrice, propone video sperimentali che alternano la bellezza della libertà all’inquietudine della solitudine, mentre Didier Guillon e la figlia Valentine, creano con Blessing in Disguise un monito anti-bellico che è anche una celebrazione della vita. L’opera, visibile come spin-off anche a Hydra presso l’Historical Archives Museum fino a fine luglio, unisce riferimenti pop a Hitchcock e al flower power degli anni ’70 a un contesto classico con la Pastorale di Beethoven, in una mescolanza che è anche generazionale. Un approccio simile a quello di Isao, che accompagnato dalle note del figlio Taro affronta il tema delle ombre e dell’identità, e simile nelle tematiche all’opera di Silvano Rubino, che con scacchiere bergmaniane e il topos dell’eros-thanatos ci riporta alla circolarità del tempo. In Peter Pan. La nécessité du rêve, l’arte si fa ancora una volta atto collettivo alla Fondation Valmont, unendo una dimensione di affiliazione spirituale a quella più propriamente familiare.
Durante la mostra è possibile anche vedere il film Barry Lindon di Stanley Kubrik, che come Peter Pan è un personaggio a tratti infantile, creativo e problematico, e un’opera eco-consapevole di Gayle Chong Kwan che anticipa un prossimo progetto sulla sostenibilità. Una sostenibilità che è ambientale e umana, quella che la Fondazione promuove in città con una forte presenza di mecenate (incluso l’acquisto di una delle stupende opere dell’artista Acaye Kerunen dal padiglione dell’Uganda), che è anche una promessa per il futuro.
– Giulia Giaume
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