Brescia: alle talk di Open Doors la diversità è vera forza culturale
Abbiamo chiesto alla funzionaria del Ministero della Cultura Erminia Sciacchitano come valorizzare le differenze renda la cultura veramente efficace: tutto si può conquistare, dice, a patto di fare le cose bene
Vedere la diversità culturale come primaria risorsa del genere umano: una consapevolezza che sa di vera conquista da Ventunesimo secolo. È il museo ad essere il punto di riferimento, culturale e umano, del processo di dialogo e reciproca conoscenza sotteso alla valorizzazione della diversità: questa è la visione al centro dell’incontro La partecipazione che fa dialogare le differenze all’interno del ciclo di talk Open Doors promosso da Fondazione Brescia Musei, a Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali e NEMO – The Network of European Organizations che si terrà mercoledì 29 giugno alle ore 16.30 (sia all’Auditorium di Santa Giulia a Brescia e online a questo link). Abbiamo parlato della diversità culturale come punto di forza con Erminia Sciacchitano, funzionaria del Ministero della Cultura presso il gabinetto del ministro Franceschini.
LA PARTECIPAZIONE CHE FA DIALOGARE LE DIFFERENZE: INTERVISTA CON ERMINIA SCIACCHITANO
La diversità culturale è un punto di forza? E come?
Io ho una prospettiva europea, avendo lavorato per sei anni in Commissione allo sviluppo delle politiche culturali. L’Unione Europea ha scelto la diversità come strada per il progetto europeo: non è multiculturalismo – dove le culture semplicemente si rispettano e si tollerano – né inclusione nel senso di richiesta di adattarsi alla cultura dominante per essere “accettati”, ma proprio apprezzamento delle differenze. È la strada più difficile, ma solo affrontando questa difficoltà la forza della cultura serve alla società. Negli anni la diversità è stata spesso promossa come fonte di creatività e innovazione, per una società più prospera, coesa, inclusiva e pacifica: ma questo non è un processo innato, o diretto. Dalle radici della diversità si originano tutte le relazioni interpersonali e sociali, anche conflittuali, di diffidenza e paura, ma è in questa dinamica di spinte contrastanti che incontriamo l’altro nella sua diversità. È qui che la cultura assume un ruolo cruciale di mediazione. Se è normale che le culture abbiamo connotati fortemente identitari che possono arrivare ad essere strumentalizzate per innescare conflitti, noi possiamo usare la cultura in tutta la sua profondità per far comprendere che la diversità è una ricchezza e che siamo tutti portatori di identità molteplici, tutte della stessa importanza per la civiltà: questo è ciò che dà forza alla società.
La Convenzione di Faro, del cui dossier lei è stata promotrice, è al centro di tutte le considerazioni su diversità e partecipazione: si può dire che abbia avuto un ruolo fondante?
La Convenzione è un quadro etico che dà a tutti noi la direzione ideale da percorrere: permette di capire quanto la cultura sia importante per lo sviluppo sostenibile ma anche che non può essere pienamente al servizio della società se non passa attraverso la partecipazione, il rafforzamento del senso di appartenenza e di responsabilità condivisa verso la cura dei beni comuni. La partecipazione deve certo raggiungere pubblici più ampli, ma senza perdere in profondità e inclusività. È ciò che rende sostenibile l’investimento in cultura: mettendo l’attenzione sulle persone e sulle comunità le azioni culturali sono più bilanciate, perché ci preoccupiamo di tutti gli aspetti della sostenibilità, sociale, economica, culturale e ambientale. Pensiamo al famoso il caso di Venezia, dove la cultura è privilegiata come leva di turismo. Questo crea sbilanciamenti per chi nella città vive in prima persona: non a caso Venezia è una delle quattro città laboratorio della Convenzione Faro in Europa promosse dal Consiglio d’Europa. La cultura può essere un motore di sostenibilità solo se si investe in maniera olistica e integrata, promuovendo la diversità culturale, che ha lo stesso valore della biodiversità per l’ambiente. Al contrario, privilegiando le monoculture, l’umanità perde elementi di forza e ricchezza.
La Conferenza dei Ministri della Cultura del Mediterraneo è stato un momento di grande dialogo: una conquista?
È l’inizio di un processo che costruiremo insieme. Le reti di cooperazione culturale cresciute e coltivate tra i Paesi del Mediterraneo per millenni – che ci hanno propriamente forgiato – sono state interrotte con la pandemia: l’incontro è stato il momento per riconnetterci e trovare un’occasione di riavviare insieme un discorso profondo, a partire dalle tante iniziative e progetti che abbiamo presentato in un incontro fra esperti, dal MedFilm Festival alla Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo alla formazione degli operatori svolta dalla Fondazione scuola dei beni e delle attività culturali nei paesi della sponda Sud. Ci sono tanti progetti finanziati dall’Unione Europea, per migliorare la capacità degli artisti e creativi o promuovere itinerari culturali capaci di promuovere sviluppo locale sostenibile come il progetto CROSSDEV al quale partecipa il ministero della Cultura. Quindi è fondamentale che questo dialogo non sia solo tra Paesi in cui già ci rispecchiamo e a cui pensiamo di essere simili, ma serve aprire anche agli altri e ritrovare la forza nel dialogo e nel confronto. La strada per la pace si costruisce anche attraverso la mobilità degli artisti e dei creativi, perché sono le loro opere ad alimentare la nostra conoscenza reciproca. Questa iniziativa italiana, fortemente voluta dal ministro Franceschini, può essere a mio parere una fonte di nuova energia per tutta l’Europa: Napoli ha aperto un canale di dialogo collettivo. Non cerchiamo solo la soluzione spettacolare – cosa che permette agli operatori culturali di Paesi come Palestina e Israele di dialogare a livello tecnico – ma vogliamo la normalità. E in questo abbiamo avuto una risposta straordinaria in termini di partecipazione e adesione alla Dichiarazione di Napoli che riconosce la cultura come bene comune del Mediterraneo, la posiziona al cuore della Nuova Agenda per il Mediterraneo anche perché centrale per tante politiche l’Unione Europea, dallo sviluppo sostenibile all’azione per il clima e il Green Deal, dalla diplomazia culturale al contrasto al traffico illecito di beni, all’uso della Protezione Civile europea per la protezione del patrimonio culturale in situazioni di emergenza o del sistema di osservazione della Terra Copernicus per il loro monitoraggio.
Abbiamo dei campioni in Italia e in Europa in questo processo di valorizzazione della diversità?
Noi siamo un Paese che ne ha tante di esperienze positive, anche se è più difficile che catturino l’attenzione perché costruire la normalità è un’operazione silenziosa. Basta guardare ai siti italiani del Marchio del Patrimonio culturale Europeo per riscoprire storie preziose di dialogo, da Ventotene che ha svolto un ruolo significativo nella storia e nella cultura d’Europa al Forte Cadine, che ci ricorda le divisioni storiche, i conflitti militari e i cambiamenti dei confini Europei e che oggi è uno spazio di incontro europeo che sensibilizza i cittadini ai valori condivisi, al dialogo nella diversità culturale e a comprendere meglio il valore delle frontiere aperte e della libera circolazione. Quando ero in Commissione europea abbiamo promosso altri progetti nell’ambito del Programma Eurpa Creativa in occasione dell’Anno europeo del patrimonio culturale: fra questi moltissime iniziative di valore, come il progetto Atlantikwall Europe sulla linea difensiva bellica dalla Norvegia alla Spagna e l’area dello Sbarco in Normandia, un enorme sito che racconta un pezzo di storia che ci ha reso quello che siamo. I luoghi del patrimonio culturale europeo non sono ancora ben conosciuti, ma raccontano pezzi di tormentata storia che vanno letti profondamente. C’è una grande volontà di rileggere il nostro passato conflittuale alla luce di ciò che siamo oggi. Prendiamo Marcinelle: luogo di una tragedia che riguarda soprattutto italiani, vittima di tremende condizioni di lavoro. Da quella tragedia è nata la politica europea sulla sicurezza sul lavoro: è qui che nasce l’Europa sociale.
Questo dialogo esiste anche là dove ci sono punti di frizione, come il tema delle restituzioni?
Soprattutto. Questo è il lavoro quotidiano delle amministrazioni, quello meno noto. A una condizione: ci deve essere terreno di dialogo. Le soluzioni prevedono lunghissimi negoziati e mediazione, ma in Europa si può fare, anche perché abbiamo un quadro normativo europeo solido e questo va apprezzato. È una delle cose più importanti del continente, stiamo costruendo un progetto unico al mondo. Certo, non tutto è semplice, ma si può fare, e il dialogo è promosso e sostenuto dalle istituzioni. Abbiamo visto quanto sia facile perdere le nostre conquiste: teniamoci cari i progressi e costruiamo insieme, resistendo alla tentazione della soluzione rapida e guardando ai nostri valori, che troviamo nell’Articolo 2 del Trattato dell’Unione Europea: rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori, comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini, per fortuna vengono costantemente richiamati dagli artisti e da chi opera nella cultura. Dobbiamo tenerli sempre con noi per costruire insieme l’Europa della cultura.
– Giulia Giaume
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