Arte, artisti e pandemia. Come cambiano le cose post Covid
Il seguente articolo è un'anticipazione del libro di Santa Nastro intitolato “Come vivono gli artisti?”, in uscita il 1° luglio per i tipi di Castelvecchi, nell’ambito della collana di saggi d’arte contemporanea Fuoriuscita diretta da Christian Caliandro
“Nessun angolo del nostro pianeta è rimasto intoccato dalla crisi causata dall’emergenza Covid-19. Il virus ci è costato molte vite e i lockdown che abbiamo sperimentato in molte nazioni ha distrutto posti di lavoro e imprese. Nel momento in cui stiamo scrivendo, l’impatto socio- economico lasciato dalla pandemia, a lungo e medio termine, è molto difficile da prevedere e misurare”. Con questa frase preoccupata e accorata inizia il rapporto sulle industrie culturali e creative, “in the face of Covid-19. An Economic Impact Outlook”, presentato a giugno 2021 da Unesco, che ha cercato di mappare le conseguenze della pandemia in molti dei settori produttivi a livello globale.
Ce lo ricordiamo tutti: musei chiusi per lunghi periodi o con accesso ridottissimo. Eventi cancellati. Cinema e teatri non accessibili, in un bailamme di proteste e di reazioni contrastanti. C’era chi sosteneva che i luoghi della cultura “sono i più sicuri di tutti”, alcuni con la sui generis motivazione “perché hanno pochi visitatori” – non rendendosi conto che più che una difesa questo è il modo migliore per affossare l’offerta culturale agli occhi degli stakeholder. Chi diceva “che era meglio tener chiuso: andar per mostre ed eventi è totalmente accessorio, la salute prima di tutto”. Chi invece ribadiva: “In un momento di grande difficoltà la rinascita deve venire prima di tutto dalla cultura. La bellezza non è qualcosa a cui rinunciare. Non si vive di solo pane”. E così via.
Tra le manifestazioni di protesta più recenti, a gennaio 2022, e più curiose, c’è quella messa in atto dal Van Gogh Museum ad Amsterdam, che ha trasformato le sue sale espositive in centro estetico e salone di bellezza per esprimere il proprio dissenso verso le misure governative olandesi che, a fine dicembre 2021, per arginare la diffusione del contagio della variante Omicron, avevano posto a chiusura i luoghi di cultura, lasciando però aperti parrucchieri, centri estetici e palestre. Di conseguenza, l’istituzione dedicata a uno dei più famosi artisti al mondo si era dotata di strumentazioni, specchiere e make-up, lasciando tuttavia le opere del famoso Vincent appese alle pareti, per offrire una esperienza unica di benessere. Un evento fonte di grande ispirazione ed emblematico nel dimostrare i controsensi e le difficoltà continue cui ci ha abituato la pandemia (probabilmente inapplicabile tuttavia in Italia, dove vigono le severe regole della destinazione d’uso degli spazi).
IL RAPPORTO UNESCO
Se in apparenza queste esternazioni hanno un che di performativo e curioso, in realtà nascondono una problematica reale fatta del rischio del crollo dell’economia di un intero settore. Minori ricavi, conseguenti perdite di posti di lavoro, minori occasioni e mobilità per gli artisti. È questo lo scenario che emerge dal rapporto Unesco Re|shaping policies for creativity. Addressing culture as a global public good, pubblicato nel 2022, che fin dalle prime pagine ci racconta in breve lo stato dell’arte. Secondo il rapporto, infatti, con il suo 3,1% del PIL mondiale e il 6,2% dell’occupazione, cultura e creatività rappresentano un settore giovane, tra quelli in più rapida crescita al mondo, ma proprio per questo tra i più vulnerabili, anche perché spesso trascurato da investimenti di carattere pubblico e privato. E con il Covid siamo andati peggio. È in corso, infatti, si legge sul rapporto, “una tendenza al ribasso degli investimenti pubblici per la cultura, che indica nuove sfide per i settori culturali e creativi”. Malgrado gli ottimi risultati. Le esportazioni di beni e servizi culturali, ad esempio, spiega la pubblicazione scaricabile dalla piattaforma Unesco, sono raddoppiate di valore dal 2005 fino a raggiungere, nel 2019, 389,1 miliardi di dollari. Nonostante ciò, dall’incedere dell’emergenza pandemica, i settori di cultura e creatività sono stati per molteplici ragioni, molte delle quali già elencate (tra queste la necessità di una presenza fisica), tra i più colpiti con il venir meno di ben 10 milioni di posti di lavoro solo nel 2020. Le entrate degli operatori culturali sono diminuite del 10%, per un ammontare di circa un miliardo di euro. Inoltre, secondo il rapporto sono stati 7mila gli eventi di Performing Arts cancellati in Italia tra febbraio e marzo 2020; per ciò che concerne Biennali ed eventi di rilievo nel mondo, uno su tre è stato cancellato.
L’ANOMALIA DELLE GALLERIE D’ARTE
Musei e gallerie chiusi (almeno nel primo lockdown), minori possibilità di viaggiare, progetti di residenze e bandi posticipati o addirittura annullati hanno gravato ulteriormente sugli artisti e sulle loro entrate.
Proprio a proposito delle residenze, una fonte importantissima sia di entrate che di esperienze, un formato che però alla luce di quanto avvenuto avrebbe forse bisogno di una riattualizzazione, gli artisti Salvatore Iaconesi e Oriana Persico commentano: “In generale si è molto soli. E non solo gli artisti. Soli nel senso che siamo costantemente esposti alla fragilità: anche se abbiamo tanti amici, quanti potrebbero rispondere a una nostra crisi? E noi potremmo rispondere alla loro? Precarietà e competizione ci stanno mettendo in difficoltà. La residenza è parte di questo scenario. Più che ‘residenza d’artista’, intesa come luogo o modalità di permanenza in cui svolgere un progetto o una ricerca, sarebbe più interessante riscoprire e attualizzare modelli di ‘abitare’ anche del passato, come le reti di monasteri, in cui si andava per abitare, lavorare, studiare, relazionarsi, e anche per viaggiare e confrontarsi con altri. Alcuni arrivavano e andavano via, altri stavano per tutta la vita, secondo un percorso che poteva avere significati diversi, da quelli spirituali alla carriera, dalla diversità alla protezione alla persecuzione, e tanti altri. Noi stiamo chiamando questi e altri concetti il Nuovo Abitare, usando le tecnologie per descrivere e praticare queste nuove modalità di un possibile abitare alla ‘fine del mondo’”.
Una anomalia positiva e allo stesso tempo contraddittoria in Italia è stata offerta dal DPCM di novembre 2020, che prevedeva la serrata per le istituzioni pubbliche, ma non per le gallerie d’arte che, in quanto esercizi commerciali (leggasi negozi), potevano proseguire nella loro attività. Un “cavillo” che da una parte ha permesso agli spazi for profit di continuare con militanza nel loro lavoro, sia a sostegno degli artisti che del pubblico, con la responsabilità di reggere per lungo tempo da soli l’intera programmazione artistico-culturale del Paese; dall’altra offriva una cifra esatta di quella che ancora è purtroppo la percezione della promozione culturale in Italia. E inoltre escludeva dall’intera narrazione quegli artisti che, per questioni di pratica, di occasioni della vita, di decisioni, o semplicemente per incompatibilità del lavoro con le richieste di mercato, hanno scelto di non avere una galleria commerciale a sostegno della propria attività.
“Quella che era già una situazione precaria per molti artisti è diventata insostenibile, minacciando la diversità creativa”, spiega Audrey Azoulay, direttore generale di Unesco, nella sua introduzione al rapporto 2022. “Allo stesso tempo, ci siamo resi conto di quanto abbiamo bisogno della cultura, della creatività e della diversità delle espressioni culturali protette dalla Convenzione dell’Unesco del 2005 sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali. Abbiamo bisogno della vitalità di un settore che dà lavoro ai giovani e alimenta l’innovazione e lo sviluppo sostenibile […]. Oggi, per superare la crisi, dobbiamo garantire il posto che spetta alla cultura nei nostri piani di ripresa. Ma abbiamo anche bisogno di politiche a lungo termine per rispondere alle sfide strutturali evidenziate dalla crisi. Artisti e professionisti della cultura di tutto il mondo si sono espressi, ad esempio, su questo tema nei dibattiti ResiliArt organizzati dall’Unesco. Hanno richiamato l’attenzione sulla necessità di creare regolamenti che forniscano agli artisti un certo grado di sicurezza, sulla necessità di fornire supporto per quanto riguarda la digitalizzazione garantendo diversità culturale, catene di valore eque e un’equa remunerazione dei creativi da parte delle principali piattaforme digitali”.
IL TEMA DELLE COMPETENZE DIGITALI
Il tema delle competenze digitali e della trasformazione delle nostre abitudini è un altro degli aspetti che dovremo affrontare nel prossimo futuro. Da una parte hanno concesso una amplificazione della diffusione di contenuti, immagini, progettualità di artisti, critici, curatori, che altrimenti sarebbero rimasti chiusi negli studi senza la possibilità di un solido contatto nell’intera filiera produttiva. Ricordiamo tutti il fiorire di iniziative, dirette streaming, dispacci internazionali, chiacchiere su Clubhouse (che l’arte contemporanea in Italia ha scoperto, lasciandosi sedurre, per poi abbandonarlo nel lasso di qualche settimana), con progetti di grande spessore, come Radio GAMeC, iniziative in streaming e le immancabili viewing room online che, pur con tutti i dubbi, hanno dato respiro a fiere, gallerie d’arte, artisti, e offerto qualche strumento per mantenere vivo il network internazionale distrutto dal Covid. Secondo il rapporto Unesco 2021, il 26% dei musei in Europa è stato in grado di produrre contenuti digitali.
Dall’altra parte, però, la trasformazione digitale non può essere la sola valvola di sfogo di un settore puramente relazionale, né questo fenomeno può essere lasciato alla unica creazione di movimenti spontanei. Come ricorda il report Unesco, “nei prossimi anni dovranno essere affrontate barriere significative per garantire processi e sistemi di governance per la cultura resilienti, informati, trasparenti e partecipativi. Sarà inoltre necessario incoraggiare politiche e misure per facilitare l’accesso delle diverse espressioni culturali all’ambiente digitale”.
Inoltre, stando alla ricerca, sono pochi i Paesi che dispongono di quadri normativi per affrontare le sfide imposte dal digitale. Rimangono pertanto notevoli divari in termini di equa remunerazione per i creativi che operano in questo ambito, sia in termini di diritto d’autore nell’ambiente digitale che di rilevabilità dei contenuti culturali digitali. L’accesso irregolare alla connettività e alle competenze – prosegue il rapporto Unesco – rafforza le disuguaglianze esistenti, portando a un divario digitale crescente e a una diversità limitata degli attori in grado di impegnarsi e di trarre vantaggio dall’economia creativa digitale.
COME CAMBIA IL SISTEMA DELL’ARTE
Ma come è cambiato e sta cambiando il sistema dell’arte? Secondo l’artista Giuseppe Stampone, “il sistema dell’arte non ha avuto la fortuna di cambiare perché appartiene a un modo di fare postmoderno e non è riuscito già da tempo a rispecchiare la nuova realtà del villaggio globale; un’arte tattile, neo-dimensionale, che ha completamente ribaltato concettualmente il sistema dell’arte. Ancora non si manifesta totalmente ma le cose sono già avvenute, il cambiamento è avvenuto, ora deve solo manifestarsi agli occhi del sistema contemporaneo obsoleto non più in grado di rappresentare la realtà. Oggi si parla di crisi economica del sistema dell’arte”, prosegue Stampone, “ma sbagliamo, così continueremo ad annegare negli abissi! La crisi è strutturale e potrebbe essere una liberazione, l’acqua purifica, oggi stiamo vivendo un momento di mutazione epocale, l’onda anomala: questa grande onda d’acqua mi fa venire in mente la visione (più che catastrofica, salvifica) del ‘Diluvio Universale’. Non è un problema di medium ma di mentalità, è un problema di sensibilità tecno-culturale, e anche fisico, perché per fare ‘surf ‘ e camminare sull’acqua bisogna sapere che il diluvio universale non è una catastrofe. I social network e le piattaforme digitali sono oggi i simboli di apertura e partecipazione. L’arte è aperta e partecipativa per sua stessa natura. L’artista ha sempre incarnato la figura ideale di colui che deve interpretare e guidare verso ‘nuove’ strade, utilizzando i medium del proprio tempo, in periodi di transizione come questi”.
C’è un po’ la sensazione, in generale, di aver perso qualche scommessa, con un sistema che, non potendo rigenerarsi proponendo nuovi formati, si è ancorato in maniera profonda, forse rimuovendo un trauma, a quelli consolidati e precedenti e non potendo evolvere maggiormente nella struttura si è rivolto, anche giustamente, ai grandi temi. Qualche passo in avanti c’è stato: gli artisti italiani, anche i mid-career, sono tornati in maniera più sostanziale nei musei italiani; sono nati nuovi progetti, lanciati da gallerie o associazioni di gallerie, ma la strada da percorrere è ancora lunga, in termini di lavoro, di sostegno agli artisti, di acquisizione di competenze digitali. “Adesso che c’è stata la riapertura”, commenta l’artista Reverie, “il mondo dell’arte ha ripreso a correre più di prima. Il susseguirsi frenetico di fiere ne è una lampante dimostrazione, così come il calendario serratissimo di eventi e di mostre. La virtualità inoltre è rimasta una dimensione importante. Si scopriva online, si comprava unicamente online e adesso è rimasto un motore molto importante ma per fortuna non più il solo”. E sembra emergere in maniera sempre più forte la necessità di costruire un dibattito reale e specifico intorno a questi argomenti.
In Italia un tentativo in tal senso è quello portato avanti a più riprese dalla Associazione AWI – Art Workers Italia, nata nel 2020, come movimento informale e “come sforzo di immaginazione politica di un gruppo di lavoratori”, e ci sono state esperienze come il Forum dell’Arte Contemporanea (l’ultimo si è svolto a novembre 2020) che hanno provato a porre sotto la lente le criticità del settore. È necessario continuare sulla strada della ricognizione su quelle che sono state le trasformazioni effettive in termini generazionali, sociali, culturali, psicologici ed economici, e le conseguenti ricadute in termini concreti e percettivi sul settore. E soprattutto sulle vite degli artisti, che sono il primo motore di tutta questa straordinaria e difficile partita.
INTERVISTA A GRAZIA TODERI
Come si è evoluto il mercato dell’arte negli ultimi decenni? Che ruolo ha avuto la strutturazione di un “sistema”? Come vengono trattati gli artisti in quest’ultimo? Un dialogo a tutto capo con l’artista Grazia Toderi (Padova, 1963).
Come vivono gli artisti? Quali sono le loro fonti di reddito più ricorrenti?
Ci sostengono musei e collezionisti privati, e a volte commissioni per progetti speciali.
Com’è dal tuo punto di vista l’attuale situazione di mercato? Com’è cambiato per esempio da quando hai cominciato a lavorare in questo ambito?
Tempo fa era molto semplice. La galleria ospitava la mostra di un artista, al quale comprava una o più opere. Spesso commissionava un testo di presentazione della mostra a un critico. Collezionisti e musei compravano dalla galleria. Poi l’arte è diventata una appetibile bolla speculativa. E sono nate nuove identità, molto abili a intercettare finanziamenti, che hanno iniziato a strutturarsi in vari modi e a proporre servizi “in nome dell’arte”. Così sarebbe interessante oggi conoscere, all’interno del totale dei finanziamenti pubblici destinati all’arte contemporanea, quale sia la percentuale dedicata agli artisti. Ovviamente in cambio delle loro opere o del loro lavoro.
Cosa ti aspetteresti di più dal sistema dell’arte? Cosa vorresti che ti desse?
Vorrei che la voracità del “sistema dell’arte” si facesse un pochino da parte. Nell’organizzazione delle mostre ogni figura professionale è retribuita, mentre all’artista viene chiesto di lavorare o prestare l’opera (cioè la parte essenziale della mostra) senza nessun compenso. Non vengono nemmeno riconosciuti i diritti di copyright previsti dalla legge per la pubblicazione delle immagini. Ma la cosa peggiore è la richiesta di rinunciare anche alla qualità di installazione dell’opera. È un “sistema” ricattatorio e gli artisti che si oppongono, chiedendo rispetto dell’opera, sono additati per sempre come “di cattivo carattere” e sostituiti da quelli più compiacenti. Cresce così la mediocrità.
E dai curatori cosa vorresti?
Una conoscenza più approfondita della storia dell’arte, anche contemporanea. E di lavorare per un ”sistema” che sia davvero “un sistema dell’arte” e non un sistema economico e di privilegi personali. Purtroppo è molto difficile anche per loro, perché subiscono esattamente gli stessi ricatti degli artisti. I più rigorosi sono spesso emarginati e sostituiti da quelli più compiacenti.
Cosa credi che abbiano i colleghi stranieri, in termini di supporto, che gli artisti italiani non hanno?
L’Italia soffre di provincialismo perché non accetta di essere meravigliosamente provinciale. Le istituzioni credono di essere internazionali finanziando l’uscita sporadica degli artisti. Senza capire che è soprattutto ciò che finanziano in Italia che deve diventare di qualità internazionale. I colleghi stranieri sono supportati innanzitutto dai loro musei, e poi anche esportati. In Italia, invece di affrontare i reali problemi, che sono quelli istituzionali, si chiede agli artisti di tentare la fortuna passando qualche mese all’estero.
Che ruolo ha la residenza d’artista nell’economia sia intellettuale che pratica di un artista?
Per ogni artista ha un ruolo diverso.
In quanto artista, come gestisci sia in senso pratico che dal punto di vista emotivo le questioni relative a famiglia, malattia, maternità?
Essendo nata femmina, con grande difficoltà da sempre.
Quali effetti hanno avuto la pandemia e i lockdown che si sono susseguiti sulla tua ricerca?
Hanno reso il mio lavoro ancora più concentrato e cerco ancora di più di non perdere tempo.
Quali invece sulla sostenibilità?
Credo che poche persone abbiano migliorato la loro sostenibilità grazie alla pandemia.
Come è cambiato, se è cambiato, il sistema dell’arte?
Il “sistema”, che ha rubato la parola “arte”, continua a proclamare la sua crescita bulimica in nome dell’arte, ma è al servizio dell’economia, del turismo, dell’intrattenimento, della comunicazione, della sociologia… Qual è oggi la parola che indichi il contesto nel quale l’arte non sia necessariamente asservita a tutto ciò? Inoltre, oggi si confonde la creatività con l’arte. Ogni essere umano può essere creativo, ma l’artista è colui che coltiva quotidianamente una disciplina severa sulla propria creatività. Che da una parte la controlla, ma dall’altra la libera, trasformandola in “arte”.
Date queste premesse, come si evolverà il “mestiere” dell’artista in Italia nel prossimo futuro?
Parlare di futuro è un fantasticare dispersivo e fuorviante, se già oggi agli artisti non si lascia il presente.
Se ti pensi da qui a dieci anni, come ti vedi?
Sarò migliore di adesso, avendo più lavori realizzati e più esperienze.
‒ Santa Nastro
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #65-66
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Santa Nastro – Come vivono gli artisti? Vita, economia, rapporto con il settore e pratica
Castelvecchi, Roma 2022
Pagg. 218, € 18,50
ISBN 9788832907421
http://www.castelvecchieditore.com/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati