Come rilanciare la fruizione della cultura locale?
Rinsaldare il legame tra chi vive quotidianamente un territorio e il patrimonio culturale che quel territorio racchiude è fondamentale non solo dal punto di vista economico, ma anche per salvaguardare i musei e le istituzioni locali, sempre più a rischio
Tra le tante trasformazioni che il nostro Paese ha conosciuto negli ultimi decenni, una menzione particolare va sicuramente attribuita alla cultura e al turismo, la cui rilevanza è andata via via godendo di sempre maggiore consapevolezza.
Le città d’arte e i flussi turistici a esse correlate hanno giocato un ruolo importante: la dimensione economica ascrivibile, in generale, al nostro patrimonio culturale, ha quindi avuto un ruolo dirimente nella generale comprensione della rilevanza del fenomeno, fino a farlo divenire un argomento da agenda politica, e non solo un approfondimento per appassionati.
All’interno di questo quadro, negli ultimi tempi un’altra tendenza ha acquisito connotati sempre più delineati, complice anche l’accelerazione in parte imputabile alla pandemia e, in misura minore, alle recenti vicende belliche: la rilevanza del fenomeno culturale domestico.
Si tratta di un fenomeno che può acquisire caratteristiche molto significative per lo sviluppo del nostro Paese, sia dal punto di vista economico che sociale, culturale e di rapporto concreto con il territorio. Malgrado siano spesso circondate da un minor fascino, le testimonianze culturali locali, così come i luoghi e gli istituti della cultura meno frequentati, presentano peculiarità estremamente interessanti.
In primo luogo la dislocazione territoriale: il nostro patrimonio culturale è diffuso su tutto il territorio, e la densità di luoghi culturali quali musei, aree archeologiche, archivi, biblioteche e monumenti è tale che ogni cittadino può raggiungere un luogo culturale senza dover ricorrere a spostamenti di grandi dimensioni.
In secondo luogo la domanda potenziale, vale a dire i cittadini e i turisti prossimali. Su questo tema è forse necessario operare qualche precisazione: se si concorda sulla definizione di domanda potenziale, vale a dire quegli individui che potenzialmente potrebbero divenire visitatori di un luogo della cultura, allora la domanda potenziale in termini di visitatori cittadini e di turisti prossimali di ciascun luogo della cultura è tutt’altro che esigua. E ciò in ragione della stessa capillarità cui si faceva cenno in precedenza: in questo senso, dunque, la domanda potenziale di un museo in un piccolo paesino è rappresentata da tutti i cittadini del comune, dei comuni limitrofi, e di una fascia di comuni più estesa.
Banalizzando al massimo, quindi, ci troviamo di fronte a un sistema in cui c’è un’ampia domanda potenziale e una grande rete distributiva, ma c’è ancora una bassa domanda reale.
Se stessimo studiando un qualsiasi mercato, ci troveremmo di fronte a un problema che ammette due sole soluzioni: o il prodotto non è valido, o il prodotto non è sufficientemente valorizzato o opportunamente veicolato.
“Da un lato bisogna ammettere che non tutti gli istituti o i luoghi culturali sono all’altezza del loro mandato, dall’altro comprendere che molti di essi sono completamente misconosciuti da parte dei cittadini”.
Restando all’interno di quel medesimo mercato, quindi, si potrebbe anche arguire che, con riferimento al patrimonio culturale nella sua interezza, ci troviamo in una condizione che include entrambe le problematiche: da un lato bisogna ammettere che non tutti gli istituti o i luoghi culturali sono all’altezza del loro mandato, dall’altro comprendere che molti di essi sono completamente misconosciuti da parte dei cittadini o comunque comunicati in modo non adeguato e in ogni caso non efficace.
Chiaramente, la questione è sempre più complessa, ma schematizzare in questo modo la vicenda permette di cogliere al meglio le opportunità che quei luoghi della cultura che oggi definiamo minori rappresentano per il nostro Paese. Agevolare e potenziare lo sviluppo di tale patrimonio culturale deve dunque rappresentare una priorità condivisa non solo dal Governo centrale, ma anche e soprattutto dalle amministrazioni locali. E non tanto, o almeno non soltanto, per l’opportunità economica di avere più visitatori, si spera paganti, a rendere vivi e vivaci quei tantissimi musei che oggi stanno svanendo, e nemmeno per una semplice traduzione aritmetica in termini di maggiore cultura fruita.
Perché visitare con interesse ed entusiasmo il museo civico della propria città ha un valore differente dal visitare il Louvre. Significa sviluppare un rapporto nuovo con il proprio territorio. Leggere nelle strade percorse per andare a fare la spesa parti della propria storia, o comunque parti della storia del territorio che si abita. È un modo completamente differente di vivere la cultura.
E questo si associa poi alle implicazioni, questa volta sì, anche economiche, che la conoscenza dei propri luoghi quotidiani può favorire: un incremento dei servizi, un maggior tasso di sviluppo di imprese culturali e creative, un clima culturale differente e più dinamico, che permetta di declinare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie con la portata di creatività e di imprenditorialità che un ambiente di questo tipo favorisce. Ciò ridarebbe senso e dignità ai tantissimi musei inviolati, ai luoghi della cultura percepiti come provinciali dai cittadini, perché gestiti e comunicati in modo provinciale. Senza patire, ogni semestre, la scure dell’abisso del divario del numero di visitatori, ma leggendo quei dati con la consapevolezza di aver raggiunto i visitatori che più di tutti è necessario coinvolgere.
‒ Stefano Monti
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati