A Roma un eccezionale archivio fotografico sulle montagne d’Abruzzo
L’ex Chiesa delle Zitelle a Roma, spazio espositivo dell’ICCD, l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, ospita la mostra fotografica e multimediale che attinge dall’archivio del parroco Don Nicola Jobbi. Attraverso la fotografia come indagine socio-antropologica, i documenti da lui prodotti raccontano il rapporto fra l’uomo e la montagna e un tentativo di una sperimentazione culturale, sociale e politica nell’Italia del dopoguerra
Quello che appare oggi, in questa mostra, attraverso le tante fotografie in bianco e nero e il materiale raccolto con perizia etnografica e sociale da Don Nicola Jobbi (Mosciano Sant’Angelo, 1934), è un mondo lontano il cui tema principale è l’uomo e la montagna. Appaiono, queste geografie, come spazi impervi popolati dai contadini dagli sguardi fieri e orgogliosi, delle donne in lutto chiuse nei loro rituali magico-religiosi, da adolescenti in processione e da mandrie di animali transumate. Queste montagne inaccessibili e severe, con poche vie di comunicazione, il cui tracciato tortuoso sottolinea ancor di più il silenzio ancestrale degli eremi arroccati, contiene in sé qualcosa di profondamente malinconico: è l’esperienza complessa del numinoso, del rapporto primitivo con la natura, anche quando diviene violenta, impenetrabile e angusta, dando vita a miti, credenze, superstizioni, leggende e terrori.
LA MONTAGNA SECONDO JOBBI
Questa la ragione per cui il sacerdote antropologo ha documentato con la macchina fotografica numerosi centri dell’Abruzzo, dalla comunità del Gran Sasso fino ai Monti della Laga, restituendoci un immenso patrimonio culturale che si è nutrito, dalla fine degli Anni Cinquanta, di scambi intellettuali ed epistolari con Anna Bella Rossi, Paolo Toschi, Roberto Leydi, Giuseppe Profeta, Yutaka Tani, Sebastiana Papa, Diego Carpitella, Libero Bizzarri e molti altri. Fra le tante fotografie emergono i ritratti di alcune anziane, il più delle volte immortalate nelle attività quotidiane o sedute sull’uscio della propria abitazione in attesa di qualcosa, con gli sguardi fissi all’orizzonte, la cui vita si concentra nei fatti essenziali della condizione umana: il nascere, l’amare, il soffrire, il morire.
LA NATURA NELLE FOTOGRAFIE DI JOBBI
La natura è prepotentemente protagonista e i cicli stagionali, documentati da Jobbi, assumono una valenza fondamentale nell’esistenza inesorabile di questa gente. Sono le questue mascherate, in cui l’uomo si identifica attraverso i miti e le usanze pagane, in raffigurazioni simboliche dagli istinti e dalle forze sotterranee e oscure. Tradizioni cristiane e mitologie pagane, custodite gelosamente fra quelle valli, fra quei piccoli borghi, fra quelle chiesette senza nome, testimonianza di quella vocazione ascetica di radice medievale prossima alla disperazione e alla solitudine, quasi immutata nel tempo, che Jobbi attraverso il mezzo fotografico ha saputo osservare, cogliere e restituire.
‒ Fabio Petrelli
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