L’algoritmo come bestia. Emanuele Resce al Museo Archeologico di Spoleto
L'artista di Benevento si ispira a un matematico persiano del X Secolo, che è poi l'inventore del concetto di algoritmo. E porta all'Archeologico di Spoleto una mostra affascinante
Cercando su Internet la parola al-khwarizmi, ciò che si ottiene è una paginata di immagini in cui si alternano ritratti e statue del matematico, astronomo e geografo persiano del X secolo e foto del cratere lunare a lui dedicato sul lato oscuro della Luna, in una successione senza soluzione di continuità regolata dall’algoritmo che proprio da Al-Khwarizmi prende il nome.
La formula matematica che influenza e regola una componente sempre più importante della nostra quotidianità – alimentandosi di ricerche, preferenze e desideri più o meno espressi – diventa il criterio o, meglio, l’entità quasi animale che guida l’intervento di Emanuele Resce (Benevento, 1987) all’interno del museo archeologico di Spoleto.
IL BESTIARIO POSTATOMICO DI EMANUELE RESCE
Invitato da Carrozzeria delle Rose, progetto artistico di Miriam Montani, all’interno dell’evento ideato e curato da Studio A’87 di Franco Troiani Spolia 5. Bestiario Post/Atomico, Emanuele Resce ripensa gli ultimi anni della propria pratica artistica in una mostra personale che, dal 9 al 31 luglio, si innesta come un’interferenza nel Museo Archeologico di Spoleto.
Da sempre interessato ai cortocircuiti tra epoche antiche e contemporanee e alla decostruzione di una presunta superiorità della società moderna, Resce presenta un corpus di opere inedite in cui la lavorazione della pietra e dell’argilla si affiancano a componenti industriali, tavole da skate e plastilina. Un processo di accostamento, questo, che l’artista riconduce alle pratiche di riutilizzo dello scarto come risorsa tipica delle zone rurali dell’Italia meridionale in cui è nato.
I titoli delle opere, che risultano quasi un controcanto rispetto alla fisicità del lavoro, sono invece ripresi direttamente dalle traduzioni delle enigmatiche tavolette Sumere, popolo che già sfruttava la nozione di algoritmo a fini commerciali e mercantili, creando un ulteriore smarrimento tra passato e presente, avanzato e arretrato, conosciuto e ancora da conoscere.
LE OPERE DI RESCE AL MUSEO ARCHEOLOGICO DI SPOLETO
Di notte oscurava i cieli si presenta come una medusa con un volto ispirato alle sculture Ubaid (misteriosa cultura alle origini della civiltà sumera) realizzato in argilla conservata e i tentacoli di tubi e componenti meccaniche quasi abbandonate sullo scaffale di una carrozzeria. Ancora: Colui che è l’argilla della terra si erge come un totem antico nella sua struttura di scheletri di skateboard e plastilina nera, mentre Luogo dei carri, appeso al soffitto, rimanda a una creatura rettile o anfibia, la cui pelle in realtà è composta di plastica bruciata e pneumatici.
Solo per l’inaugurazione, Disordini nel bracciale martellato – un volto a tre occhi intagliato nella pietra e sorretto da tre lunghe gambe di chiavi inglesi saldate – brucia come un mostro mitologico grazie al bioetanolo che riempie gli occhi e la bocca.
EMANUELE RESCE COME ARTIGIANO COSMICO
“La figura moderna non è quella del fanciullo né del folle, ancor meno quella dell’artista, è quella dell’artigiano cosmico”, scrivono Deleuze e Guattari in un celebre passaggio di Millepiani, “è questo il solo modo di divenire cosmico, di uscire dagli ambienti, di uscire dalla terra. L’invocazione al Cosmo non opera affatto come una metafora; al contrario, l’operazione è effettiva dal momento in cui l’artista mette in rapporto un materiale con forze di consistenza o di consolidamento”.
In Al-Khwarizmi sembra accadere qualcosa di simile: forme antiche sembrano aprire orizzonti futuri, mentre elementi della contemporaneità scivolano in un passato semi-mitico, creando forme capaci di mettere in discussione la narrazione della storia umana (e non) per come la conosciamo. L’ipotetico bestiario distopico di Resce, come lo definisce Davide Silvioli, che firma il testo critico della mostra, non è quindi una litania per un mondo che muore o un canto nostalgico rivolto al passato, quanto piuttosto la manifestazione materica di un possibile presente.
– Valentina Avanzini
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