Alla Pelanda di Roma con Alterazioni Video. Come se si fosse sull’Himalaya

E se un'area utilizzata da senzatetto fosse messa in relazione con un campo base nella catena himalayana? Al Mattatoio di Roma vanno in scena gli Alterazioni Video

Non c’è niente di più espanso della mostra Himalaya firmata da Alterazioni Video – che tra schermi, film e spettacolare messa in scena occupa fino al 7 agosto l’intera Pelanda nel  Mattatoio di Roma (occasione da cogliere al volo per abbracciare uno dei linguaggi visivi tra i più radicali e innovativi) – ma sarebbe grave errore chiamare il loro lavoro Expanded Cinema.
E non siamo neanche vicini alla voce “sperimentazione”, nonché anni luce lontani dalla categoria generica di “immagini in movimento”, in quanto qui non c’è niente di generico e i frame dei loro film riescono a essere potenti anche quando sono congelati su camicie e t-shirt in evocative installazioni dove l’unico movimento è nell’aspettare che svolazzino.
Quindi non resta che accettare la definizione data dagli autori alle loro opere: non film ma turbofilm come categoria nata per oltrepassare la dicotomia fiction/documentario; affondare radici nel Cinema Verità; rendere omaggio al suo mitico fondatore Jean Rouch; impegnarsi nella ricerca della realtà più profonda e inafferrabile della vita, e allo stesso tempo prendere atto di quanto il reale non sia più solido come nel Novecento, ma confuso nella stratificazione globale e virtuale del nostro presente.
Così lavora il collettivo Alterazioni Video (composto da Paololuca Barbieri Marchi, Alberto Caffarelli, Matteo Erenbourg, Andrea Masu, Giacomo Porfiri), disperso tra le diverse residenze dei suoi componenti (New York, Berlino, Palermo e la costa sud del Portogallo), con la macchina a mano o in spalla, oltre o dentro il flusso delle immagini del web, pronto ad affrontare il mondo con l’intento di fondere immaginario e realtà, attraversare i generi cinematografici, mettere in cortocircuito la verità e il falso, il quotidiano e il surreale, l’ovvio e il paradosso alla ricerca di un contenuto profondo della vita che esploda con tutte le sue contraddizioni sociali e politiche.

Alterazioni Video, re–creatures, 2022. Mattatoio, Roma. Photo Pietro Bertora©️2022 Azienda Speciale Palaexpo

Alterazioni Video, re–creatures, 2022. Mattatoio, Roma. Photo Pietro Bertora©️2022 Azienda Speciale Palaexpo

HIMALAYA: L’ULTIMO TURBOFILM DI ALTERAZIONI VIDEO

Himalaya, la loro ultima fatica, girato e montato a Roma, dopo un “casting performance” che ha coinvolto gli abitanti del quartiere e il pubblico (homeless compresi), è nato da un’indagine improvvisa sulle tendopoli della capitale visti come campi base di sopravvivenza e protagonisti di un immaginario “altrove” che si concretizza nelle cime innevate che fanno da sfondo a quasi ogni sequenza. Un perfetto esempio di turbofilm che nasce dalla tettoia della Pelanda che confina con il Campo Boario, spazio abbandonato ai confini dell’ex mattatoio e abitato da brandine, tende, giacigli di fortuna. “Abbiamo un problema a proporre una performance qui, come fare con le persone che ci vivono?”, disse Ilaria Mancia, curatrice del progetto al primo sopralluogo. “Non è un problema, per noi è un’occasione”, risponde Paololuca a nome di tutti.
Di più, per unanime convinzione, quel campo è già il film. O meglio quel tipo di film (il loro) che non ha sceneggiatura, non ha dialoghi, nasce da un soggetto che si può scrivere su un tovagliolo da bar, per poi seguire l’unico principio che conta: usare tutto quel che arriva, farlo reagire, entrare in contatto, lasciarlo fluire tra l’osservatore e l’osservato, trasformare l’incompiuto in un dispositivo che aumenti le percezioni e sveli angoli nascosti delle realtà. “All’angolo di ogni strada il senso dell’assurdo può colpire un uomo in faccia“: la frase è di Albert Camus ma la troviamo stampata come un viatico nel loro Turbofilm Book (2016) come principio guida del loro sistema filmico.

Alterazioni Video, Don (‘t) Puke, 2012. Credit Guido Gazzilli, Fred, Nerlino

Alterazioni Video, Don (‘t) Puke, 2012. Credit Guido Gazzilli, Fred, Nerlino

LA MOSTRA DI ALTERAZIONI VIDEO AL MATTATOIO DI ROMA

Ma poiché appunto la nostra attuale realtà è stratificazione di esperienza ed immaginario, ecco che spesso nei turbofilm traspare la matrice di un genere cinematografico che si è appropriato di noi e delle nostre vite, fino a modificarne linguaggio e comportamenti.
Così in questo Himalaya gli sketch da cinema comico e le visioni di periferie storiche che ci riportano da una parte al Neorealismo e dall’altra al Monnezza, diventano un canale d’accesso per rendere visibili gli invisibili che vivono ai margini, non solo di una metropoli ma addirittura di un museo d’arte e cultura contemporanea.
Quel museo che, grazie a questa mostra, sa trasformare la tettoia dove trovano riparo i senzatetto in un campo base di una avventurosa scalata verso il tetto del mondo. E che di sala in sala si apre ad altro: agli spiriti dell’Africa nel Foyer2, che ospita il musical-horror-docu-fiction movie All My Friends Are Dead, reportage del 2009 su zombie, spiriti e vampiri del Camerun, da guardare comodamente sdraiati su materassi ricoperti di policromi tessuti africani con la mente che va a Jean Rouch e Edgar Morin. Oppure, seduti su una panca della Galleria delle Vasche, per riflettere sul moderno trionfo delle bugie mediatiche, delle leggende metropolitane e della propaganda viziata, come raccontano le sorprendenti sequenze di Guerra e Pace, video che nel 2019 il collettivo ha girato il quella Russia che delle fake news è patria. Ne era stato persino previsto un nuovo episodio, se il Covid prima e la guerra poi non avessero frenato il progetto della serie, di cui qui rimane la testimonianza di una dacia bidimensionale allestita lungo il percorso, scenografia di una scena che non sarà mai girata.

Alterazioni Video, Taking A Shit, 2014. Ambaradan, Omo Valley, Ethiopia

Alterazioni Video, Taking A Shit, 2014. Ambaradan, Omo Valley, Ethiopia

TURBOFILM E ANDRÉ GIDE

Sono i frammenti di “turbomondi” che ci regala questa notevole mostra dove i manufatti si fondono con le immagini, gli schermi con gli spazi e mai si perde di vista il rigore formale, la ricerca dell’inquadratura, la forza di una composizione che nasce da una profonda cultura visiva e che rende possibile l’unione di tante diverse cose in un unico riconoscibile linguaggio autoriale, capace di creare un dispositivo che ci liberi dalle abitudine visive per allargare e modificare la nostra percezione. E val la pena di citare André Gide quando, nelle Nourritures terrestres, scriveva: “La sensazione nasce dove cambia la percezione. Di qui la necessità del viaggio“. Come questo alterato viaggio che dall’Africa arriva in Russia, fino a perdersi in un Himalaya con base a Roma.

– Alessandra Mammì

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