Teatro. Giuseppe Isgrò racconta la performance ASPRA
Andato in scena al PAC di Milano a inizio luglio, ASPRA è un concerto di corpi, musiche e parole al limite del dicibile. Ne abbiamo parlato con il regista
Il PAC di Milano ha ospitato venerdì 1° luglio, in occasione di Milano Pride 2022, la performance teatrale ASPRA della compagnia Phoebe Zeitgeist. Il progetto, ideato e diretto dal regista Giuseppe Isgrò, è costruito sulle parole controverse di Fassbinder, Bataille, Mishima, Pasolini, Copi, Burroghs, Bachmann e Celan. In scena sono presenti Daniele Fedeli, Francesca Frigoli e Danilo Vuolo, che interpretano i testi – supportati, oppure ostacolati, dalle musiche live elettroacustiche di Shari DeLorian.
Il risultato è un concerto mutante e componibile che si rimodella in relazione al preciso contesto storico, politico e situazionale in cui va in scena di volta in volta.
Che cos’è ASPRA? Quale punto di vista hai voluto presentare al pubblico attraverso la scelta di questi autori e la libera combinazione dei loro testi e concetti?
ASPRA nasce da una residenza con musicisti contemporanei di elettroacustica fatta a Standards, in zona Bovisa a Milano. È un progetto aperto grazie al quale abbiamo vinto, nel 2018, il CROSS Award di Verbania. Ad oggi, anche attraverso il periodo pandemico, ASPRA si è trasformato sempre più in un non-spettacolo, in un organismo mutante, nel quale attori e musicisti si sono avvicendati.
Qual è il punto di partenza?
È sempre stato il lavoro sul rumore, sull’inudibile e sulla distorsione, volto a creare un cortocircuito con le parole di autori che hanno toccato anche l’indicibile, divenendo per questo motivo ostracizzati, controversi, ma anche volutamente fraintesi e spinti all’emarginazione, al suicidio e al linciaggio mediatico.
Ci fai qualche esempio?
Alcuni di loro hanno fatto delle fini ben note come Yukio Mishima, il quale si è suicidato in maniera rituale in diretta televisiva nel 1970. Oppure Rainer Werner Fassbinder, che si è autodistrutto fino ai 37 anni dopo essere stato ingiustamente accusato di fascismo perché nell’opera teatrale I rifiuti, la città e la morte metteva in scena dei nazisti, dopo la Seconda Guerra Mondiale, che avevano ancora lo stesso identico modo di pensare precedente l’Olocausto. Un altro autore controverso è William Burroughs: ne I ragazzi selvaggi immagina un futuro fantascientifico nel quale questo mondo viene distrutto da satiri cyborg omosessuali, che fanno scomparire il genere femminile e si rovinano a vicenda fino alla morte in una sorta di rito erotico distruttivo.
Quale rapporto c’è in scena tra musiche, corpi e parole? Che valore hanno oggi in particolare queste ultime, ancora a volte disturbanti e scomode?
Il rapporto tra musica, corpo e voce è sempre stato fondante nel nostro lavoro. In questo caso lo diventa ancora di più, perché ASPRA non è uno spettacolo narrativo. L’unico fil rouge è il concetto di far detonare, attraverso la parola e il suono, queste idee disturbanti. La nostra necessità è di opporci a un mondo che tende sempre di più a evitare l’elemento di disturbo nei concetti e a eliminare quella parte necessaria che è il pensiero scorretto e negativo. L’arte, secondo noi, deve essere pericolosa per avere ancora senso oggi, nell’epoca del consumo che affolla continuamente le nostre visioni e i nostri immaginari. Se l’arte non riesce a smuovere le coscienze, diventa intrattenimento. Non diciamo che non debba esistere, ma non è quello che ci interessa portare avanti.
Definisci ASPRA un “concerto scenico senza struttura fissa” e questo concetto si riflette anche nei personaggi queer e nelle identità non binarie presenti in scena. Ci spieghi la tua visione?
Ci sono molti testi che sono mantenuti nel genere di chi parla, uomo o donna, recitati però da un attore di altro genere. Inoltre, è presente in scena Danilo Vuolo – artista visivo e performer – il quale interpreta una Drag BDSM che ha qualcosa di malato, probabilmente un tumore al cervello, oppure un’esplosione celebrale, e infatti ha sempre la testa fasciata. Sul finale indossa una parrucca di capelli bianchi lunghissimi e si interpreta come una donna trans invecchiata con addosso un grande vestito Anni Ottanta di alta sartoria, che simboleggia il decadimento del mito collettivo alla fine degli Anni Settanta e il riflusso nel privato. Copi è un autore tipico di questo concetto, ovvero anti-ideologico, che affronta il tema delle locas, delle pazze, di coloro che rifiutano l’omosessualità convenzionale e la sessualità eteronormata.
Com’è stato portare un lavoro come ASPRA nel contesto del PAC?
È stato molto importante perché ci ha permesso di lavorare ulteriormente su uno dei nostri punti cardine: riscrivere lo spazio. Consideriamo fortemente la specificità dell’arte teatrale di farsi luogo. Anche nei teatri convenzionali ripensiamo l’opera in relazione allo spazio, riscrivendolo e risignificandolo. Allo stesso modo è stato interessante perché, quando Diego Sileo – curatore del PAC – ci ha chiamati, pensavamo che forse per il Pride fosse rischioso portare uno spettacolo così disturbante e controverso. Sileo è stato molto coraggioso a proporre un lavoro del genere. È un messaggio importante per tanti curatori o direttori artistici di teatri italiani, che spesso non fanno questo salto di senso e presentano, nel mese del Pride, temi LGBTQIA+ prosaici ed eteronormati.
– Alessia Riva
Intervista elaborata nell’ambito del I anno del corso di Critical Writing, Biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali, NABA – Nuova Accademia di Belle Arti, a.a. 2021/2022
http://www.pacmilano.it/events/aspra/
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