In occasione della IX edizione di Contemporanea Ventiventidue, diretta da Emanuele Moretti, il romano Spazio Taverna va in trasferta a Tagliacozzo. Invito a Palazzo. Mecenatismi è un’operazione promossa dai due fondatori di Spazio Taverna, Ludovico Pratesi e Marco Bassan, e coinvolge gli artisti emergenti Giulio Bensasson, Antonio Della Guardia, Alice Paltrinieri insieme ad Alfredo Pirri ed Eugenio Tibaldi. Si ripropone di cucire un legame tra Palazzo Taverna, edificato per volere della famiglia Orsini, e il palazzo nobiliare Orsini-Colonna di Tagliacozzo, commissionato nello stesso periodo, a metà Quattrocento.
GLI AFFRESCHI E IL PALAZZO ORSINI DI TAGLIACOZZO
Per decorare il palazzo abruzzese, Roberto Orsini e suo fratello Napoleone vollero ispirarsi alla grande sala, dedicata agli uomini illustri e affrescata da Masolino da Panicale, del palazzo romano. L’affresco con condottieri e mecenati, prima nella loggia di Tagliacozzo, non si trova più in loco: venne staccato sul finire degli Anni Settanta e collocato nel Museo d’Arte della Marsica al Castello Piccolomini di Celano. Tuttavia, è ancora possibile ammirare le decorazioni della Cappella, realizzate intorno al 1465 da Lorenzo da Viterbo (secondo il parere di Longhi e Gerardo de Simone) o dal Maestro di Tagliacozzo (Zeri). Rappresentano l’Annunciazione, la Natività con i Re Magi, la Crocifissione.
Lo scopo di Invito a Palazzo. Mecenatismi è far apprezzare questo palazzo – che tornerà finalmente fruibile al pubblico una volta che il restauro sarà terminato –, oltre che per la testimonianza e il pregio storico. In che modo? Attraverso l’occhio acuto e sopraffino, a volte destabilizzante, a volte rivelatorio, dell’arte contemporanea. Il sindaco di Tagliacozzo Vincenzo Giovagnorio è fiero di annunciare che il palazzo avrà presto un futuro museale. Nel mentre, cogliendo l’occasione del festival internazionale di mezza estate Contemporanea, diretto dal giovane artista abruzzese Emanuele Moretti, si configura un nuovo sodalizio con l’arte dell’attualità.
INVITO A PALAZZO. MECENATISMI E l’OPERA DI ALFREDO PIRRI
Non una semplice mostra ma un percorso che anima la residenza rinascimentale fino al 31 ottobre. Il progetto si suddivide in quattro appuntamenti. A inaugurare l’esperimento ci pensano l’intervento permanente di Alfredo Pirri e l’opera, concepita site-specific per la Cappella, Rallégrati di Giulio Bensasson. A settembre quest’ultima verrà sostituita da Follow me di Alice Paltrinieri: quest’installazione, sfruttando la tecnologia, permetterà di fruire gli affreschi in maniera inedita. A seguire, l’intervento di Antonio Della Guardia porrà il focus su un dettaglio degli affreschi: l’autoritratto del pittore del ciclo, la cui identità è ancora incerta. Chiuderà la parentesi abruzzese l’opera relazionale di Eugenio Tibaldi.
L’opera permanente di Alfredo Pirri consta di pannelli in compensato in cui si apre una sorta di finestra-velario: una bacheca trasparente nella quale fluttuano delle piume. Quest’installazione costituisce un camminamento dal quale è possibile osservare il cantiere del restauro, in atto nell’altro lato del Palazzo. È un muro/non muro che permette un dialogo di sguardi tra gli operai al lavoro e le opere in mostra, perché sì, c’è chi crede le immagini abbiano un potere specifico: attrarre il nostro sguardo e portarlo dove vogliono.
IL MECENATISMO: ALLORA E OGGI
L’architettura antica acquisisce, inoltre, un nuovo significato. Gli artisti di allora – Masolino a Roma, Lorenzo da Viterbo a Tagliacozzo – passano il testimone agli artisti di ora, elaborando una nuova narrazione dei luoghi. Caterina Volpi, professoressa di Arte Moderna alla Sapienza, invitata in occasione dell’inaugurazione, parla infatti del ruolo dell’artista nel Rinascimento. I palazzi esteriorizzavano il potere di famiglie come i Farnese e i Borghese: “L’arte aveva il compito di enfatizzare questo potere. A differenza di oggi, tutto il sistema relazionale antico era regolato da norme ferree e da una rigida scala sociale. I principi doveva adeguarsi all’etichetta. Giovanni Pontano e Baldassarre Castiglione affermavano che due erano gli obiettivi principali: Magnificenza e Splendore. Era fondamentale far riverberare lo splendore in tutta la città, come emanazione del prestigio dei principi. Nel Cinquecento, con Bernini e Maffeo Barberini, la situazione cambia: gli artisti si affrancano dal lavoro servile, entrando nelle fila della nuova categoria dei filosofi. Nel Seicento, Poussin e Salvator Rosa decidono a chi prestare servizio. Dopo c’è la rivoluzione della modernità. L’arte è sempre contemporanea”.
IL SIMBOLO NELL’OPERA RALLÉGRATI DI GIULIO BENSASSON
Nella Cappella del Palazzo un frigorifero da bar accoglie, a -19 gradi, un affollamento di steli di giglio. il fiore è simbolo di purezza – rappresenta infatti la figura della Vergine – ma, nel suo reiterarsi, perde unicità acquisendo un alone pop. “Chiunque ora può arrogarsi il diritto di dire questo simbolo è l’originale. In più è un frigo-gelati, richiama l’abbondanza: quando sei bambino e hai di fronte una vasta scelta”, spiega l’autore dell’opera, Giulio Bensasson. E continua: “L’idea era creare un ambiente sospeso nel tempo, come quello della Cappella. Volevo sospendere il simbolo, mantenerlo intatto. Ho trovato il frigorifero abbandonato nel palazzo. L’ho avvolto con una patina di finto marmo per richiamare la dinamica tra vero e falso, farlo sembrare un reliquiario. Il giglio bianco è il simbolo dell’Annunciazione: lo reca in mano l’Arcangelo Gabriele. La dinamica del kitsch si ripresenta anche nel profumo che pervade la stanza: l’essenza che si avverte è in verità di gelsomino”.
Nei Vangeli Apocrifi, Gabriele entrando al cospetto di Maria portò l’odore dei fiori: “Il profumo ritorna spesso nella Bibbia come rappresentazione della divinità: i Re Magi donano incenso e mirra; si associava agli unguenti che sanavano le piaghe, vantava quindi un portato benevolo e salvifico”. Nel contemporaneo, invece, il profumo è investito di una nuova funzione: falsare la realtà, come quando camuffiamo il nostro odore con il deodorante o vogliamo coprire un altro elemento “nei grandi magazzini si usano i diffusori industriali di aromi”.
L’essenza di gelsomino offre un’illusione ma, allo stesso tempo, rivela l’inganno. L’ago della bilancia oscilla così tra vero e falso, aprendo anche una riflessione sulla valenza del simbolo nell’attualità. Il valore intrinseco che ostentava in passato perde ora senso e vigore. Il simbolo annega nel mare magnum di icone, gif, immagini digitali, cartelloni e banner, reel e stories. Il culto dell’eterno e del duraturo viene sostituito dall’euforia del consumo flash dell’immagine – pronta all’uso, immediata e accattivante.
– Giorgia Basili
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