Dai videogiochi alle aste fino alle mostre: quasi tutti gli ambiti della creatività (e il mercato) rispondono alla “rivoluzione” del metaverso. Ecco come.
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IL METAVERSO È GIÀ QUI: È UN VIDEOGIOCO
Internet oggi è dominato dalle piattaforme, giardini chiusi che curiamo ogni giorno. Creare il cosiddetto metaverso vorrebbe dire costruire passaggi tra questi giardini, un’operazione che necessiterebbe il coordinamento tra grandi aziende attualmente in concorrenza tra loro. Oppure vorrebbe dire ampliare gli odierni horti conclusi digitali, magari tramite acquisizioni, in modo da creare ecosistemi sempre più complessi e integrati. Questa soluzione è in linea con il sogno delle società digitali di espandersi in ogni ambito della nostra vita e a volte ha incontrato resistenze da parte degli organi antitrust. È anche il futuro immaginato nel romanzo Ready Player One di Ernest Cline, portato al cinema da Steven Spielberg, dove un’unica compagnia di videogiochi controlla l’intero mondo digitale in cui le persone trascorrono la maggior parte del proprio tempo. L’idea di metaverso che viene proposta da società come Facebook/Meta richiama una concezione di Internet come cyberspazio, uno spazio 3D interconnesso da vivere attraverso una rappresentazione di se stessi detta avatar. Si tratta di una visione in gran parte estranea al nostro modo di pensare il web ma familiare a tanta vecchia fantascienza (il termine ‘metaverso’ viene dal romanzo cyberpunk Snow Crash di Neal Stephenson) come al mondo dei videogiochi. Questi ultimi, in fondo, ci stanno già offrendo la possibilità di vivere e convivere in spazi virtuali attraverso avatar, e di utilizzare complessi ecosistemi digitali e commerciali. Se davvero esisterà un metaverso unificato, dunque, saranno le compagnie videoludiche quelle con la maggior possibilità di realizzarlo. Prendiamo Steam di Valve, una delle principali piattaforme di distribuzione digitale di videogiochi. Su Steam possiamo comprare un videogioco, seguirne gli aggiornamenti, parlarne con lo studio di sviluppo e discuterne nei forum, possiamo leggere le guide create dall’utenza e, mentre giochiamo (magari in realtà virtuale, usando il visore e la tecnologia sviluppati da Valve stessa), possiamo invitare i nostri amici a unirsi a noi e chiacchierare con loro usando la chat della piattaforma. Finita la partita, possiamo vendere, per denaro reale, gli oggetti sbloccati nel gioco oppure scambiarli, sempre su Steam. È anche il caso di Roblox, piattaforma che già permette di esplorare, creare e monetizzare molteplici esperienze giocose usando un avatar unico, personalizzabile con accessori acquistabili con denaro reale. In Roblox, che viene abitato ogni giorno da 50 milioni di utenti, ha anche investito Tencent, ovvero la principale compagnia videoludica al mondo, che, tramite anni di acquisizioni e sviluppo di studi e servizi, possiede forse le basi più solide per la costruzione di un possibile metaverso. Tencent è per esempio in parte proprietaria di Epic Games, che gestisce sia il set di strumenti Unreal Engine, con cui vengono realizzati molti videogiochi (ma anche gli ambienti della serie Disney The Mandalorian) sia il celebre Fortnite, sempre più interessato a diventare una galassia di spazi digitali da creare e condividere con altre persone. Il confronto con i videogiochi spiega anche la difficoltà di pensare invece un metaverso non monopolistico, che permetta di muoverci senza soluzione di continuità tra piattaforme-giardino diverse. Il cappello di marca indossato dal nostro avatar, magari con proprietà registrata come NFT su blockchain, dovrebbe poter diventare un certo modello 3D nella piattaforma in realtà virtuale su cui partecipiamo alle riunioni di lavoro, poi un altro modello 3D nell’ultimo videogioco sparatutto, poi uno sprite 2D nella nostra immagine di profilo di Twitter e così via. Un incubo per ogni sviluppatore, un’enorme e improbabile opera di adattamento e comunicazione tra tecnologie diverse per cui ogni compagnia dovrebbe rendere compatibili acquisti fatti altrove. A meno di immaginare un’unica tecnologia capace di gestire tutte le piattaforme, cioè un altro monopolio.
‒ Matteo Lupetti
DALLE CAVERNE DIPINTE AGLI NFT. STORIA DI UN’IDEA
Lo Spirito dell’Animazione, l’Animato ha creato tutto questo! E non è una cosa recente: si tratta di un processo partito nelle caverne, quando l’uomo si incontrava per la prima volta con la propria ombra proiettata dal fuoco. La nostra ombra in movimento, insieme con l’ombra di tutto il resto, animali e natura, è diventata segno sulla parete-pittura. Il fuoco è diventato per noi un proiettore, l’hardware. La nostra immaginazione era il suo primo software, magari addirittura il primissimo Sistema Operativo, e l’Animato il primo meme, un concetto con vita propria che agisce, costruisce e crea, usando come media noi umani. Processando il Mondo insieme con l’Animato, è nato il concetto della Casa: la caverna stessa, dipinta, alterata. La Grande Casa, la Maloca, come viene chiamata in Amazzonia. Il Metaverso non è altro che questo. Mentre abitiamo la superficie della Terra – guidati dallo Spirito dell’Animazione – continuiamo a creare luoghi che non c’entrano con il reale, ma che poi, utilizzando il reale come modello di simulazione, cominciano a far parte della realtà. Poiché tutto questo è una faccenda di meme – cioè di Logos –, sono stati gli scrittori i primi a essere posseduti, per poi diventare degli “influencer”. Neal Stephenson ci ha influenzato e abbiamo iniziato a costruire il metaverso partendo dalle sue descrizioni, espresse nel libro Snow Crash. Ma non è stato lui l’unico influencer: ricordi presi dai libri di William Gibson hanno incrociato quelli di Philip K. Dick e molti altri ancora. Nell’arte, il metaverso è arrivato nel 1998, quando la galleria Postmasters ha aperto il suo nuovo spazio a Chelsea con una mia personale-manifesto. In quell’occasione, presentavo pitture di cavi dipinte con olio su tela, ma anche avatar delle stesse pitture appese nei muri virtuali del mio studio fluttuante a Chelsea in Active Worlds, un metaverso per arte e architettura che avevo fondato insieme con l’architetto e artista Andreas Angelidakis. Con Andreas abbiamo continuato a costruire mondi nel metaverso fino al 2001, quando li abbiamo persi tutti in un incidente di automobile computerizzato. Di tutti quei chilometri virtuali sono rimaste solo poche schermate: le immagini che ho usato per dipingere i miei murales-resti-di-metaverso nello stand della Galleria Bonomo alla fiera Arte in Nuvola di Roma e nella mostra da Eric Hussenot a Parigi. Ho inventato una tecnica di affresco da “schermo liquido” per dipingerli, versando del sapone sopra i pigmenti di colore; con un po’ di acqua, questa pittura miracolosa svanisce. La mia mostra alla Galerie Hussenot cambiava ogni giorno: le pitture venivano spostate, a volte ritoccate, gli affreschi ridipinti di continuo. Avatar e slogan – come Outsideoftheinternetthereisnoglory – apparivano e poi sparivano. Davanti al pubblico, alla fine della mostra, in collaborazione col curatore Jérôme Sans e con Anika Meier, curatrice tedesca specializzata in NFT, è partita in galleria la produzione di una serie di “NFT Relazionali”.
‒ Miltos Manetas
MARKETPLACE IN 3D. IL METAVERSO SECONDO SOTHEBY’S
Sotheby’s Metaverse è la piattaforma digitale lanciata il 18 ottobre 2021 per ospitare il nuovo marketplace proprietario della casa d’aste dedicato alla vendita di NFT. In risposta al crescente interesse globale per gli asset d’arte basati sulla blockchain, lo spazio virtuale di Sotheby’s offre ai collezionisti tradizionali e digitali una selezione di Non Fungible Token curata dagli specialist di Sotheby’s. La prima asta di lancio della piattaforma è stata Natively Digital 1.2: The Collectors, con 53 opere provenienti da 19 cripto collezionisti di alto calibro, come VerticalCrypto Art, Pablo Rodriguez-Fraile, Pranksy, 888, j1mmy.eth, Seedphrase, WhaleShark, il dj e produttore Steve Aoki, l’ereditiera Paris Hilton e persino Time Magazine. Il lotto comprendeva opere di Dmitri Cherniak, Hackatao, Hideki Tsukamoto, 0xDEAFBEEF, Erick SnowFro, XCopy, Bored Ape Yacht Club of Yuga Labs, Larva Labs, Kevin Abosch, WhIsBe, Brendan Dawes, Serwah Attfuah. Altre due sessioni sono andate in scena lo scorso dicembre: Chromie Squiggle: MINT IT! e Hackatao: Queens+Kings. I potenziali acquirenti sono invitati a creare un profilo personale e ricevono un avatar unico creato dall’artista digitale e crypto designer Pak, protagonista lo scorso aprile di The Fungible, l’asta di debutto di Sotheby’s nel mondo degli NFT. Le forme accettate di pagamento? Comprendono sia la valuta cripto che tradizionale. Riguardo ai contenuti: non sarà solo l’arte contemporanea al centro dei cataloghi digital. Il progetto mira infatti a espandere nel tempo le aree di interesse negli ambiti del lusso, della moda, dello sport, della musica, dell’intrattenimento, della scienza e della tecnologia, in un presidio a tutto tondo per i crypto lovers del mondo e una scommessa sulla permanenza degli NFT.
‒ Cristina Masturzo
https://metaverse.sothebys.com/
IL METAVERSO COME SPAZIO ESPOSITIVO
“Own the Metaverse Renaissance” è lo slogan del B.20 Token, il fondo di investimento lanciato nel gennaio 2021 da Metapurse. Investire nel fondo vuol dire diventare co-proprietari di un pacchetto che include venti opere di Beeple (acquistate a dicembre 2020 per 2.2 milioni di dollari) e tre appezzamenti di “terra virtuale”, dislocati nei metaversi di Decentraland, Cryptovoxels e Somnium Space, su cui sono collocati anche tre “musei”, chiamati B.20 Monument. Quotato 1.5 euro al lancio, il B.20 è schizzato a un massimo di 20 euro il 10 marzo 2021, quando Metapurse ha acquistato l’opera Everydays di Beeple per 69 milioni di dollari, per poi crollare – da metà maggio – a un prezzo che oscilla tra il valore di partenza e gli attuali sessanta centesimi a token. Ma non è tanto di investimenti che vogliamo parlare qui, quanto del legame inscindibile che esiste tra gli NFT e la versione attuale del metaverso, che ovviamente condiziona il modo in cui l’arte vi si manifesta. Questo legame si regge su due colonne portanti: da un lato, l’NFT è il fondamento dell’economia interna della maggior parte dei metaversi; dall’altro, i metaversi sono, per i collezionisti di NFT, il luogo primario in cui fare sfoggio della propria collezione. Come è ormai noto, la funzione di un NFT (Non Fungible Token) è quella di certificare una proprietà digitale, e di rendere trasparente su una blockchain il valore della proprietà e lo storico delle transazioni. Uno dei suoi principali vantaggi è l’interoperabilità, ossia la possibilità di portare le proprietà digitali da un marketplace a un altro, e da uno spazio virtuale a un altro. Prima di contagiare il mondo dell’arte, tuttavia, è in quello dei videogame che l’idea di proprietà digitale si è manifestata e consolidata: terra virtuale, spazi e accessori 3D, skin, capi d’abbigliamento e altri oggetti indossabili per avatar costituiscono la stragrande maggioranza degli NFT disponibili sui marketplace interni ai singoli metaversi e sui mercati aperti come OpenSea. È in quest’ottica che i metaversi diventano i luoghi principali di socializzazione, di promozione e di presentazione delle collezioni d’arte registrata su blockchain: lo spazio in cui una collezione può manifestarsi in forme monumentali, raccogliere un’audience, fare da sfondo a un party. Un investitore puro si accontenterebbe di tenere le proprietà nel suo portafogli; un collezionista tradizionale di installarle nel proprio spazio privato, mostrarle in uno spazio fisico, farle circolare sui social media. Musei, gallerie e mostre negli spazi virtuali dei metaversi sono invece la manifestazione di un collezionismo “gamificato” e di una nozione estesa di proprietà digitale, ma allo stesso tempo veicolano una nozione impoverita di arte, ridotta a due funzioni primarie: ostentazione di possesso (o promozione di una merce, nel caso delle mostre e delle gallerie commerciali) e decorazione parietale. A queste due funzioni, musei come il B.20 Monument ne associano una terza: la promozione di un fondo di investimento. Con i suoi tre piani di sviluppo verticale, i suoi moduli cubitali sospesi nell’aria e le linee di luce fucsia che percorrono pareti, soffitti e pavimenti, l’edificio costruito da Voxel Architects raccoglie la lezione di tanta architettura museale postmoderna: espone soprattutto se stesso. Per quanto ingigantite a riempire l’intera altezza della parete, le opere di Beeple, incorniciate e corredate di una fascia nera che ospita la didascalia e il QRcode del lavoro, appaiono più come dei poster che delle opere da museo. Se visitate il B.20 Monument su Cryptovoxels, non tralasciate di dedicare un po’ di attenzione a uno dei 321 spazi attualmente segnalati sulla mappa come “gallerie”: superate le difficoltà della navigazione e la fastidiosa sensazione di abitare una discarica digitale vuota di presenze umane, a stupirvi sarà la bizzarra combinazione di spazi colorati, dinamici e impossibili nella realtà con l’assoluta banalità delle forme del display: poster giganteschi incollati a parete, rastrelliere e pannelli di cartonvoxel. Una sensazione analoga si percepisce attraversando gli spazi espositivi di Decentraland o le “parcel” di Somnium Space, isolate su cubi sospesi nel vuoto. Qui ha aperto la sua sede il Museum of Crypto Art (MoCA), la collezione “pubblica” creata e diretta dal collezionista Colborn Bell: un’architettura aperta in cui una selezione di lavori del museo è texturizzata su pannelli sospesi di varie dimensioni, appiccicata a soffitto o a pavimento. Cliccando sulle opere si apre un pannello informativo con didascalia, prezzo corrente, link a OpenSea. Le opere del MoCA non sono in vendita, ma visitando lo spazio di un collezionista che ha dichiarato in più occasioni di considerare l’arte uno strumento per la diffusione e la promozione delle criptovalute, non dovremmo stupirci che il prezzo di vendita faccia parte del display. Se il futuro del metaverso come spazio espositivo e luogo di socialità è nelle mani delle comunità che gli daranno forma, blocco dopo blocco, il suo presente è il riflesso dei gusti, delle competenze, delle necessità e delle ambizioni di quelle che lo stanno plasmando qui e ora. Il risultato è una vetrina 3D per merci prevalentemente bidimensionali, progettata da vetrinisti per cui l’arte è uno dei tanti asset proposti sul mercato, e abitata da creatori che l’assuefazione agli spazi angusti dei marketplace NFT ha privato (se mai ne hanno avuta una) di qualsiasi idea di specificità delle opere, degli spazi e delle modalità di presentazione.
‒ Domenico Quaranta
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