Biennale di Venezia e mercato. Il latte dei sogni che nutre i collezionisti
Mentre il mondo attraversa crisi geopolitiche globali e i venti di guerra soffiano impetuosi, il mercato dell'arte mostra una ripresa post pandemia e una capacità di adattamento sorprendenti. Come è possibile?
Abbiamo chiesto ad Antonella Crippa, coordinatrice Art Advisory & Fair Value della direzione Arte Cultura e Beni storici di Intesa Sanpaolo e già firma di Artribune, un commento sullo stato di salute del mercato dell’arte, alla luce di ciò che è emerso dalla 59. Esposizione Internazionale di Venezia e dal report annuale pubblicato da Art Basel e UBS.
Fin dalla sua prima edizione, la Biennale rappresenta un formidabile termometro del mercato.
Per chi per professione è abituato a cogliere aspetti market based, la Biennale è l’evento del biennio. Nel caso dell’edizione del 2022, posticipata di un anno per la pandemia, l’inaugurazione è stata organizzata appena dopo la diffusione della più autorevole e documentata analisi quantitativa in circolazione, l’Art Market Report curato da Clare McAndrew. Era impossibile non sovrapporre le due fotografie.
Il report fotografa un mercato dell’arte intrecciato allo scenario generale, ma non direttamente correlato.
L’inaugurazione della Biennale è stata affollatissima e ricca di eventi. Quest’anno la pressione e la partecipazione sembravano addirittura maggiori rispetto al passato, quasi una manifestazione plastica della percezione del superamento della pandemia; rientrati a casa, molti sono i positivi, il virus, qui e soprattutto in Oriente, morde ancora, ma si tende a scotomizzare. La stessa fiducia – a dire il vero un po’ smorzata durante l’evento di lancio online – emerge dai dati del 2021, che descrivono un mercato dell’arte in gran forma: dopo la più grande recessione degli ultimi dieci anni registrata nel 2020, il mercato globale dell’arte recupera il 29% sul 2020, attestandosi su valori che superano quelli del 2019, con un totale di vendite aggregate di 65.1 miliardi di dollari. È forse l’effetto di un rimbalzo, ma anche la stessa divulgazione del dato rassicura gli investitori.
Come si concilia questo sentiment positivo con i preoccupanti scenari determinati dal conflitto in Ucraina?
A Venezia, la guerra in Ucraina – crudele, vecchia, insensata – era un argomento di conversazione piuttosto che l’elemento che scuote le coscienze e preoccupa i mercati. Alla domanda del Padiglione dell’Ucraina “Can art be made after Bucha?”, la risposta implicita era affermativa. Lo stesso atteggiamento di fondo si legge tra le righe dell’introduzione al report di Marc Spiegler, Global Director di Art Basel: manifesta solidarietà e vicinanza umana agli ucraini e ai russi che protestano in patria contro la guerra, ma non fa trasparire una reale ansia. Va sottolineato però che, nel caso del report, i dati pertengono l’anno precedente, quando il conflitto non era ancora scoppiato, al contrario della settimana di Venezia, giorni in cui i suoi sviluppi erano evidenti.
Quanto contano nel mercato e per il collezionismo le diverse geografie che abbiamo visto protagoniste a Venezia?
Nel Padiglione centrale e all’Arsenale, due aree sono più visibili di altre. Da una parte c’è l’eurocentrismo delle capsule, le mini-mostre che rappresentano le origini della narrazione, mentre l’attualità sembra essere dominata dalle Americhe, nord, centro e sud; anche nella stessa selezione degli artisti non occidentali lo sguardo sembra provenire dall’Atlantico. In parte influisce la biografia di Cecilia Alemani, italiana che vive negli Stati Uniti. In ogni modo, nel 2021 gli Stati Uniti rappresentano il mercato dell’arte più forte, quello che ha mostrato maggiore resilienza, con il suo 43% di valore venduto, seguito da più del 29% se aggreghiamo quello di Gran Bretagna. Francia, Germania, Svizzera e Spagna, e parte del residuo 8%.
Quali sono invece le traiettorie artistiche e culturali?
Il movimento dominante è il Surrealismo, con tutte le ricerche variamente tangenti, intrecciate o derivate. Le capsule sono ricchissime di artiste tutte da riscoprire, i cui prezzi consentono ancora buoni investimenti. A Leonora Carrington si deve il titolo e il senso complessivo della mostra. Cecilia Vicuña ha vinto, con Katharina Fritsch, il Leone d’Oro alla carriera. Surrealismo e magia. La modernità incantata alla Peggy Guggenheim Collection, con la sua superba selezione di capolavori, conferma la forza e l’influenza di questi artisti sulle nuove generazioni. I primi di marzo, L’empire des lumières di René Magritte, da Sotheby’s, ha stabilito il nuovo record, poco meno di 60 milioni di sterline. Tutti elementi, e se ne potrebbero elencare altri, che vanno nella medesima direzione.
Non si può non notare in questa Biennale la predominanza delle artiste, quella metà dell’arte a lungo e storicamente espunta dal canone dominante dell’arte.
Anche tra i padiglioni nazionali sono tantissime le artiste donne, spesso di origine africana o della diaspora, nel pieno dei loro anni ma anche più giovani. Due di loro, Simone Leigh e Sonia Boyce, campionesse del Padiglione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, hanno vinto rispettivamente il Leone d’Oro per l’artista della mostra internazionale e per il padiglione nazionale. Tra le altre, risultano molto convincenti per i collezionisti Jadè Fadojutimi, Jana Euler, Christina Quarles, Kudzanai-Violet Hwami e Andra Ursuta, e le veterane Miriam Cahn, Mrinalini Mukherjee e Paula Rego. Le artiste sono sempre più presenti anche nei cataloghi delle evening sale, dove più in generale si assiste a una crescita della quota del venduto di artisti viventi rispetto a quelli deceduti: nel 2021, nel segmento Post War and Contemporary Art, si è arrivati al 50% di vendite di opere di artisti viventi, livello mai toccato prima.
A Venezia c’è poco spazio per gli NFT, mentre dal report emergono vendite in espansione: siamo passati dai 4.6 milioni di dollari del 2019 agli oltre 11 miliardi del 2021, on top rispetto al venduto totale.
In effetti a Venezia non c’era quasi traccia di NFT, poca anche l’arte video e digitale. Al contrario, nel 2021 sono stati onnipresenti sulla stampa e sui social. E nella comunicazione delle case d’asta, dove però si vendono con gran profitto anche collectibles non propriamente artistici come gioielli, orologi, borse, vini e auto d’epoca. Secondo il report, solo il 6% dei dealer intervistati ha venduto NFT (che peraltro sembra rimangano nella stessa proprietà solo un mese). Appare quindi un mercato tangente ma distinto, altamente speculativo e disintermediato, molto distante da quello presidiato dalle gallerie che sostengono gli artisti presenti a Venezia.
Dicevamo in apertura di una capacità di adattamento sorprendente del comparto dell’arte. O, almeno, di un suo segmento. Che l’estrema polarizzazione sia una delle caratteristiche del mercato è noto da tempo.
La pandemia non ha contribuito all’equità nelle gerarchie del mercato: le posizioni apicali sono sempre più distanti. E se tutto è in rimbalzo, a crescere in una proporzione senza precedenti è l’arte, che vale oltre i 10 milioni e a cubare di più è ancora il segmento del contemporaneo. A riportare il volume degli scambi ai livelli pre-pandemia, è detto chiaramente nel report, è stato soprattutto il numero in crescita e l’aumentata ricchezza degli acquirenti – collezionisti e investitori – che sono passati dallo spendere in media 72mila dollari nel 2019 a 126mila nel 2020 e a 274mila nel 2021. Di conseguenza sono cresciuti i prezzi di alcune, specifiche tipologie di opere che hanno assorbito la perdita di interesse e quindi di valore degli altri beni d’arte. Il 55% del valore del mercato deriva da transazioni di beni dell’arte Post-War and Contemporary, cui si aggiunge il 22% di opere d’arte moderna. Il latte dei sogni nutre in egual misura chi ha entrambe le passioni.
– Cristina Masturzo
http://www.artbasel.com/about/initiatives/the-art-market
https://www.labiennale.org/it
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #67
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