Al cinema Le favolose di Roberta Torre. Ecco chi sono
La regista di Tano da morire presenta alle Notti Veneziane il suo nuovo lavoro, un documentario sulla libertà. Le favolose è una storia-spettacolo, un film manifesto. Non è un racconto politico ma una riflessione 'favolosa' sul non negare a nessuno dignità e rispetto, in vita e in morte. Al cinema dal 5 al 7 settembre
Qualche anno fa, nel 2012, alla Mostra del Cinema di Venezia fu presentato il primo film di Haifaa al-Mansour. Una storia ambientata in Arabia Saudita con protagonista una bambina esuberante e indipendente, con il sogno di comprare una bicicletta verde per poter pedalare verso la libertà. Cosa c’entra questo con Le favolose di Roberta Torre? Ben poco ma… Nel nuovo racconto cinematografico della regista di Tano da morire, presentato alle Notti Veneziane, in occasione delle Giornate degli Autori 19, c’è un oggetto verde, non una bicicletta questa volta ma un vestito. Un oggetto che anche qui è metafora di libertà. Come può un vestito permettere la libertà? Non si dice che ‘l’abito non fa il monaco’? In breve e in modo chiaro: le favolose sono 5 trans che si riuniscono nella casa in cui sono state amiche, e tanto, vent’anni dopo la scomparsa di Antonia, una di loro. Una lettera, apparsa dopo tutto questo tempo, contenente nero su bianco i desideri di Antonia, è il motivo di questo incontro. Il suo desiderio primario, di cui si legge, è l’essere seppellita con il suo vestito verde “lo conoscete, me l’avete regalato voi”. Purtroppo però il suo destino è stato un altro. Antonia è stata messa nella bara con abiti da uomo e sepolta con il suo nome di battesimo, Giampaolo, nell’indifferenza più totale del suo essere, “la sua famiglia non ha mai accettato la sua natura”. Il film è in sala dal 5 al 7 settembre con Europictures.
LE FAVOLOSE: UNA STORIA-SPETTACOLO, UN FILM MANIFESTO
Le favolose è un piccolo film ma ha una grande storia da condividere. Una storia che appartiene a molte persone e che cerca libertà e rispetto. È un film manifesto. Manifesto di qualcosa di così attuale e forte da necessitare di un vero dibattito. Le favolose parla di identità, o meglio del disconoscimento della propria identità. Forse non molti ci pensano ma quando muore un trans la sua memoria viene calpestata e sconvolta. “Le famiglie si vergognano e così funerale, cerimonia e tumulazione avvengono in gran segreto tra pochi intimi, frettolosamente manomesse nell’estetica, e Gianna diventa Gianni, Luciana Luciano, Francisca Francisco. In questo modo nessuno potrà più riconoscerle”. E non finisce qui: “sulle lapidi viene stampato il loro nome da uomo, in un’identità che mai più sarà quella da loro scelta durante la loro la vita terrena”. Queste sono le parole dure, secche, perfette con cui è stato scelto di comunicare il film, prodotto dall’acutissima Donatella Palermo (da sempre sostenitrice di storie importanti come quelle raccontate da Roberta Torre, ma anche da Valentina Pedicini, Gianfranco Rosi e i fratelli Taviani). E questo è quello che avviene alla protagonista de Le favolose.
Le favolose ruota attorno a una giornata, quella del ritrovo della ‘Memorabile Famiglia Reale’, il gruppo di elette, nella sconfinata costellazione trans, chiamate ad incontrarsi nell’appartamento in cui molti anni prima hanno vissuto in allegria e armonia. “Era stata la nostra casa, fatta di risate e gioie, di dolori e delusioni”. Il vero scopo di questa riunione, al principio tenuto nascosto, è quello di organizzare una seduta spiritica per permettere ad Antonia di ritornare temporaneamente sulla Terra per avere una degna sepoltura, come da lei indicata e indossando il suo abito verde. Qui il film, dopo ricordi nitidi e vivaci, si trasforma in una festa. Una festa dal dolce e delicato sapore di rivincita. È qui che una delle favolose rivela allo spettatore: “Vi dico un segreto. La verità è che noi tra delirio e dramma abbiamo sempre scelto lo spettacolo”.
VENEZIA 79: PERCHÈ VEDERE LE FAVOLOSE?
Le favolose è un film che apre molte parentesi. Se il cuore del racconto è la dignità violata di Antonia, attorno a questo ci sono tante altre linee da percorrere e seguire. Proviamo ad andare per ordine: c’è la libertà, la libertà di essere chi si vuole e chi si sente; c’è la consapevolezza che la libertà non sempre è una festa (o almeno non lo è subito!), come ricordato nel film: “ho scelto di essere libera, e la libertà ha un prezzo”; c’è il ricordo dei tempi passati, tempi in cui tutto era diverso ma forse più definito. Come viene detto, negli “anni 70, anni della rivoluzione sessuale, le persone volevano scoprire i tabù”. Ed oggi? Da quegli anni passati arriva una lucida osservazione sulla prostituzione: “la prostituzione per anni è rimasta un marchio. Se dicevi trans, era come dire prostituzione. La prostituzione ci ha permesso però di vivere ed esistere in un mondo che non ci permetteva di esistere”. E sempre sul tema, la prostituzione “è stata mezzo di sopravvivenza e grande gioia. Potevamo gestire il nostro tempo. Per la nostra categoria non c’erano i papponi. Eravamo libere dal tempo-Lavoro”. E poi c’è la consapevolezza di essere uniche: “Eravamo coscienti di essere altro, di non essere conformi, non essere normali”. Le favolose dicono tante cose in questo film, tantissime e tutte attualissime ma quella che forse le racchiude tutte è decisiva: “Alla fine volevamo solo una cosa: amore, amore, amore”.
VENEZIA 79: LE FAVOLOSE SONO…
Ecco chi sono “le favolose”, così come loro hanno scelto di definirsi e raccontarsi: Porpora Marcasciano, ribelle e irriducibile sognatrice, attivista storica del movimento LGBT presidente onoraria del MIT (Movimento Identità Trans), è stata una figura importante del movimento italiano fin dai suoi esordi all’interno dei collettivi degli anni ’70. Attualmente è Presidente della Commissione per le Pari Opportunità del comune di Bologna; Nicole De Leo, che ha avuto una vita da un lato divertente e dall’altro tenebrosa, dal 1977 ad oggi è stata interprete di tanti spettacoli e la vedremo, diretta sempre da Roberta Torre, in Mi fanno male i capelli con Alba Rohrwacher e Filippo Timi. Ad oggi Nicole è presidentessa del MIT (Movimento Identità Trans) di Bologna; Sofia Mehiel, conosciuta come la Papessa, è infermiera, attrice, anche lei attivista del MIT, madrina di vari Pride; Veet Sandeh ritiene che il suo corpo è un atto politico e dice “ogni qualvolta esco di casa mi espongo al giudizio, alla critica e alla violenza”. Trasferita a Torino nel 1979 dopo essere stata cacciata da casa con il fucile puntato, nell’81 inizia il suo percorso di transizione e diventa subito presidente del MIT Movimento Italiano Transessuali. Nel 2016 è co-fondatrice del Divine Queer Film Festival sempre a Torino. Oggi ha lasciato il movimento LGBT istituzionale per visioni che non risuonano nelle sue corde fondando l’associazione Sunderam Identità Transgender Torino; Mizia Ciulini dice “sono una terra di mezzo, da sempre”. Il suo mestiere per vivere è sempre stato la scrittura, tecnica, come bid o documentation manager, a partire dalla scuola di vita in Olivetti; Massimina Lizzeri, in primis regina della festa, ama cucinare, leggere, e occuparsi delle sue piante. Vuole trasformare il suo terrazzo come un giardino pensile di Babilonia; Mina Serrano è un’artista visiva, perfomer e modella che vive a Parigi. Ha assunto l’identità come filo conduttore del suo lavoro; originariamente formatasi nel teatro classico, ora la sua pratica si espande dalla performance art, al cabaret, all’autoritratto, alla scultura, confondendo i confini tra tutte queste discipline; Antonia Iaia negli anni Ottanta lavora come costumista e scenografa per Enzo Moscato nello spettacolo “Scannasurice”, e poi entra a far parte del gruppo Falso Movimento, con cui lavora come attrice, tra l’altro, negli spettacoli “Otello” di Verdi e “Coltelli nel cuore” per la regia di Mario Martone che la dirigerà anche in “Woyzeck” di Georg Buchner, regista con cui lavorerà più volte.
–Margherita Bordino
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