Dialogo con l’Arco di Castiglioni. Intervista impossibile a un capolavoro
Tornano le nostre interviste impossibili e stavolta dall’altra parte del microfono c’è la mitica lampada Arco di Achille e Pier Giacomo Castiglioni. Che compie 60 anni e racconta com’era vivere ai tempi dei suoi progettisti
In occasione del Salone del Mobile 2022, dopo due anni di assenza a causa del Covid-19, abbiamo intervistato una delle più grandi icone del design italiano, la lampada Arco001 progettata da Achille e Pier Giacomo Castiglioni nel 1962. Quest’anno la lampada compie sessant’anni e riveste un ruolo da protagonista in varie mostre milanesi: in particolare Arco va in scena alla Fondazione Castiglioni, mentre la nuova Arco 2022, con il basamento in cristallo, spicca nell’allestimento di Flos presso Fabbrica Orobia.
Buongiorno signora Arco, innanzitutto grazie per aver accettato questa intervista, so che è molto restia a concederne.
Grazie a lei, in occasione del mio 60esimo compleanno ho fatto un’eccezione [ride, N.d.R.].
Un compleanno importante per una delle icone del design italiano e internazionale, non solo degli Anni Sessanta ma di tutti i tempi.
Così mi lusinga troppo, sicuramente Achille e Pier Giacomo erano dei geni, noi lampade iniziamo a essere senzienti solo quando montate completamente, ma Mezzadro e gli altri oggetti dello studio mi hanno raccontato quanta passione e ingegno sono stati messi nella mia progettazione.
Il suo design è stato oggetto di lodi e di apprezzamenti fin dalla sua nascita nel 1962: per la prima volta una lampada da terra poteva abitare lo spazio senza vincoli e creare nuove relazioni all’interno dell’ambiente abitato. A distanza di sessant’anni è ancora una delle lampade più iconiche e ammirate, a cosa pensa sia dovuto tutto questo successo?
Mi ricordo che, fin da quando sono stata tolta dall’imballaggio e assemblata nello store di Flos a Milano, ho subito ricevuto innumerevoli complimenti. Una delle ragioni del mio continuo successo, anche ora che sono tornata nello studio dei Castiglioni alla Fondazione, penso sia la mia personalità spumeggiante, vengo subito notata, è un dono, amo essere al centro dell’attenzione e credo che questa mia peculiarità piacesse anche ad Achille e Pier Giacomo quando erano ancora in vita.
IL DESIGN DEI FRATELLI CASTIGLIONI
Mi parli un po’ della sua vita con i Castiglioni. Ha vissuto nel loro studio per circa venticinque anni, come erano i maestri mentre progettavano?
Ho vissuto nello studio dei Castiglioni in piazza Castello dal 1963 al 1989. Vedere i due fratelli lavorare insieme era divertente ed emozionante, avevo due padri. Pier Giacomo era molto più riservato di Achille, in studio si rideva molto e i due andavano molto d’accordo. Entrambi amavano insegnare ed era bello quando venivano gli studenti a imparare direttamente da loro.
Mi racconti del loro modo di progettare.
Onestamente riguardo al modo in cui progettavano posso dirle ben poco, non sono mai stata una grande esperta di design nonostante ne sia un’icona, posso però dirle la meraviglia nell’osservare Achille disegnare, era come vedere un uomo sognare a occhi aperti. I fratelli erano inoltre attenti ai dettagli a livelli quasi maniacali. I primi anni all’interno dello studio sono stati stupendi, tutti, inclusi Achille, Pier Giacomo e gli altri oggetti, mi riempivano di lodi e attenzioni e sentirli parlare di me era inebriante.
Poi cosa è successo?
Nel 1968 Pier Giacomo è scomparso improvvisamente. Tutti nello studio eravamo profondamente legati a lui, è stato un duro colpo, specialmente per Achille. Nel 1971, è arrivata Parentesi001, che ha sicuramente aiutato molto Achille a risollevarsi. Ero felice per lui, ma la nuova arrivata non mi è mai piaciuta, era la nuova preferita di tutti, era sempre pronta a criticarmi per essere antiquata. Il tutto non è migliorato quando ha fatto vincere ad Achille il Compasso d’oro nel 1979, doveva sentirla come continuava a vantarsi. Ora però è stata buttata perché si è rotta durante un trasloco mentre io sono ancora qui più in forma che mai. Una cara amica che mi ha invece svoltato gli Anni Settanta è stata Frisbi15, simpaticissima e davvero intelligente, non so che fine ha fatto, non si trova qui in Fondazione, spero non sia stata buttata.
ARCO E PATRICIA URQUIOLA
Se non mi sbaglio nel 1989 ha cambiato proprietario. Mi racconti un po’ di questo cambiamento.
Esatto, mi sono trasferita con Patricia Urquiola, sono stata il suo regalo di laurea da parte di Achille, che ne fu il relatore al Politecnico di Milano. Achille adorava la giovane Patricia, era come una figlia per lui, deve sapere che Achille era un uomo di grande sensibilità e affetto.
I primi anni con Patricia non sono stati semplici, vivevo nel suo soggiorno e vedevo poche persone durante le mie giornate, ho sofferto un po’ la mancanza del via vai e che c’era in studio. Devo però dire che Patricia era una perfetta coinquilina, siamo subito andate d’accordo anche se non la vedevo spesso e all’inizio facevo fatica a capirla perché in casa parlava spagnolo, col tempo però sono diventata fluente anch’io.
Quindi sa lo spagnolo?
Claro que si, aprendí español escuchándo a ella y a los demás objetos [ride, N.d.R.]. Inoltre è stato bello vivere con un’altra donna. In quegli anni ho conosciuto bene anche Vico Magistretti, con il quale Patricia collaborava, uomo splendido, sempre sorridente e indaffarato, credo mi ammirasse molto nonostante avessi certamente molto più successo delle sue Atollo ed Eclisse.
Tornando alla Urquiola, che è una della più importanti designer contemporanee, è riuscita a cogliere degli aspetti del suo metodo di progetto? In cosa si differenzia secondo lei da quello dei Castiglioni?
Ho potuto ammirare Patricia al lavoro a partire dal 2001, quando ha fondato il suo studio e mi ha spostata lì. Sono stata felice del cambiamento. Vivere con dei bambini piccoli non fa per me, venivo continuamente toccata, fortunatamente non sono un peso piuma altrimenti non sarei qui tutta intera oggi. Il modo di lavorare era cambiato radicalmente, quando ero da Castiglioni si disegnava tutto a mano col tecnigrafo e quante notti sono dovuta rimanere accesa per supportare Achille!
Continui…
Nello studio di Patricia la tecnologia si era ormai evoluta in modo esponenziale ed era diventata incredibile, computer, plotter, stampanti, tutto all’ultimo grido. Non venivo più accesa in favore di led più moderni, ero più che altro un oggetto d’arredamento, però facevo sempre la mia bella figura. La cura dei dettagli e l’attenzione e la passione per i progetti e per le richieste dei committenti erano sempre dei punti fondamentali del lavoro. Patricia tra l’altro lavorava con il marito ed era molto divertente vedere come cambiava la loro relazione da casa, dove li vedevo prima, allo studio.
La sua relazione con la Urquiola dunque era ottima?
Andavamo molto d’accordo, avevo un posto speciale nel suo cuore, soprattutto dopo la morte di Achille nel 2002. Anche se logicamente amava maggiormente i suoi progetti e non avevamo il tipo di relazione che avevo con Achille e Pier Giacomo. Ricordo che ero molto amica di Caboche, che ho conosciuto nel 2005, esattamente un anno prima del mio spostamento alla Fondazione Castiglioni, dove ci troviamo oggi. Ho conosciuto Patricia quando era ancora agli inizi della sua carriera, ma l’ho rivista di recente proprio qui in fondazione in occasione di un workshop, sono veramente felice per lei e per tutto il successo che sta ottenendo. Mi ha fatto conoscere Almendra, una lampada deliziosa, che mi ha raccontato vari retroscena sul Salone del Mobile che però non posso raccontarle.
Per lei è stato un po’ come un ritorno a casa.
Esatto, è stato molto bello, ho rivisto le mie care amiche Lampadina02, Snoopy04 e Taccia08, con la quale condivido l’anno di nascita e che si trova proprio qui vicino a me. Mi ha fatto molto piacere rincontrare anche Mezzadro12 e Sella03 che non vedevo dagli Anni Settanta, quando sono stati spostati in una stanza diversa dello studio. Ho incontrato per la prima volta anche Joy27 e tutti i progetti posteriori alla mia dipartita dallo studio che mi avevano visto solamente in foto, erano tutti grandi fan ovviamente. È stato bello poter parlare insieme dei ricordi che ognuno di noi aveva degli uomini che ci hanno progettati, li adoravamo tutti e ci mancano moltissimo.
Ha rivisto anche i figli di Achille Castiglioni.
Rivedere Carlo, Monica e Giovanna è stato emozionante. Non vedevo Giovanna da quando era ancora una bambina e passava in studio a trovare il papà. Vedere la passione con la quale racconta i lavori del padre all’interno della fondazione mi ha riempito d’orgoglio.
Sicuramente l’ambiente della fondazione è stimolante.
Ho passato tutta la mia vita in ambienti stimolanti, ma effettivamente essere in fondazione è elettrizzante, spesso vengono organizzate mostre e posso conoscere oggetti e lampade più giovani. ai quali sicuramente posso insegnare molto ma che regalano molto anche a me. Per l’ultima mostra in occasione del Salone del Mobile di quest’anno, intitolata 1962, blocchi di marmo, manici di scopa e altre storie, rivesto un ruolo da protagonista insieme a Taccia, Gatto, Relemme, Toio, Ventosa, Sleek e Giro, spero di non aver dimenticato nessuno. Anche se, diciamocelo, la vera protagonista dell’allestimento sono io.
UNO SGUARDO AL DESIGN DI OGGI
Che idea si è fatta del design contemporaneo?
Alla fondazione ho potuto assistere a numerosi workshop in cui viene insegnato ai partecipanti il metodo Castiglioni. Spesso i giovani d’oggi tendono e prendere tutto con troppa serietà e a non divertirsi mentre progettano, la competitività è alle stelle, con Achille e Pier Giacomo in studio ci si divertiva sempre, anche durante i momenti di tensione prima di una grande consegna. Trovo che fra i giovani che ho incontrato ci siano davvero dei buoni progettisti, anche se, come le ripeto, non sono una grande esperta di design e tutto quello che so l’ho imparato osservando e stando vicino ai più grandi. Taccia è invece una grande esperta di questi argomenti.
Ma, dovendo scegliere, quale generazione preferisce?
Il mio cuore resta sicuramente legato al mondo del progetto degli Anni Sessanta e Settanta, ma, vedendo lavorare i più giovani, Patricia negli Anni Novanta e i ragazzi che partecipano ai workshop e ai progetti della fondazione ora, trovo che il design italiano sia più vivo che mai. Certo i canoni estetici sono cambiati, così come è cambiata la società, e sono molto felice che anche il design si stia evolvendo, stia diventando sempre più inclusivo e sociale, su questo devo però dire che i Castiglioni erano già avanti negli Anni sessanta. Non posso fare dei veri e propri paragoni, dato che sono sempre rimasta in ambienti interni e privati prima del mio spostamento in fondazione. Sono però molto orgogliosa del fatto che i Castiglioni, Vico e Patricia vengano considerati dei veri e propri maestri e punti di riferimento, se lo meritano.
‒ Nicolò Martinelli
Articolo elaborato nell’ambito del corso di Critical Writing, primo anno del Biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali, NABA – Nuova Accademia di Belle Arti, a.a. 2021/2022
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