Danny Avidan – The Tragedy of Acis and Galatea

Informazioni Evento

Luogo
TUBE CULTURE HALL
Piazza XXV Aprile , Milano, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al
Vernissage
14/09/2022

ore 18

Artisti
Danny Avidan
Generi
arte contemporanea, personale

“L’artista è triade, latte, sangue e occhio, al di là del genere e dei ruoli, spinge tale flusso vitale fino alle falangi e così facendo attua una metamorfosi materica che trova concretezza in un tratto pittorico denso e graffiato.”

Comunicato stampa

The Tragedy of Acis and Galatea
mostra personale di Danny Avidan
testo di Domenico De Chirico
14 Settembre | 29 Ottobre 2022
Opening mercoledì 14 Settembre dalle 18 alle 21
Tube Culture Hall è lieta di annunciare la prima mostra personale in Italia dell'artista giamaicano
d'origine ma italiano d'adozione, Danny Avidan, classe 1989, accompagnata da un testo critico a
cura di Domenico de Chirico. La mostra è stata organizzata in collaborazione con la galleria romana
Andrea Festa Fine Art.
Dal testo di Domenico De Chirico:
„Amo tutto ciò che scorre, tutto ciò che ha in sé tempo e divenire, che ci riporta al principio dove
non c’è mai fine: la violenza dei profeti, l’oscenità che è estasi, la saggezza del fanatico, il prete
con la sua gommosa litania, le parole sozze della puttana, lo sputo portato via nella fogna, il latte
della mammella e l’amaro miele che si riversa dall’utero, tutto ciò che è fluido, fuso, dissoluto e
dissolvente, tutto il pus e il sudiciume che scorrendo si purifica, che perde il suo senso originario,
che fa il grande circuito verso la morte e la dissoluzione. Il grande desiderio incestuoso è scorrere
all’unisono col tempo, fondere la grande immagine dell’aldilà con quella dell’hic et nunc. Un
desiderio fatuo, suicida, reso stitico dalle parole e paralizzato dal pensiero.“ —
*Henry Miller, "Tropico del Cancro" (pubblicato per la prima volta nel 1934 da Obelisk Press a
Parigi)
Questa mostra inizia con il naso. Un naso altamente percettivo e filosofico da intendersi come senso
supremo della conoscenza intuitiva. Un naso nietzschiano, celebrato con l'asserzione «il mio genio è
nel mio naso», un naso che diviene formidabile alleato della verità e che è in grado di sondare
anime e cuori, che cerca e annusa, scopre e ritrova, si eccita e si spaventa, ulula e si assopisce tra
resti organici al contempo fervidi e fetidi, poiché ogni cellula, ogni atomo dell'essere sussurra la vita
e dunque la morte, la vita e i suoi sogni, le speranze, i primordi e i desideri, gli amori e i flagelli, i
fiumi e le sabbie, l'umido e l'arido, il mondo. È da un tale approccio induttivo che queste tele si
dipanano, un percorso che va dalla più piccola cellula dell'essere fino a costruzioni mitologiche
rarefatte che non sono altro se non un ritorno al punto di partenza, ciclo di vita, sussurri e grida,
artefatti atavici che parlano la lingua del sangue e giocano con le emozioni più recondite e
originarie. Un dualismo processuale dunque, viscerale e intellettuale, impulsivo e storiografico, un
andirivieni che tuttavia inizia dalle macerie organiche per poi farvi ritorno incessantemente.
Le opere di Danny Avidan sono strati sedimentati e lacerati in cui ogni elemento guizza tra tutti gli
altri per decantarne la trasformazione e la nascita, la distruzione e il fatuo.
Come già rivelato dal titolo “The Tragedy of Acis and Galatea”, matrice dell'intera mostra, Galatea,
figura della mitologia greca, una delle cinquanta ninfe del mare, le cosiddette Nereidi, aveva una
relazione amorosa con il giovane e bellissimo Aci, figlio di Fauno e della ninfa Simetide,
all'insaputa del ciclope Polifemo. Quando quest'ultimo lo scoprì, andò su tutte le furie e schiacciò
Aci sotto un masso. Galatea, nel suo dolore, mescolò le sue lacrime al sangue del cereo e morente
Aci e lo trasformò in un fiume.
L'artista è triade, latte, sangue e occhio, al di là del genere e dei ruoli, spinge tale flusso vitale fino
alle falangi e così facendo attua una metamorfosi materica che trova concretezza in un tratto
pittorico denso e graffiato. Osservando il risultato non troppo da vicino si ha la sensazione di
osservare un feto, in costante quiete seppure perennemente in movimento, dormiente eppure in
totale fase evolutiva. C'è qualcosa, infatti, che tiene ogni cosa unita, come se gli enti volessero
rimanere a tutti i costi avviluppati tra di loro, anche quando qualcosa termina il suo corso vitale esso
non scompare ma diventa altro, si mischia con altro, resta incollato all'essere in quanto non conosce
modi alternativi all'essere stesso. Ed è cos ì che le tele di Avidan restano incollate al mondo come
sussulti di pittura organica, pronti per essere leccati, hanno il colore della carne, i toni della
riproduzione e i mormorii di ciò che è avvenuto e di ciò che continuamente e ripetutamente avviene
qui e al di fuori di qui.
Danny Avidan (1989, Kingston, Jamaica) vive e lavora tra Berlino e a Pesaro. Ha ottenuto il BFA con onore nel
2012 presso la Bezalel Academy of Art and Design | Fine Arts a Jerusalem, Israel e ha frequentato nel 2010-2011
Universität der Künste | Class of Christiane Möbus a Berlino. Tra le sue mostre ricordiamo due solo show presso
Bark Gallery, a Berlino (Tantava, 2020 | The Younger Dryas, 2019) e le sue collettive: Roma Arte in Nuvola,
Andrea Festa Fine Art a Roma nel 2021; Swab Barcelona, Andrea Festa Fine Art a Barcellona nel 2021; Erotic
Salon, Noga Gallery a Tel-Aviv, nel 2018.