Tutta la forza della materia nella mostra di Claudio Costa a Milano
Materia, antropologia e ritorno alle origini nella mostra dedicata al lavoro di Claudio Costa presso la galleria C + N CANEPANERI di Milano. Un viaggio alla scoperta dell’artista morto nel 1995
Cervelli, mascelle, ardesia e catrame: pochi artisti come Claudio Costa (Tirana, 1942 ‒Genova, 1995) sono in grado di riportarci con così tanta forza agli elementi fondativi dell’esperienza sulla Terra. In occasione di una sintetica ma completissima retrospettiva dell’artista albanese naturalizzato ligure, la galleria C+N CANEPANERI di Milano e il curatore Stefano Castelli hanno realizzato un percorso sincopato e di ampio respiro, che permette di riscoprire la produzione artistica d’avanguardia di Costa dalla fine degli Anni Sessanta ai Novanta. In Evoluzione – Involuzione, il cui titolo si ispira a una poesia dello stesso artista, emerge quindi con forza l’interesse per l’antropologia esercitato da Costa per tutta la vita, ma non solo: tra esperimenti pop e d’Arte povera e il ciclico rifiuto della cultura di massa, l’artista crea connessioni radicali tra popoli lontani, scavando fino a trovare un minimo comune denominatore tra esseri umani che li porta, ci porta, a una continua riscoperta di pochi, essenziali valori.
LA MOSTRA DI CLAUDIO COSTA A MILANO
La mostra conferma una visione di Costa come di un pensatore profondamente anticonformista, consapevole della propria alterità e tuttavia aperto a rimettere costantemente in discussione la propria percezione del reale, complice la fondamentale lezione del Sessantotto. “C’è una forte critica della società di massa e della ‘cultura del progresso inarrestabile’, che conteneva tra le altre la concezione occidentale che le culture africane fossero meno sviluppate: a queste visioni inevitabilmente superficiali, Costa contrappone uno studio antropologico reale dell’Africa, dove tra gli Anni Settanta e Novanta risiede anche per anni alla volta acquisendo consapevolezza e tecniche, che contribuiscono a una prima decolonizzazione oggi molto attuale”, racconta ad Artribune Stefano Castelli, già curatore di importanti mostre su Costa – come quella realizzata a Venezia in parallelo con Hermann Nitsch – e che per l’esposizione, prorogata fino al 30 settembre, ha collaborato con l’Archivio Claudio Costa. “Costa crea, in Africa, imparando le tecniche locali. E quando non può farlo, si avvicina alle stesse tecniche e visioni in Italia, nel territorio di Rapallo, che oggi meglio di ogni altro conserva la sua memoria”.
LA POETICA DI CLAUDIO COSTA
Appare evidente la matrice ancestrale e materica in Saltafossi, che trionfa nella prima stanza dello spazio di Foro Buonaparte. Come la lancetta di una bussola, la complessa scultura orienta lo sguardo tra l’azzurro delle pietre delle Terre emerse e il favo secco ricreato in argilla ne Il meno per dividere il più il più per dividere il meno, volando sopra La casa dello sguardo impossibile, che nega la fertilità del progresso tra un idolo rovesciato e una mascherina da sci. Passando dai cervelli significanti di Senza Titolo, si approda alla seconda stanza, in cui si staglia, immensa, la Macchina Alchemica, autentica divinità androide che emerge come un totem dal gesso e dal legno, e a cui si accosta la “scala” di ardesia Spine, ridatata al ’68 durante l’esposizione dalla figlia di Costa ed esposta qui dopo oltre vent’anni dalla sua prima apparizione.
Il ricorrere dell’interesse verso le società tribali e la natura materica delle cose si manifesta anche e soprattutto in una tendenza alla trasformazione, che da fattore di stress contemporaneo diventa qui rassicurante: non esiste una risposta giusta. Cruciale in questo senso il concetto di “work in regress”, un ritorno alle origini che comprende e supera la lezione antropologica fino a toccare la radice stessa della cultura umana, che è rurale e (paradosso) in un certo senso realmente di massa, perché profondamente democratica e comunitaria.
‒ Giulia Giaume
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