Nel nuovo spazio di Atipografia ad Arzignano artisti faccia a faccia con la materia

Mats Bergquist, Gregorio Botta, Mirko Baricchi, Mattia Bosco sono i protagonisti della mostra inaugurata negli spazi di Atipografia trasformati in sede espositiva. Una mostra senza curatori, per rinsaldare il legame tra artisti e opere

Unplugged è il titolo della mostra che vede esordire Elena Dal Molin, fondatrice di Atipografia, in un nuovo ruolo: lo spazio di Arzignano, recentemente ristrutturato, affianca ora all’attività di associazione culturale, operante fin dal 2014, quella di vera e propria galleria. Nata dal confronto diretto dei quattro artisti coinvolti, senza la presenza di alcun curatore, l’esposizione in corso intende, nei propositi della neo-gallerista, “promuovere la relazione concreta tra opera e spazio e favorire un esito finale in cui il rapporto diretto fra le opere e i visitatori mira ad abbattere ogni possibile barriera tanto sul piano fisico quanto sul piano concettuale”. Ciascun artista si misura infatti in un “corpo a corpo” con l’opera nell’intento di trascinare anche lo spettatore in un coinvolgimento emozionale assolutamente unplugged, diretto, immediato, al tempo stesso carnale e spirituale.

Unplugged. Gregorio Botta. Installation view at Atipografia, Arzignano 2022. Photo Luca Peruzzi

Unplugged. Gregorio Botta. Installation view at Atipografia, Arzignano 2022. Photo Luca Peruzzi

LE OPERE DI GREGORIO BOTTA E MIRKO BARICCHI

Gregorio Botta (Napoli, 1953) lavora con materiali basici come ferro, piombo, vetro, cera, alabastro, né disdegna di ricorrere alla presenza degli elementi dell’acqua e del fuoco.
Citazione del celebre dipinto di John Everett Millais, il Carro di Ofelia (2022) è un piano dai bordi rialzati in ferro brunito posto su ruote. Vi è distesa una lastra di piombo leggermente increspata, lungo i cui avvallamenti scorrono dei lenti rivoli d’acqua, come se il torrente fiorito del dipinto preraffaellita si fosse trasformato esso stesso in funebre veicolo in rotta verso lo Stige, cosparso di una residua fioritura di petali impalliditi, realizzati in ceramica. In Muta (2019) una campana tibetana è sospesa nel mezzo di una teca di vetro riempita d’acqua, come se le onde sonore del suo squillo si fossero congelate nella muta immobilità di una sostanza diafana e impenetrabile.
La pittura di Mirko Baricchi (La Spezia, 1970) è una pratica immersiva ed estrema: qui presenta paesaggi che sono anche mappa di se stessi, una sorta di cartografia di tasselli vegetali in cui le modalità tecniche della pittura mimano da un lato l’aprirsi delle radure e l’addensarsi dei boschi, dall’altro le trasparenze e le torbidezze delle acque: come avviene nel grande dipinto Oltre la Selva (2022), la materia cromatica, infatti, ora viene sfregata con pennellate che quasi cancellano se stesse nel momento in cui lasciano la loro traccia, ora si trova stesa in velature liquide a formare aloni che evocano iridescenze fluviali o lacustri.

Unplugged. Mattia Bosco. Installation view at Atipografia, Arzignano 2022. Photo Luca Peruzzi

Unplugged. Mattia Bosco. Installation view at Atipografia, Arzignano 2022. Photo Luca Peruzzi

MATTIA BOSCO E MATS BERGQUIST IN MOSTRA AD ARZIGNANO

Mattia Bosco (Milano, 1976) ci propone un’idea di scultura incentrata sulla dicotomia tra grezzo e levigato, tra la naturale scabrosità lapidea e il suo virtuosistico affinamento fino a sfidarne i limiti strutturali. La pietra viene a tratti squadrata, affinata e polimentata, come per scoprire al suo interno una vena geometrica e una vocazione cristallografica, interfoliando una geometria di piani levigati nell’informe plasticità del minerale. Ne sono un esempio Sezione Aurea BS1 e Sezione Aurea BS2 (2022), due monoliti di un marmo aspro e scaglioso nella cui struttura si profilano delle intersezioni a spigoli taglienti, preziose e dorate.
Mats Bergquist (Stoccolma, 1960), ispirandosi alla tradizione delle icone russe e copte, tratta i suoi materiali come se essi racchiudessero una sostanza sacrale, oggetto di una monacale dedizione e adorazione. L’autore si pone in una disposizione d’animo quasi religiosa, affrontando la materia con una partecipazione di sensuale spiritualità, manipolando gli stessi masselli lignei usati dagli antichi pittori di icone. In Till Lucia (2022) o in La Suite di Brigida (2018) l’artista svedese testimonia un prolungato rapporto tattile, affettivo, esclusivo con il corpo fisico delle sue “icone”, il cui estenuato candore si rivela frutto di una maniacale opera di stratificazioni e lucidature, fino a deformare la superficie, fin quasi a consumarla a forza di carezze.

Alberto Mugnaini

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Alberto Mugnaini

Alberto Mugnaini

Alberto Mugnaini, storico dell’arte e artista, si è laureato e ha conseguito il Dottorato di Ricerca all’Università di Pisa. Dal 1994 al 1999 ha vissuto a New York, dove è stato tra i fondatori del laboratorio di design “New York…

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