A Bologna un’installazione di public art dà voce alle donne afghane
In via dell'Indipendenza e per tutto ottobre sarà svelata una serie di poster che richiamano il motto usato dalle donne durante le proteste dell'agosto 2022, a un anno dalla caduta di Kabul in mano ai Taliban
“Pane, lavoro e libertà – lo chiedono le donne afghane”: con questo motto le proteste delle donne afghane invadono per tutto il mese di ottobre la centralissima via dell’Indipendenza, a Bologna. Il riferimento è inequivocabile: le tre parole sono un vero e proprio manifesto programmatico nato in seno alle proteste condotte dalle donne afghane lo scorso agosto. L’anniversario era quello del “giorno nero”, il 15 agosto del 2021, in cui Kabul cadde per mano dei Talebani: un momento che per il popolo afghano – e soprattutto le donne e le bambine – ha segnato l’inizio della fine delle se pure poche libertà duramente conquistate negli anni precedenti al ritiro delle truppe statunitensi.
Quanto la vita delle donne afghane sia cambiata in questi mesi, dal divieto di indossare profumi a quello di ascoltare musica non religiosa, lo raccontano i muri bolognesi: la modalità è quella propria dell’ormai celebre CHEAP Festival, la kermesse che dà voce a tematiche di stringente attualità attraverso poster da tutto il mondo e che oggi promuove un nuovo intervento di public art. Realizzata insieme alla onlus WeWorld – organizzazione che da mezzo secolo difende i diritti di donne e bambini nel mondo –, l’installazione sarà presentata alla città il 6 ottobre alle 19.30 al Cinema Lumière della piazzetta Pasolini in occasione dell’apertura della XVI edizione del Terra di Tutti Film Festival, la rassegna di cinema sociale, incontri ed eventi programmata appunto dal 6 fino all’11 ottobre.
LE DONNE AFGHANE AL CENTRO DI UN’INSTALLAZIONE DI PUBLIC ART A BOLOGNA
Se sei donna non puoi lavorare in un ufficio pubblico, se sei donna non puoi studiare medicina: impossibile non notare la spiccata prospettiva di genere dell’installazione: “La cosa che ci colpisce”, dicono da CHEAP – riecheggiando un dolore e una sorpresa che sono anche proprie del popolo persiano da quasi un mese a questa parte –, “è come basti una notte per cambiare il corso della vita delle donne, come la brutalità e l’oppressione sembrino sempre distanti nello spazio e nel tempo ma si palesino velocemente, calpestando i diritti e rovesciando sulle donne barbarie e violenza. Basti pensare all’Iran oggi infiammato dalle proteste delle donne dopo la brutalità omicida scatenata per un velo indossato male. Non possiamo permettere che i divieti e la negazione dei diritti fondamentali delle donne vengano dimenticati o, peggio, negati. Ed è qualcosa che ci riguarda tutte e tuttə, in qualsiasi parte del mondo siamo situatə”. Il progetto di CHEAP si propone di avere un ruolo umanitario, non solo puramente artistico: per questo è cruciale il coinvolgimento di WeWorld Onlus, il cui presidente Marco Chiesara ha notato come “si tratta di un’opera dal forte impatto visivo in grado anche di promuovere un dialogo con i cittadini e le cittadine che attraversano l’ambiente urbano. I messaggi di CHEAP sono quelli gridati dalle donne in piazza a Kabul per protestare contro il regime che nega loro ogni diritto. Dobbiamo opporci con forza a questa sconfitta della civiltà e far sì che queste donne, ragazze, bambine tornino ad immaginare un futuro che oggi è nero, come quel 15 agosto 2021”.
LA SITUAZIONE IN AFGHANISTAN: UN INFERNO, SOPRATTUTTO PER LE DONNE
A seguito del ritorno al potere dei Taliban, poco più di un anno fa, la situazione in Afghanistan è progressivamente precipitata: dopo le iniziali promesse di libertà, infatti, la popolazione ha visto ripristinate le violente e pervasive restrizioni già messe in atto dal precedente regime degli “Studenti Coranici”. Le donne sono tornate a non poter uscire di casa senza essere accompagnate da un uomo della famiglia, e a dover rinunciare al diritto all’educazione secondaria. L’alto tasso di morti nei conflitti locali e nella pandemia, inoltre, è risultato in più di due milioni di vedove nel Paese che, analfabete, sono costrette a mendicare per strada rischiando la vita o a mandare al lavoro i propri bambini. La onlus WeWorld – che si impegna nella difesa dei diritti fondamentali di donne e bambini in 27 Paesi del mondo, Italia compresa – ha deciso di intervenire supportando oltre 400 famiglie del territorio di Herat guidate da donne sole, garantendogli l’accesso al cibo. Accanto a questo sforzo, l’organizzazione va anche a dare visibilità ai problemi delle persone che necessitano di aiuto: perciò nel 2007 aveva dato vita al Terra di Tutti Film Festival insieme alla onlus COSPE (al lavoro in 25 Paesi per assicurare lo sviluppo equo e sostenibile e il rispetto dei diritti umani,), riportando al centro del dibattito le istanze dei popoli “dimenticati” dai mass media.
Giulia Giaume
www.terradituttifilmfestival.org
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