Il vero Dante Alighieri è quello di Pupi Avati. Al cinema
Umano, appassionato, sognatore ma anche illuso, sconfitto e traditore. Pupi Avati racconta Dante Alighieri, il vero Dante, e lo fa attraverso un viaggio liturgico compiuto da Boccaccio. Nel film Alessandro Sperduti e Sergio Castellitto
Il regista Pupi Avati ha affrontato 25 anni di ricerche, letture e approfondimenti per raccontare un uomo animato da amore e giustizia, e solo dopo divenuto sommo poeta. Dante, al cinema dallo scorso 29 settembre con 01 Distribution, mostra un giovane come tanti che ha sofferto ed è morto con l’illusione di poter fare ritorno nella sua amata Firenze. Il pretesto per questo racconto così umano e terreno è dato da un altro personaggio, Boccaccio, poeta ma ancor prima biografo di Dante, con una immensa ammirazione verso l’uomo che “conosceva il nome di tutte le stelle”. Il film segue Boccaccio in pellegrinaggio da Firenze a Ravenna, un percorso del tutto liturgico, verso la figlia di Alighieri, Suor Beatrice, incaricato di portare dieci fiorini d’oro come risarcimento simbolico per l’esilio a cui era stato costretto il padre.
DANTE: UN RITRATTO SACRO
Dopo Il signor diavolo e Lei mi parla ancora, Pupi Avati realizza un sogno. Porta sul grande schermo la storia di un uomo che ha cambiato il mondo ma di cui in pochi conoscono la vera vita, fatta di lotte, rinunce, innamoramenti, vittorie e perdite, le stesse situazioni che hanno dato forma e enfasi alla creatività di un giovane che mai ha dimenticato la sua fanciullezza. Dante è interpretato da Alessandro Sperduti mentre Boccaccio da Sergio Castellitto. Le strade dei due non si intrecciano ma il secondo è folgorato dalla bellezza delle parole scritte dal primo. Non un poeta ispirato da un altro ma un uomo riconoscente e devoto a chi, esprimendo le sue sensazioni, emozioni, desideri e paure ha parlato a tutti (il primo in volgare!). Quello che emerge è un triplice incontro artistico: quello di Avati con Dante e quello di quest’ultimo con Boccaccio. Lo scenario è quello del Medioevo, sporco e luminoso al tempo stesso, ricostruito ad opera d’arte e in cui i personaggi sono inseriti come dipinti in un quadro (e nel film i dipinti ci sono veramente!). L’umanità di Dante non lascerà indifferenti gli spettatori. Di certo la messa in scena dividerà ma nessuno potrà negare che cinematograficamente ci troviamo davanti a uno dei ritratti – detti anche biopic – più interessanti degli ultimi tempi. Un ritratto sacro e rispettoso.
DANTE: LE MOTIVAZIONI DEL FILM
“A farmi intravedere la possibilità di raccontare quell’essere umano ineffabile che è stato l’Alighieri è stata la scoperta della missione di Giovanni Boccaccio nel 1350”, scrive Pupi Avati. “La gran parte della mia narrazione la debbo quindi allo stesso Boccaccio che di Dante fu biografo e appassionato divulgatore. Il resto è invece frutto di congetture e suggestioni che mi provengono da un ventennio di disparate letture, in una continua consultazione degli esimi dantisti citati in esergo. Nella realtà Dante era entrato nella mia vita dapprima attraverso la lettura di cronisti a lui coevi (Villani, Vellluti, Compagni), dei tanti saggi e biografie accademici e non. Furono quelle letture a convincermi di come fosse lasciata sul fondo, sfocatissima, la sua umanità, seppure così esplicita… Più o meno in quegli anni lessi La Vita Nova, quel prosimetro d’amore che Dante ventenne si trovò a scrivere all’indomani della morte di Beatrice Portinari. Sufficiente a far sì che mi riconoscessi nella gran parte delle emozioni di quel giovane remoto, facessi mio il tentativo di tenere in vita, attraverso la sublimità della poesia, quell’essere celestiale che fu per lui Beatrice Portinari. Poesia il cui appalesarsi avviene in Dante attraverso la sublimazione del dolore: la perdita della madre nella sua infanzia, la morte di Beatrice nella sua giovinezza, la condanna all’esilio del migliore dei suoi amici, nell’età adulta, l’ingiusta dannazione, estesa ai suoi figli, nella maturità. È la conferma di quanto il dolore promuova l’essere umano a una più alta conoscenza”.
DANTE: LA REAZIONE DI GIULIO FERRONI
Tra alcuni filologi di Dante che hanno visto il film c’è Giulio Ferroni, Critico letterario, storico della letteratura, saggista e accademico italiano, che ha scritto rivolgendosi direttamente al regista: “Caro Pupi, sono ancora sotto l’impressione del magnifico film, in cui l’intreccio tra Dante e Boccaccio si svolge con un intensissimo ritmo emotivo, sostenuto da tutte quelle bellissime immagini di vita medievale, ricostruita nella sua evidenza e nella sua verità, nella sua durezza e nella sua purezza, con una così precisa illuminazione di luoghi, di situazioni, di usanze. Nel tuo Dante giovane la passione per la poesia e per la vita sembra come sospesa in una sorta di creativa ingenuità, in un continuo guardare il mondo in totale disponibilità, come cercando insistentemente qualcosa che sfugge e si perde (Sperduti, bravissimo, tante volte guarda, guarda perplesso e attento il muoversi della vita e delle cose e delle persone, partecipe e distante. La ricerca del tuo Dante giovane è replicata in modo del tutto diverso, si direbbe ‘tardo’, suggestivamente ‘tardo’, nei movimenti e nelle posture del tuo Boccaccio. Un Dante e un Boccaccio lontani da ogni carattere statuario, eroico, retorico, ma fissati nella loro dimessa umanità, entro cui si cela la tensione verso quel di più promesso dalla poesia e in cui si riconosce il senso della vita. La visione del tuo film è stata una eccezionale esperienza visiva, sentimentale e intellettuale: e spero proprio che abbia il successo e la diffusione che merita”.
Margherita Bordino
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