Il progetto 3D ispirato al Teatro Verde di Venezia

Il Teatro Verde dell’Isola di San Giorgio rivive nell’opera 3D dell’artista Mattia Casalegno, che si è calato nei camerini sotto il livello dell’acqua per dare forma a un’opera visibile online

Il lungo viale alberato di ingresso è come una quinta teatrale che nulla rivela, a chi lo percorre, del Teatro Verde. Un anfiteatro classicheggiante (la mente subito corre all’immagine del Teatro di Siracusa) ispirato agli antichi teatri di verzura settecenteschi delle ville venete sulla terraferma, gli schienali delle sedute in pietra ricoperti di ligustri. Il progetto del 1952 di Luigi Vietti compenetra perfettamente architettura e contesto e crea un’armonia espressa figurativamente dall’enorme esagono inscritto sul palcoscenico, allacciatura simbolica di teatro e natura circostante.
La Maschera del Tempo è l’ultima opera digitale di Mattia Casalegno (Napoli, 1981), che l’artista ha scelto di ambientare proprio nel Teatro Verde e che ne celebra la riapertura dopo gli interventi di restauro. La collaborazione con ArchiVE e Factum Arte ha permesso la riproduzione fotogrammetrica del teatro, inscrivendosi in un percorso di digitalizzazione e promozione del patrimonio che la Fondazione Cini porta avanti con dedizione da anni, suggerendo nuove modalità per vivere i luoghi della cultura.
Vincitore del Lumen Prize Award, Casalegno indaga le relazioni tra arte e scienza, in particolare attraverso le neuroscienze, la biologia, l’antropologia, l’ecologia, l’informatica. Vigile osservatore del presente, amante della fantascienza, è anche e soprattutto un attento custode e interprete del passato, come dimostrano Aerobanquet RMX, ispirata alla Cucina futurista di Filippo Tommaso Marinetti, e Left Handed, realizzata presso la Gipsoteca di Possagno e che ha come protagoniste indiscusse proprio le opere di Antonio Canova. Cui si aggiunge ora anche la Maschera del Tempo.

La Maschera del Tempo, still da video, courtesy Casalegno Studio

La Maschera del Tempo, still da video, courtesy Casalegno Studio

L’OPERA DI MATTIA CASALEGNO ISPIRATA AL TEATRO VERDE DI VENEZIA

Se tutto da sempre si svolge sulla scena, dove gli occhi del pubblico cadono a seguire le vicende dei protagonisti messe, appunto, in-scena, l’artista si cala questa volta nei sotterranei, nei camerini costruiti a -0.82 metri rispetto al livello medio delle acque della laguna. Uno sguardo diverso sui luoghi che, durante il restauro, si sono rivelati scrigni temporali, svelando tracce inaspettate degli ultimi settant’anni, impresse in una lettera su un tavolo, in una maschera abbandonata. Qui, dove si prepara tutto ciò che verrà messo in scena, il tempo sembra essersi fermato. E proprio da queste tracce Casalegno ha iniziato a ricostruire un mondo in cui la presenza umana è cancellata e sostituita da sparuti gruppi di androidi, umani solo in apparenza.
A rimanere è una natura assoluta, nient’affatto pericolosa, solo disseminata di detriti tecnologici e di oggetti d’uso comune (un paio di occhiali ad esempio) arborizzati, unica testimonianza dell’umanità, prospettiva desolante per noi dell’Antropocene. Da una porta molto classica con architrave ci si immette in questo luogo in cui i greci formavano ed educavano la cittadinanza attraverso la rappresentazione di storie e miti. Ma subito si entra nel sottosuolo, vero centro demiurgico e pulsante: lì un futuribile Dedalo maneggia apparecchi 3D in un laboratorio dall’aspetto di fucina infernale in cui macchinari producono e riproducono corpi di tori. Al centro della narrazione questo animale e il mito del Minotauro, tradizionalmente legato alla forza virile, ma anche, nella simbologia dei bucrani (più volte ripresa nel video), alla fertilità e all’apparato riproduttivo femminile. Alle sue dipendenze una squadra di automi: Dedalo, non a caso, è colui che inventò le Agalmata, automi semoventi dotati di occhi e bocca. Tanti sono i fili del passato mitico e storico che si intrecciano in questo video: il patrimonio è conservato, il mezzo cambia. È ripreso anche il complesso scultoreo del Toro Farnese, conservato presso il Museo Archeologico di Napoli, ma “modernizzato”: i personaggi non si affollano più intorno all’animale impennato, nel tentativo di legare alle sue corna i capelli della regina Dirce, oggetto del supplizio. Nella versione di Casalegno il toro scompare lasciando posto a un triangolo umano tecnologico (c’è chi si fa i selfie).

Costume di Giacometta, Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione

Costume di Giacometta, Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione

IL CONTRIBUTO DI MARTUX_M E AMIN FARAH

Un racconto anche sonoro, sulle perturbanti musiche del designer del suono Maurizio Martusciello (Martux_M), che ha saputo cucire addosso a ciascuna scena lo stato sonoro che più la rappresentava, la musica pensata, nelle sue parole, “non più come forma ma come rapporti cinematici di suoni” in una sintesi musica-immagine che rivela il pieno sodalizio dei due autori.
A ciò si aggiunge anche il lavoro sui costumi del fashion designer Amin Farah che, a partire dallo studio dei bozzetti, dei costumi di scena e delle maschere della Commedia dell’Arte, custoditi negli Archivi dell’Istituto per il Teatro e il Melodramma della Fondazione, ha realizzato e vestito i suoi androidi di capi 3D.

Silvia Zanni

https://www.cini.it

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Silvia Zanni

Silvia Zanni

Nata a Milano nel 1997, si è laureata in Filosofia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano con una tesi in Estetica dal titolo “Il nuovo paradigma della forma: Thode, Warburg e la rappresentazione di Francesco nel XIX secolo”. Attualmente…

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