Quel misterioso San Girolamo attribuito a Piero della Francesca
Non ha dubbi Massimo Giontella nell’affermare che il dipinto raffigurante San Girolamo e un devoto non sia opera di Piero della Francesca. Tra rimandi alla pittura fiamminga e a un misterioso paesaggio veneto
Piero della Francesca, il grande maestro della pittura idealizzata del Rinascimento, è stato gratificato dalla critica ottocentesca di dipinti fiammingo-veristi antitetici alla sua pittura. Tra queste errate attribuzioni figura una piccola tavola che mostra San Girolamo e un suo devoto. L’attribuzione del dipinto a Piero viene in questa sede contestata con argomentazioni il cui contesto ha portato alla “scoperta” di una scultura in una chiesa di Venezia da riferirsi, a parere dello scrivente, alla mano di un grande scultore del Quattrocento.
Ma torniamo al dipinto del San Girolamo. I riferimenti storici sono scarni; l’opera faceva parte della collezione Renier; è stata donata nel 1850 alle Gallerie dell’Accademia di Venezia da Maria Felicita Bertrand Renier, che dava seguito alle ultime volontà del marito Bernardino Renier. Quanto ai dati tecnici, risulta evidente che sia stato utilizzato legno invecchiato per la presenza di escavazioni da xilofagi chiuse con amalgami; la scelta di un legno vecchio era chiaramente voluta per un dipinto così importante agli occhi del devoto, così come il paesaggio sullo sfondo di aspetto arcaico. Tutto fa pensare a espedienti per fare apparire il dipinto di epoca anteriore, verosimilmente per celebrare un importante antico legame tra il devoto e colui che impersonava San Girolamo. Non è neanche il caso di discutere sulla autenticità e rispondenza delle due iscrizioni che si leggono sul dipinto; la firma “Petri de Burgo…” compete a uno scrivano dei secoli XVII/ XVIII, mentre il nome Amadi che compare nell’opera non è certo riferito al devoto ma con tutta probabilità a un possessore di epoca posteriore. Una rapida occhiata consente di riconoscere nel dipinto inconfondibili riferimenti all’arte fiamminga, specificamente alle opere di Jan van Eyck. Di fronte a una tale specifica fonte di ispirazione ci si chiede in che modo possa averla appresa Piero della Francesca, un artista che non ha mai varcato i confini nazionali. Ancora: la città alle spalle di Girolamo ha case con comignoli veneti e vi è da aggiungere che anche i campanili hanno una conformazione veneta; in aggiunta la tunica cremisi del devoto, accompagnata da una stola portata sulla spalla destra, identifica un Segnatore della Serenissima. Sempre più lontano Piero della Francesca, per il quale non sono mai stati evidenziati viaggi a Venezia, né contatti con personaggi veneziani.
IL DIPINTO DI SAN GIROLAMO TRA FIRENZE E VENEZIA
Marsilio Ficino viene in soccorso; dopo il 9 maggio 1482 il filosofo scrive a Pietro di Giovanni Molin: “Il nostro Antonio, pittore e scultore insigne, salutando a tuo nome ieri sera in piazza me ed i miei famigliari, così come dipinse i vostri nei nostri volti, parimenti scolpì i tuoi nei nostri affetti, al punto che essi non parevano più tuoi che nostri. Il voto di prosperità che egli ci porgeva era come se fosse stato proferito da te alla nostra presenza. Noi tutti allora ci levammo e riconoscemmo la presenza non già di Antonio, ma dello stesso Molin; sicché, come debito, gli prestammo onore a capo scoperto. Salve a te, come sempre, o dottissimo Pietro, e facci lieti con la tua presenza, dal momento che hai incominciato, il più spesso che puoi. Tanto più degni di onore noi ci considereremo, quanto più tu stesso ci avrai onorato; e tanto più ci compiaceremo di questa nostra città, quanto più sapremo che essa ti piace. L’augurio è che ti piaccia sempre di più, in modo che noi possiamo sempre più ardentemente compiacerci di noi stessi. Addio” (Opera Omnia, Lettere, p. 856, traduzione dell’autore).
Ficino era in Piazza della Signoria a Firenze e aveva incontrato Antonio del Pollaiolo, che gli portò i saluti di Pietro Molin; la lettera in realtà dice molto di più. Scrive Ficino che Antonio del Pollaiolo ha dipinto il volto di Molin sul suo e ha scolpito gli affetti di Molin sugli affetti di Ficino stesso. Che cosa vuol dire? Il Pollaiolo, incontrando Ficino in Piazza della Signoria, gli aveva parlato del suo soggiorno a Venezia e delle opere che realizzava per Molin; è probabile che si siano recati nella bottega del Pollaiolo in Via Vacchereccia, all’angolo di Piazza della Signoria, per visionare le due opere già fatte o in ultimazione. Il dipinto ritraeva il Molin e un suo congiunto nelle vesti di Girolamo, la scultura immortalava il congiunto medesimo; l’ammirazione per il dipinto e la scultura spingeva Ficino a togliersi il cappello di fronte al Pollaiolo. Se il devoto del dipinto è Pietro di Giovanni Molin, nel San Girolamo si può riconoscere suo zio Girolamo Molin; Pietro Molin aveva studiato a Padova, con il supporto di suo zio (la cittadina veneta alle spalle di Girolamo è forse un criptico riferimento a Padova).
Il dipinto voleva rievocare un momento importante della vita di Pietro Molin per il quale si voleva render grazie a Girolamo: la nomina a senatore del periodo 1465-66 cui seguirono importanti incarichi. Sulla destra del dipinto, alle spalle del devoto, compare un castello. Il ramo “Molin d’Oro” dei Molin veniva da San Giovanni d’Acri in Palestina, dove parte della famiglia si era trasferita con i Crociati; il castello pertanto sta a indicare le generalità del devoto.
LA FIRMA SUL SAN GIROLAMO E UN DEVOTO
Sullo sfondo collinare e montuoso del dipinto si osservano due costruzioni: un edificio abitativo e una chiesa. L’edificio ha due ali che si proiettano in avanti, un’idea costruttiva elaborata per il convento di Santa Chiara a Urbino. Altrove ho sostenuto che Santa Chiara fu costruita nella prima metà degli Anni Settanta del Quattrocento su progetto di Antonio del Pollaiolo; la soluzione architettonica trova corrispondenza nel Palazzo del Belvedere in Vaticano, la cui progettazione è attribuita da Vasari ad Antonio del Pollaiolo.
L’umanista Girolamo Molin nacque a Venezia nell’anno 1500. Il Molin fu in grande amicizia con Giulio Contarini, Procuratore di Venezia che alla morte ne fece edificare un sepolcro nella chiesa di Santa Maria del Giglio a Venezia. Molin nel suo testamento chiede specificamente l’utilizzazione del marmo per la sua sepoltura. Per quale motivo Contarini avrebbe fatto fare ad Alessandro Vittoria un busto in pietra, quale è quello della sepoltura? Francesco Sansovino, descrivendo il sepolcro del Molin in Santa Maria del Giglio, asserisce per il busto lapideo che si tratta di una scultura di pietra dorata. Sansovino come poteva non sapere e non riportare che l’autore del busto era Alessandro Vittoria? In vero Giulio Contarini, sapendo che tra le cose del defunto c’era il busto del di lui avo Girolamo Molin, realizzato da Antonio del Pollaiolo, per la straordinaria somiglianza con il Molin del periodo cinquecentesco utilizzò quel busto, onorando il suo amico con un’opera di grande importanza e priva di costi.
Massimo Giontella
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