Futuro Antico. Intervista a Cecilia Alemani
Cecilia Alemani, reduce dai successi de Il latte dei sogni, la mostra internazionale della Biennale Arte 2022, racconta la sua visione del mondo, tra New York e Venezia
Cecilia Alemani (Milano, 1977) è una curatrice italiana di stanza a New York. Attualmente è direttore artistico della 59. Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia. Dal 2011 è curatore capo di High Line Art, il programma di arte pubblica presentato dalla High Line di New York City. È stata Direttore Artistico dell’edizione inaugurale di Art Basel Cities: Buenos Aires nel 2018 e curatrice del Padiglione Italia alla Biennale di Venezia 2017.
Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
La letteratura, la poesia e gli scritti d’artista sono spesso i punti di partenza per le mie riflessioni espositive. Poi il Surrealismo, la Land Art, l’art and craft. Ma devo confessare di essere più interessata a imparare cose nuove rispetto al restare radicata nei miei “riferimenti ispirazionali”. Mi piace pensare che ogni nuovo progetto che organizzo sia un’occasione per imparare, per studiare e per poter comunicare qualcosa di nuovo, per creare assonanze e rime tra linguaggi diversi, e per ritessere la storia attraverso gli occhi delle artiste con cui lavoro. Fare una mostra è come una ginnastica intellettuale che ti allena in diverse discipline e la chiave è trovare le connessioni fra di esse, sorpassando compartimentalismi vari.
Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Il progetto che mi ha definito maggiormente come curatrice è quello della High Line, dove lavoro da più di dieci anni. È un progetto che mi ha consentito di interfacciarmi con un pubblico enorme, circa 8 milioni di persone all’anno, e di re-immaginare che ruolo possa avere l’arte contemporanea in uno spazio pubblico come questo parco urbano elevato a 10 metri sopra la strada. La High Line è un parco pubblico costruito sopra una vecchia ferrovia abbandonata nel cuore di Chelsea. È un esempio fondamentale di riutilizzo di una zona industriale dismessa, trasformata ‒ invece di essere demolita ‒ in uno spazio di amenità pubblica. Poi, come spesso succede a New York, quando la città si appassiona per una nuova iniziativa, questa diventa immediatamente un grande successo: la High Line è un esempio di come la città e la comunità del luogo si siano organizzate per salvare un pezzo di storia di New York. L’arte gioca un ruolo nell’identità di questo spazio: quando passeggi su questa promenade elevata non solo puoi ammirare un esempio di riuso industriale concepito da Diller e Scofidio + Renfro, ma anche un giardino botanico nativo disegnato da Piet Oudolf, e progetti di arte contemporanea che usano la città stessa come un grande piedistallo. La chiave del successo di questo luogo sta nel dialogo tra discipline diverse che fungono da lente per ammirare la città di NY.
Che importanza ha per te il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
Estremamente importante. Anche se penso che il termine site specific sia abusato nel mondo dell’arte, penso che sia fondamentale imparare, conoscere e riflettere la storia e tutte le sue diramazioni del luogo dove stai lavorando. È uno step fondamentale quando si cura un progetto, soprattutto in un posto meno tradizionale di un museo, come un luogo pubblico, o anche un vecchio edificio. Penso al progetto di Art Basel Cities Buenos Aires che ho curato qualche anno fa, dove abbiamo allestito progetti artistici in giro per spazi pubblici della capitale argentina come parchi e ponti, ma anche un planetario e un museo di copie di sculture antiche. In questo caso abbiamo usato l’arte per portare la comunità in zone non normalmente incluse nei percorsi di arte contemporanea e dar loro il modo di rileggere e rivedere la propria città da una prospettiva diversa, attraverso gli occhi delle artiste e artisti coinvolti, in una commistione di passato e presente che funziona solo quando c’è appunto la consapevolezza della storia e della specificità di un certo luogo.
PASSATO E FUTURO SECONDO CECILIA ALEMANI
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
Sì certo, penso che il passato sia un importante piedistallo su cui fondare pratiche presenti e linguaggi contemporanei. Ormai non si inventa più nulla di nuovo! Artiste e artisti si volgono spesso al passato in modo diretto o più personale, ma è un esercizio fondamentale e critico. Poi ovviamente, come avete visto nella Biennale di Venezia, tante mostre contemporanee e moltissime istituzioni globali stanno rileggendo il passato in un processo di riassestamento e rivalutazione di cosa sia entrato a fare parte della grande Storia dell’arte e cosa sia stato dimenticato. È un processo fondamentale che ci insegna che non esiste un’unica storia, ma che le grandi narrazioni sono dettate da tendenze, mode e costumi che sono a loro volta stabiliti da egemonie politiche e sociali specifiche. Il nostro ruolo come produttrici di cultura è quello di reinterrogare la storia e allenare uno sguardo critico e dinamico, che abbia il coraggio di porre domande e alcune volte anche criticare ciò che è stato mainstream.
Quali consigli daresti a un giovane che voglia intraprendere la tua strada?
Il consiglio che do sempre è di vedere mostre, di studiare la storia dell’arte e di leggere riviste di arte contemporanea, di imparare quali sono i linguaggi artistici del momento, di incontrare artiste e artisti, di fare studio visit, di parlare e scambiare idee con altri giovani curatori. Di trovare occasioni lavorative in gallerie, non profit, musei, ma anche di scrivere tanto per siti o testate d’arte, anche quando non paga molto. Allenare la scrittura aiuta ad affilare lo sguardo critico. La professione del curatore è in parte quella di facilitare il rapporto tra l’artista da un lato e l’istituzione dall’altro, e di rendere questo rapporto comprensibile anche al pubblico. È una professione basata su relazioni, quindi è importante conoscere tutti i lati di questo lavoro e tutte le parti coinvolte.
In un’epoca definita della post verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
Quello che ho visto in due anni di studio visit durante la pandemia è un forte ritorno alla sfera introspettiva, sacra la possiamo chiamare, personale e intima. Non so se sia corretto connetterlo necessariamente alla sfera religiosa, ma mi sento di dire che. tra i moltissimi artisti e artiste che ho incontrato in questi anni di ricerca e con cui mi confronto quotidianamente, ci sia senz’altro una tendenza alla dimensione introspettiva, all’inconscio e alla sfera dell’irrazionale quanto mai prevalente nel periodo della pandemia. Forse frutto dell’essere stati isolati per così tanto tempo, chissà. Non vedo questo come un tentativo di voltare le spalle al mondo o a una presunta verità, quanto come uno strumento per rileggere ciò che ci circonda con occhi diversi, forse proprio lontani da quell’idea di razionalità e verità a cui siamo stati abituati.
Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo te guideranno i prossimi anni?
La giustizia sociale, il cambiamento climatico, i diritti identitari.
Ludovico Pratesi
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