Irene Dionisio – Geologia di un padre
È nell’uccisione simbolica del padre la ragione ma è nella sua progettazione l’elaborazione di una coscienza che l’artista cura con particolare attenzione, sottoponendola al bilanciamento con la propria esistenza.
Comunicato stampa
Come si possa soppesare un padre è una questione d’innaturale complessità. Nell’attuare il proposito, il cervello, per lunghi tratti di arrampicata interpretativa, annaspa. Perde la connessione tra ciò che dovrebbe analizzare e l’accaduto o la vita.
L’esistenza di un lui: il primo, l’autentico, l’ingombrante, il riferimento, il precedente, il paragone. Quante parole pur non vestendo perfettamente sembrano dover esser adoperate per sentirle minori, insufficienti. E ancora aggiungerne. Per poi, un giorno comune, sottrarne. Perché qualsiasi elemento o avvenimento che abbia posseduto il privilegio d’essere totalizzante, con il passare degli anni viene scorporato in un numero di domande potenzialmente interminabile, per ottenerne una grana più fine possibile, giungendo a comprendere.
Irene Dionisio (Torino, 1987) ha conosciuto un padre, un uomo che ha acquisito un ruolo, che lo ha implementato e compreso ed esercitato. I due si sono confrontati, si sono adattati ed hanno vissuto e convissuto fino a quando del maschile è rimasta una marca da trasportarsi in altri luoghi, che la figlia ha assunto e interrogato. Oggi il padre è sempre padre, la figlia è sempre figlia. Se degli originali ruoli si è compreso le implicazioni, è il loro sviluppo a richiedere azioni. Il mezzo dell’arte e dell’analisi nella forma dello strumento dello psicodramma, comportano la predominanza di medium molteplici, in un ovvio, iniziale, tentativo di superamento.
È nell’uccisione simbolica del padre la ragione ma è nella sua progettazione l’elaborazione di una coscienza che l’artista cura con particolare attenzione, sottoponendola al bilanciamento con la propria esistenza. Se ne ricava un salutare panorama provvisorio, composto da immagini, oggetti, sonorità, ricordi, abbozzi e stimolanti tentativi di interpretazione. Nulla di ciò che si adocchia è nel suo concetto autentico di “finitezza”. Da questo sostantivo, pacatamente femminile, si procederà, quando e a tempo personale, per impratichirsi nell’assimilazione dei concetti appresi, che spetteranno unicamente alla figlia, alla nuova (di nuovo nuova) donna che l’esperienza adatterà al mondo circostante.
Questa esposizione è una circostanza umana d’insopprimibile acume, innegabilmente destinata a portare desideri di scrittura, di video, di fotografia, di scultura, di dialoghi, d’interpretazioni provvisorie quanto possono esserlo delle parole raminghe ripassate nella mente.
Alessio Moitre