Unire arte e danza. Intervista al coreografo Virgilio Sieni

Territori del gesto è il progetto del coreografo Virgilio Sieni (Firenze, 1957) volto ad avvicinare cittadine e cittadini alla danza e a indagare la radice del gesto, impresso e raccontato nei luoghi d’arte. Il progetto assume ogni volta un titolo diverso: Di fronte agli occhi degli altri, Il suono di una mano, Sul toccare le […]

Territori del gesto è il progetto del coreografo Virgilio Sieni (Firenze, 1957) volto ad avvicinare cittadine e cittadini alla danza e a indagare la radice del gesto, impresso e raccontato nei luoghi d’arte. Il progetto assume ogni volta un titolo diverso: Di fronte agli occhi degli altri, Il suono di una mano, Sul toccare le cose
Abbiamo dialogato con lui in diversi momenti e seguendo differenti tappe di questo appassionante lavoro nato nei tempi in cui Sieni dirigeva la Biennale Danza. Questa intervista è un estratto dai nostri diversi incontri.
La prossima tappa del progetto è alla Pinacoteca di Brera, a Milano (1, 2, 24 e 25 novembre) con il titolo Il corpo dell’arte.

Virgilio Sieni, Territori del gesto

Virgilio Sieni, Territori del gesto

INTERVISTA A VIRGILIO SIENI

Con Territori del gesto si è aperto un nuovo capitolo del tuo lavoro con cittadine e cittadini. L’atto coreografico si confronta con i luoghi dell’arte, con la memoria che portano con sé. Cosa cerchi in questi luoghi d’arte, o nelle opere che scegli come punto di partenza per un lavoro sul gesto?
Non cerco il bello ma un luogo, uno spazio sorgivo, tattile… e la capacità dell’uomo di esservi immerso. Il progetto ha incontrato luoghi diversi, dal Pecci di Prato al Cretto di Burri, il MAXXI dell’Aquila, la Fondazione Merz, la Fondazione Prada a Venezia, la Fondazione Morra Greco a Napoli e altri. I danzatori professionisti sono scritturati per accompagnare insieme a me i cittadini nell’abitare lo spazio e confrontarsi in modo nuovo con le opere d’arte.
Sostare davanti a un’opera per tre giorni, per molte ore, uscendo dalla logica museale di un consumo rapido: cosa crea questo in ciascuno di noi?

Partecipando al progetto di Santarcangelo anni fa ho potuto percepire come attraverso questo lavoro sul gesto sia possibile riscoprire il dato umano all’interno di un’opera che fa parte della storia dell’arte, del passato.
Volgere l’attenzione a un’opera vuol dire trovare tutti quegli elementi marginali e nascosti che rendono l’opera un elemento sorgivo, capace di rigenerarsi. Dal punto di vista cognitivo, più si frequenta un’opera, si instaurano con lei una serie di pratiche di relazione che tengono conto dei gesti, della luce, e più se ne sente il bisogno, perché l’opera crea risonanza, diventa parte di te. È bello vedere come questo accada.
Questi progetti mi danno tanta speranza. Persone inizialmente indifferenti all’opera d’arte riescono a trovare un coinvolgimento sincero.

Quali possibilità riconosci all’interno delle comunità effimere che si creano tra danzatori e non?
Poter riflettere e praticare insieme attorno a temi come la gravità, lo sguardo, la vicinanza e la prossimità è oggi un piccolo miracolo. Scopo dell’arte è “spostare” qualcosa dentro piuttosto che confermare. Questo lavoro permette anche di creare un nuovo pubblico, il che è bellissimo.

Questo confrontarti con persone che non hanno una pratica coreografica del corpo cosa apporta?
L’amatore non è una alternativa a qualcos’altro. Ogni cittadino esprime una propria diversità, porta con sé le sue timidezze, da ri-elaborare insieme attraverso una pratica linguistica. Il mio lavoro non è volto a igienizzare il corpo, omologarlo, ma piuttosto a sensibilizzare alla forma di dialogo che è la danza, ricercare un equilibrio tra ciò che appartiene al quotidiano e una dimensione extra-ordinaria, mettendo insieme le arti, gli arti, i pesi, le gravità in una forma altra.

Prove all'Oratorio dei Bianchi. Ph. Paolo Peloso

Prove all’Oratorio dei Bianchi. Ph. Paolo Peloso

ARTE E DANZA SECONDO VIRGILIO SIENI

Il termine “dialogo” mi sta molto a cuore ed è un concetto che questo tuo progetto porta alla mente.
Il dialogo è ciò che lega tutte le parti del corpo nella danza. Il gesto non è mai astratto, ha a che fare con una “stimmung” (emozione, sensazione), richiama qualcosa. Il corpo è un crogiuolo di emozioni, lo scheletro debolissimo e gestire tutto questo è di una grande complessità.

Emerge il concetto di “risonanza”, che ha a che fare con il suono, ma che per te assume un significato coreografico e politico.
La risonanza è la capacità di rispondere alla gravità, per non cadere nella “depressione”. I grandi muscoli sono quelli che vorrebbero assoggettare tutti gli altri elementi strutturali, mentre esistono tante minoranze e marginalità nel corpo che vanno assolutamente protette e ascoltate. La risonanza ha che fare prima di tutto con la liberazione del corpo e solo dopo con una idea di democrazia. Bisogna prima di tutto capire come liberare il corpo dalla gravità.

Il disegno, lo schizzo, le mappe accompagnano la tua pratica coreografica. In che modo il segno grafico si rapporta a quello coreo-grafico nei progetti che fanno parte di Territori del gesto?
Il disegno mi accompagna da sempre. A volte mi permette di immaginare la geografia degli spazi e il modo del corpo di incastrarvisi dentro; molto spesso mi permette di mettere in luce le qualità dello spazio e del luogo, in tal caso vengono fuori delle mappe come si trattasse di uno story-board cinematografico, tanti piccoli quadrati in successione.

Il disegno viene in modo preventivo rispetto alla pratica corporea o successivamente?
Lo precede, lo assiste e sostiene durante e poi dopo vengono una serie di elaborazioni.

Serve solo a te o lo condividi con i danzatori?
Viene condiviso. Il disegno degli spazi lo do ai tecnici, quello delle coreografie agli interpreti. Gli scarabocchi li tengo per me! Nel progetto con i barcaioli per Palazzo Te ho disegnato circa trenta barche di colori diversi. Per gli interpreti il colore corrispondeva a delle qualità di movimento, permetteva di ampliare il concetto di gesto.

Il progetto stesso sta diventando, nel suo girovagare, una mappatura dell’Italia. Il futuro cosa prevede?
Nel 2023-2024 collaborerò con l’antropologo siciliano Franco La Cecla, che ha scritto per Einaudi Contro l’architettura, Contro l’urbanistica e recentemente Condividere l’arte. Con lui torneremo a frequentare quei luoghi in cui sono avvenute le stragi di mafia a Palermo e che non hanno mai ritrovato una loro epifania. Il desiderio è di riviverli attraverso dei cammini giocosi, in collaborazione con tutte le scuole del posto.
Poi il progetto uscirà dai territori nazionali, visto che andremo a trovare le tribù Guaranì in Bolivia, per fare una raccolta di gesti.

Chiara Pirri

http://www.virgiliosieni.it/

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Chiara Pirri

Chiara Pirri

Chiara Pirri (Roma, 1989), residente a Parigi, è studiosa, giornalista e curatrice, attiva nel campo dei linguaggi coreografici contemporanei e delle pratiche performative, in dialogo con le arti visive e multimediali. È capo redattrice Arti Performative per Artribune e dal…

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