Il cielo sopra Bangkok. Un’opera di Marcello Maloberti per la biennale della Thailandia
È uno dei tre artisti italiani invitati alla Biennale di Bangkok 2022, insieme a Francesco Arena e Alfonso de Gregorio. Maloberti porta in Thailandia un’opera imponente, che unisce il suo lavoro sul linguaggio con l’indagine sullo spazio pubblico.
Svetta contro il cielo di Bangkok l’obelisco contemporaneo di Marcello Maloberti (Codogno, 1966). In occasione della Bangkok Art Biennale, inaugurata lo scorso 22 ottobre col titolo “CHAOS : CALM”, un nuovo progetto dell’artista trova posto di fronte al Bangkok Art and Culture Centre (BACC). Il braccio meccanico di un camion dei pompieri si trasforma in gigantesco plinto per una scultura al neon bianca, di cui non è però mero supporto, ma complemento necessario. Un ready made industriale, straniato e straniante, attraverso cui attivare un dispositivo poetico-concettuale. E ancora immensa colonna, guglia, torre di babele postmoderna, scala impossibile per un accesso potenziale all’oltre, che è metafora e sostanza del firmamento. Sulla sommità, incastonata nell’azzurro, c’è questa semplice parola-indice, un po’ didascalia, un po’ evocazione, un po’ tautologia: epifania icastica del cielo medesimo.
MARCELLO MALOBERTI E LE SCRITTURE CAPOVOLTE
Quello di Maloberti è un cielo pronunciato, visualizzato, oggettualizzato, ribadito; ma anche un cielo all’incontrario, nella differenza che contamina e mette in movimento l’eguale. L’opera, in questa rotazione speculare, si completa nella mente di chi guarda, capovolgendo il punto d’osservazione, così come capovolta appare la parola sospesa lassù. Il plinto rovesciato, la città a testa in giù, l’universo che ruota, l’ancoraggio terrestre contraddetto. La grafia è la stessa dell’artista, a rimarcare la natura intima, gestuale, idealmente performativa di questa particella luminosa di scrittura, schizzata fuori dal foglio e approdata nello spazio dell’aperto e dell’immateriale. Un monumento al cielo, dunque. Ai cieli di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Quelli dell’immaginazione, delle idee, del sacro, della pittura, e poi del paesaggio, dell’atmosfera, degli orizzonti urbani, dei cosmonauti. Cinque lettere, proiettate verso l’infinito.
Il rimando diretto è a certi pionieri dell’arte concettuale, come Yves Klein, con il suo volo impossibile nel blu, utopia cromatica, estetica, filosofica, e soprattutto Piero Manzoni, con il suo geniale Socle du Monde (1961), quel parallelepipedo in ferro installato nel parco di Herning, in Danimarca: il titolo inciso al contrario (Socle du monde, socle magique n.3 de Piero Manzoni, 1961, Hommage à Galileo) diveniva contenuto, descrizione e meccanismo di sovversione, tale che, per le sinapsi dello spettatore, l’oggetto diventava effettivamente “base del mondo”, lasciando ruotare di 360 gradi il globo, fino a collocarlo su quel piccolo piedistallo per effetto di una pura suggestione.
MARCELLO MALOBERTI ALLA BIENNALE DI BANGKOK
Quello che l’artista definisce un “monumento/anti-monumento” – fragile e possente, precario, temporaneo, più evocativo che celebrativo – viene allora concepito come un segno grafico sottile, una linea di luce affidata alla robustezza di un macchinario metallico: oggetto totemico senza funzione, pare quasi oscillare al vento e insieme radicarsi al suolo come entità mitologica, richiamando archetipi, temi e immagini universali. Cielo (2022) mette allora in scena, sulla scorta di una gloriosa tradizione, un ragionamento sullo spazio pubblico e sulla maniera di rileggerlo, espanderlo, modificarlo attraverso l’arte. A selezionare il progetto, non a caso, Marco Scotini, membro dell’International advisory committee della Biennale thailandese, autore, critico e curatore internazionale, che sui temi dell’arte pubblica e sule evoluzioni del concetto di monumento nella contemporaneità ha prodotto contributi e riflessioni importanti.
Maloberti incrocia tutto questo con indagini e processi legati alla natura della parola. Nella primavera del 2022 l’artista tirava le somme di questa sua prolungata ricerca con una mostra alla Triennale di Milano dal titolo “Martellate”: frasi ironiche, aforismi, slogan, versi sciolti, per uno zibaldone di frammenti sparsi, da mescolare a piacimento lungo i sentieri della memoria, le traiettorie di lettura, le connessioni mentali di ciascuno. Mille narrazioni possibili, a ricalcare le stratificazioni dell’infosfera e l’attuale overdose di contenuti sui media, ma sostituendo l’imperativo bidimensionale dell’immagine con la profondità della scrittura. E suggerendo, in qualche modo, la definizione di uno spazio sensibile intitolato al ragionamento, al divagare poetico, all’inverarsi e declinarsi del pensiero.
Helga Marsala
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