I dimenticati dell’arte. Rosa Rosà, la donna del Futurismo
Legata al Futurismo, Rosa Rosà, pseudonimo di Edith von Haynau, sviluppò una riflessione sulla questione femminile, proponendo una ridefinizione del ruolo della donna nella società del tempo
Nonostante avesse scelto uno pseudonimo dolce e femminile, Edith von Haynau (Vienna, 1884 – Roma, 1978) era nipote del feroce generale Julius, braccio destro di Radetzsky, che aveva contribuito a reprimere col sangue le dieci giornate di Brescia nel 1848. La bella e aristocratica viennese non aveva seguito studi regolari, perché a causa del suo censo la famiglia le aveva imposto precettori privati, come si addiceva alle giovani di nobile stirpe, che le insegnarono storia dell’arte, letteratura, matematica, ricamo e musica.
LA STORIA DI EDITH VON HAYNAU
Edith trascorse un’infanzia solitaria, immaginando viaggi e avventure e sviluppando una passione per la scrittura fantastica: riuscì a frequentare la scuola d’arte Wiener Kunstschule für Frauen und Mädchen da adulta, ribellandosi alle idee della famiglia. Nel 1907, durante una crociera a Capo Nord, incontrò lo scrittore italiano Ugo Arnaldi, che sposò l’anno seguente: la coppia si trasferì a Roma, e Edith divenne madre di quattro figli in sei anni. Nel 1915 Arnaldi fu chiamato al fronte allo scoppio della guerra mondiale, e Edith decise di assecondare i suoi interessi letterari, avvicinandosi al gruppo sorto intorno alla rivista L’Italia futurista (1916-18), vicina a temi legati allo spiritismo, alla quale collaboravano, oltre a Marinetti, Bruno Corra e Arnaldo Ginna, Maria Ginanni, Emilio Settimelli e Remo Chiti. Adottò il suo nuovo pseudonimo e cominciò a scrivere articoli sulla “questione femminile”, in risposta al libro di Marinetti Come si seducono le donne, auspicando una ridefinizione della posizione della donna nella società italiana. “Le donne-oggetto […] illogiche, inconsistenti, irresponsabili […]” ‒ scrive Edith ‒ “avvertono gli uomini che […] esse stanno per acquistare […] un metacentro astratto, inconquistabile […]. Smettiamola di spaccare l’umanità in uomini e donne […], come se ci venisse in mente di dividere il genere umano in biondi e in bruni, ma cominciamo a dividerlo in individui superiori, forti, intelligenti, sani”. La sua vena futurista si applicò anche alle visioni urbane, debitrici dei progetti di Antonio Sant’Elia, descritte con “il respiro, la vita sotterranea, i rapporti minimi tra le cose, il turbinare di ritmi, suoni, colori, il confronto quotidiano tra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo”, puntualizza Katrin Cosseta.
I ROMANZI E I SAGGI DI ROSA ROSÀ
Rosa Rosà pubblicò nel 1918 il romanzo Una donna con tre anime, incentrato sulle surreali vicende di Giorgina Rossi, che sviluppa tre personalità distinte e contraddittorie, a causa di un incidente elettromagnetico. Considerato da Lucia Re come “uno dei più importanti testi narrativi scritti da una donna futurista”, è stato definito da Anna D’Elia “una fiaba di fantascienza in cui una polverosa casalinga, colpita da spore di futuro, si trasforma in un essere evolutissimo, dotato di enormi capacità intellettuali, artistiche e medianiche”.
Negli stessi anni la Rosà avviò anche un’attività pittorica e grafica, producendo “tavole di ispirazione ‘cerebrale’ e medianica, tendenti spesso all’astrattismo”, puntualizza Simona Cigliana. Nel 1919 scrisse un secondo romanzo, Non c’è che te, e partecipò alla Grande Esposizione Futurista a Milano, mentre nel 1922 andò in mostra all’Esposizione Futurista Internazionale di Berlino. Per molti anni smise di scrivere, fino al 1964, quando pubblicò il saggio Eterno Mediterraneo, sorta di viaggio alla ricerca delle sorgenti dell’arte, seguito da Il fenomeno Bisanzio (1970), una storia della città prima dell’occupazione ottomana.
Ludovico Pratesi
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