La mostra su Carlo Maria Mariani, il “dissidente” dell’arte italiana
Ha celebrato una figura “ai margini” dell’arte italiana contemporanea la mostra ospitata dalla Temple University di Roma. Rilanciando l’attualità della pittura di Carlo Maria Mariani, scomparso nel 2021
Quella andata in scena alla Temple University di Roma è una mostra peculiare. Intanto perché, caso più unico che raro, il collezionista è anche curatore. Infatti, come Carlo Maria Mariani (Roma, 1931 – New York, 2021), l’artista perno dell’intera mostra, rappresenta una sorta di ibrido tra l’artista e lo storico dell’arte (così lui stesso si definiva), anche l’evento che lo ha visto protagonista vive sotto l’egida di una figura ibrida, Antonio Martino, il quale è il collezionista a cui le opere in mostra appartengono e insieme il curatore. Simmetria divertente e anche vagamente romantica, considerata l’amicizia che legava Martino con Mariani. Ma non è l’unica particolarità: i grandi nomi esposti, da Paolini a Ontani, da Salvo a De Dominicis, sono qui i satelliti, seppur preziosi, dell’astro Mariani, quasi sconosciuto ai più. Ma, più che essere originale, l’allestimento puntava a essere originario, poiché, con l’intento di riconnettere il contemporaneo alle radici della pittura, ha riunito elegantemente una serie di opere provenienti da una collezione privata ed è stato una sentita provocazione diretta al mondo dell’arte e al criterio espositivo del nostro sistema pubblico e privato.
LA MOSTRA SU CARLO MARIA MARIANI A ROMA
Organizzata in una università, spazio intellettuale per eccellenza, in uno spazio a margine del circuito delle grandi mostre cittadine, legato proprio a quella Philadelphia che ha visto le opere di Mariani celebrate in una grande mostra sull’Italia qualche anno fa e in generale agli Stati Uniti, che sono stati il suo Paese d’adozione fino alla morte nel 2021, questa mostra ha parlato dell’artista romano, prima ancora che nelle opere, nell’intero assetto espositivo: colto, internazionale, ai margini. Ma ai margini di cosa? Di quella storia dell’arte di etichette, di idoli caduti e nuove idolatrie moderniste che spadroneggiano, troneggiano e lievitano di numero e di numeri nelle collezioni più disparate.
Questa voglia di riscatto permeava le sale che hanno ospitato le opere raccolte da Martino con il supporto di Lorenzo Canova e dell’artista Nicola Verlato, in mostra con una tela in bianco e nero, quasi marmorea, che si divide tra la bellezza scultorea del mito e la drammaticità tutta contemporanea della sua distruzione. Ma più forte del disappunto è stata la speranza di una reazione in chi guarda, o quanto meno di una riflessione innescata dall’incontro con un’arte perlopiù sottaciuta dai circuiti ufficiali, sovrastata da quei meravigliosi Anni Sessanta e Settanta della nostra storia dell’arte che hanno rivoluzionato la percezione del contemporaneo, ma, attraendo gran parte dell’impegno di critica e mercato, hanno relegato molti artisti in recinti dentro ai quali non si sono mai ritrovati (così come Mariani apertamente denunciava).
RISCOPRIRE L’ARTE DI CARLO MARIA MARIANI
Non si prova nulla di sterile né anacronistico osservando la Minerva, simbolo del potere economico, che appoggia le labbra sullo stivale italiano che reca su di sé sarcasticamente la scritta Non trasferibile, o guardando quel putto curioso in Dove sei? Oh dove sei? che quasi solletica con l’alloro il sedere nudo di una giovane Bellezza, anche simbolo della Cultura, che ingenuamente dorme con un libro distrattamente scivolato sul capo. Non racconta di noi e delle nostre vite quell’A morte il Tiranno, che campeggia nitido al centro dell’opera che è la ipotetica copia di una tela scomparsa di Jacques-Louis David? Quel David che, prima di dipingere l’iconico Marat assassinato abbandonato nella sua vasca da bagno, aveva ritratto un Le Peletier che aveva votato, pagandola con la vita, l’uccisione di Lugi XVI. Mariani una certa forma di dissidenza l’aveva pagata con un auto-esilio a New York, dal quale non fece ritorno. Di sicuro la sua è un’arte intellettuale, così come le pose di Luigi Ontani che richiamano Piero della Francesca, o le delicatissime opere di Giulio Paolini che richiamano Watteau e Raffaello attraverso il suo storico collage. Ma la sensazione non è di vuota e polverosa riproposizione di un classico, al contrario ci si trova di fronte a immagini vibranti a diversi livelli, la cui visione ci arricchisce. Ed è già molto in un mondo in cui ascoltiamo solo quello che sappiamo di voler sentire, guardiamo quello che ci viene suggerito sulla base delle nostre profilazioni, parliamo solo con persone che condividono le nostre opinioni.
Ofelia Sisca
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