Edward Weston come Gerhard Richter, Tina come Ema. Storie di ordinaria censura su Facebook, scambiando l’arte con l’hard. Succede ad Artribune, ma anche al Centre Pompidou

Artribune e il Centre Pompidou, uniti nel segno di Facebook. Stessa estate, stessa sorte. Lo scorso 24 luglio, nel lanciare sul nostro profilo la notizia di un evento dedicato alla pasionaria Tina Modotti, pubblicammo un’immagine – bellissima – che raccolse centinaia di I like e condivisioni. Era un ritratto fotografico di Tina, firmato dal grande […]

Artribune e il Centre Pompidou, uniti nel segno di Facebook. Stessa estate, stessa sorte. Lo scorso 24 luglio, nel lanciare sul nostro profilo la notizia di un evento dedicato alla pasionaria Tina Modotti, pubblicammo un’immagine – bellissima – che raccolse centinaia di I like e condivisioni. Era un ritratto fotografico di Tina, firmato dal grande Edward Weston. Un nudo integrale di una potenza plastica assoluta, scattato nel ’23. Bene, il giorno dopo scoprimmo, con rammarico, che la foto non c’era più. Un post ci avvisava che era stata rimossa, perché violava il regolamento. Ovvero? Pornografia, più o meno. Su Facebook le donne nude non ci possono stare. Arte o non arte, che importa.
Negli stessi giorni, il Centre Pompidou pubblicava un dipinto del ’66 di Gerhard Richter, per promuovere la retrospettiva in corso fino al 23 settembre. Anche in quel caso si trattava di un corpo femminile senza veli, la bionda Ema che scende le scale, dissolta nella trama nebbiosa della pittura di Richter. Cestinata, pure lei. Nonostante i 1.300 I like e la chiara natura artistica, l’immagine venne rimossa. Nessuna differenza, in sostanza, tra una discinta playmate e un’opera d’arte straordinaria. Per i social-censori è tutto lo stesso, disdicevole spam.

Edward Weston – Nude 1923 Edward Weston come Gerhard Richter, Tina come Ema. Storie di ordinaria censura su Facebook, scambiando l'arte con l'hard. Succede ad Artribune, ma anche al Centre Pompidou

Edward Weston, Nude, 1923

Al Pompidou, però, è toccato un imprevisto lieto fine. Accadde infatti che Gonzague Gauthier, digital projects manager del Museo parigino, cinguettò su tiwitter tutta la sua disapprovazione per l’atto censorio, informando qualche migliaio di follower. All’istante arrivarono le scuse di Monsieur Facebook. Con la seguente motivazione: il regolamento consente la pubblicazione di nudi pittorici e scultorei, ma non fotografici. E la tela di Richter l’avevano scambiata per una (piuttosto sfocata) fotografia.
Niente da fare, dunque, per la nostra Tina desnuda: i quadri sì, le foto no. Nessuno scandalo nella rappresentazione, massimo turbamento nella “presa” diretta del reale. Il motivo, però, è certamente di ordine più pratico che teorico: con le migliaia di foto pubblicate ogni giorno dagli utenti, distinguere tra lo scatto hard e lo scatto d’artista, richiederebbe uno staff dedicato e un lavoro certosino. La soluzione? Censura tour court. In realtà, altri episodi legati a dipinti si erano già verificati, uno su tutti la rimozione dell’Origine du monde di Courbet dal profilo della New York Academy of Art. Anche quello un equivoco?
Pare che il Pompidou abbia invitato Facebook ad aprire una tavola rotonda sul tema, nel tentativo di ridiscutere termini, metodi e criteri. Nessuna data fissata ancora, ma il social network di Zuckerberg avrebbe accettato di buon grado. Ovviamente, vi terremo aggiornati.

– Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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