La cultura è partecipazione
La cultura non è mai stata un prodotto elitario. Se ne può restringere l'accesso e quindi il consumo, ma la cultura è un processo sociale di emersione, dall'interno verso l'esterno, che non può non rivolgersi a tutti, indipendentemente da chi raggiunge o la recepisce.
Oggi si arriva all’esigenza della partecipazione solo perché i modelli di sussistenza finanziaria non sono più in grado di fornire le risorse per mantenere il vecchio tenore. Il mondo della produzione culturale, finanziato con il denaro della collettività, non ce la fa più. Lo stesso comparto serializzato, quello industriale (cinema, musica ed editoria), soffre. Minori ricavi e maggiori costi. Il consumo elitario di cultura, quello per pochi che se ne intendono (secondo loro), ha provocato un unico effetto: chi ha vissuto fuori contesto, di un benessere improprio, non legato alla domanda, non è cresciuto nella qualità. È sopravvissuto grazie alla negligenza di chi non controllava. Ciò ne ha fatto crescere i costi a dismisura, le inefficienze all’inverosimile.
Oggi siamo al collasso. Con biblioteche senza libri, musei bui e polverosi, siti archeologici in rovina, produzione teatrale e cinematografica senza sperimentazione, arte visiva autoreferenziale. È un caso che, quando Gioni ha curato la mostra Millennials al New Museum, non sia riuscito a selezionare alcun italiano? Bisogna ripartire da molto indietro. “Cultura di tutti” significa a disposizione di chiunque la voglia e la cerchi, magari anche stimolando la curiosità. Nella crisi nascono le idee migliori. Mentre nell’offerta pubblica ci si arrovella su quanto ancora ci si possa spingere con la gratuità della fruizione, nell’ipocrita convinzione che sia espressione di democratizzazione, nel privato si trovano segnali illuminanti, e lungimiranti.
In una cittadina in Sicilia, a Favara, un quarantenne ha fatto della sua passione civile e culturale, l’arte contemporanea, una vocazione. Andrea Bartoli dedica tutto il suo tempo libero (vive di altro) a conoscere e promuovere artisti italiani e stranieri, noti o emergenti. Ha creato una fondazione, ha comprato pezzi di città fatiscenti in cui ospita, espone, condivide il valore dell’arte. Esprime il suo diritto di cittadinanza, l’amore per la sua terra. Sacrifica il possibile e ce la fa da solo. È un italiano modello. Il fundraising, che solo dopo, quando serve, diventa finanziario, non è altro che questo, parte da questo. La cultura è partecipazione.
Fabio Severino
vicepresidente dell’associazione economia della cultura
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #7
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