10 episodi per raccontare il legame fra arte e moda nell’ultimo secolo
Da sempre legate l’una all’altra, hanno visto insieme momenti indimenticabili. Dal Futurismo al Surrealismo, passando per l’arte concettuale, abbiamo cercato di ripercorrere i dieci episodi più emblematici della lunga relazione tra arte e moda
Non è una novità: l’arte osserva il mondo della moda come possibile amplificatore dei propri messaggi. Nel corso degli anni questa continua relazione bilaterale ha vissuto momenti importanti. Se ne potrebbero selezionare mille, noi ne abbiamo scelti dieci rappresentativi dell’ultimo secolo.
Giorgia Monti
CENTO ANNI FA: IL FUTURISMO
Come se fosse un legame sentimentale, il rapporto tra moda e arte ogni tanto affronta momenti di crisi poi destinati a risolversi. Questa relazione, se osserviamo l’intervallo degli ultimi cent’anni, era ben presente già all’inizio del Novecento tramite gli artisti dell’Art Nouveau e delle Avanguardie storiche: il Manifesto del Futurismo di Marinetti (1909) spiega come l’abito, frutto della moda profondamente connessa alla società, sia un perfetto strumento di propaganda perché è in grado di divulgare un’ideologia. Per i futuristi la moda è sinonimo di modernismo e rivoluzione.
IL SURREALISMO TRA DALÍ E SCHIAPARELLI
Ma è nella Parigi degli Anni Venti e Trenta che la monda entra in stretto contatto con gli artisti: Elsa Schiaparelli è una poetessa surrealista che usa gli abiti come tele, mossa dalla necessità di spezzare la monotonia. Così, dall’incontro con Salvador Dalí, le loro anime anticonformiste iniziano a creare capi straordinari come l’abito con l’aragosta del 1937. Sinonimo di erotismo contro una tradizione pudica, fu indossato per la prima volta da Wallis Simpson – futura moglie di Edoardo VIII Duca di Windsor ‒ in un servizio fotografico di Cecil Beaton.
CHANEL A TEATRO CON PICASSO
“Chanel sta alla moda come Picasso sta alla pittura”: questa la citazione di Jean Cocteau, poeta e drammaturgo che ha consentito l’incontro tra i due nel 1917. Con il passare del tempo quell’amicizia, diventata poi sodalizio, si rafforza grazie a due progetti di Cocteau: Antigone nel 1922 ‒ le cui scenografie e maschere furono realizzate da Picasso e i costumi da Chanel ‒ e il balletto russo Le Train Bleu di Sergej Djagilev nel 1924. IN quest’ultima occasione il pittore realizzò il sipario, mentre la stilista vestì i ballerini con la sua collezione di capi sportivi, ritenuta sfacciata e di cattivo gusto.
JACKSON POLLOCK E L’HAUTE COUTURE
È un lungo pellegrinaggio quello tra la storia dell’arte e del costume, che negli anni ha accolto artisti e cambiamenti, tra cui il servizio fotografico del ‘51 del fotografo Cecil Beaton per Vogue presso la galleria Betty Parsons di New York. In primo piano i capi di haute couture di Henri Bendel, invece sullo sfondo i dipinti di Jackson Pollock. Il risultato? Critiche e sdegno, eppure quello che rimane oggi è una dimostrazione dal significato ben preciso: l’abito ha la stessa valenza di un quadro, perciò dobbiamo iniziare a concepire la moda come una forma d’arte.
YVES SAINT LAURENT REINTERPRETA MONDRIAN
Nel 1965 Yves Saint Laurent, dopo un rapporto costante con l’arte tra culture giovanili e Swinging Sixties, realizza il Mondrian dress: simbolo di un grande cambiamento per la moda, viene oggi conservato un’opera d’arte esposta al Victoria and Albert Museum di Londra. Abiti a tubo in jersey e lana, silhouette definita e blocchi di colore che riproducono le fantasie geometriche dei quadri dell’artista neoplasticista. In una sfilata che comprende anche creazioni ispirate ad altri pittori, le uniche ad attrarre gli ospiti sono quelle legate all’artista olandese perché sono la perfetta trasposizione dei suoi dipinti.
POP ART: TRA CONSUMISMO E ABBIGLIAMENTO
Ed eccoci alla citazione per colui che ha predisposto la fusione tra moda, arte e incanto divenuta sempre più palese dalla fine dello scorso secolo: Andy Warhol. Il suo legame con gli abiti e la smania di magnificenza inizia da quando nel 1969 fonda la rivista Interview con Gerard Malanga, che con il suo carattere pop trascina lo spettatore nel vortice del consumismo e della fascinazione verso i divi americani e l’immagine. Sono stati proprio i suoi famosi barattoli di zuppa a dare vita nel 1965 a un abito emblema della Pop Art: prodotto dalla Campbell’s Soup attraverso un’efficace campagna pubblicitaria, questo vestito dalla linea dritta altro non potrebbe riportare che la stampa serigrafata della lattina. Dopo il Souper Dress, tanti stilisti hanno celebrato la corrente artistica: da Halston, che collabora a lungo con il genio della Factory, a Gianni Versace, che nel 1991 realizza un’intera collezione.
GIVENCHY, MARINA ABRAMOVIĆ E L’ARTE CONCETTUALE
Altra certificazione del legame tra questi due universi è la collezione primavera/estate 2016 del marchio francese Givenchy in collaborazione con Marina Abramović. L’evento, messo in scena lungo un molo dell’Hudson River, contrapposto ai mastodontici grattacieli di Manhattan nella giornata più simbolica della storia americana, l’11 settembre, racchiudeva la volontà dell’artista – occupatasi di concept, allestimenti e video teaser – ovvero portare un messaggio che fosse rispettoso e toccante. Tra architetture provvisorie, realizzate mediante l’uso di pezzi di legno trasportati dalla corrente, e le note finali dell’Ave Maria di Schubert, lo show fu un omaggio alla lentezza, al ricordo e anche agli abiti.
I POIS DI YAYOI KUSAMA PER LOUIS VUITTON
Ulteriore incontro emblematico tra arte e moda è quello che vede coinvolto il brand di lusso Louis Vuitton e l’artista giapponese Yayoi Kusama. Una collaborazione desiderata da Marc Jacobs, allora direttore creativo della maison e da sempre affascinato dall’arte contemporanea. I famosi pois dell’artista hanno contaminato i capi del brand, perfino il negozio Louis Vuitton di Fifth Avenue, e la classica tela del brand è stata sostituita dal Monogram Vernis Dots Infinity, in un restyling fantasioso che ha sancito questa unione. Sempre con Vuitton, una decina di anni prima, aveva fatto qualcosa di molto simile Takashi Murakami.
LA PERFORMANCE ART DI FENDI E VASCELLARI
Numerose invece le interazioni tra Fendi e Nico Vascellari, considerato tra i più grandi performer del momento. Dalla collaborazione e sponsorizzazione di una sua installazione presso il MAXXI di Roma al compimento di campagne pubblicitarie mirate alla costruzione della brand identity giocando con l’anagramma di Fendi, Vascellari ricopre un ruolo primario all’interno del marchio romano. Celebre la realizzazione della musica per le sfilate del 2019 in cui inserisce la voce di Silvia Venturini stessa, ma anche la direzione artistica del défilé sia per la collezione primavera estate 2022 sia per la sfilata uomo di gennaio 2022, affermando il suo coinvolgimento pure negli show.
L’HACKERAGGIO DI JEFF KOONS
Questi due mondi si influenzano da anni e continueranno a farlo, dalle sfilate che prendono ispirazione dal Rinascimento e dal Medioevo a Jeff Koons, che propone il viso della Monna Lisa sulle iconiche Speedy di Louis Vuitton. Simbolo dello stile neo-pop, Jeff Koons stesso nel 2017 ha debuttato nel mondo dell’high fashion grazie alla maison francese, dando uno spunto di riflessione sulle correlazioni tra moda e consumismo. La collezione si ispira a uno dei lavori di maggior successo dell’artista, i Gazing Ball Paintings, andando a reinterpretare alcune opere famose in maniera dissacrante.
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