L’Opera, tra passato e futuro
Ha appena chiuso a Macerata il festival Sferisterio. Opera lirica ma non solo. Un evento che, in controtendenza rispetto alla crisi, cresce e si rinnova. Coinvolgendo il territorio e mescolando passato e presente. Due interviste per approfondire il caso.
Si è appena conclusa la stagione lirica del Festival Sferisterio di Macerata, che ha visto quest’anno molte novità: un nuovo direttore artistico, una dirompente veste grafica (segno certo di rottura col passato) e l’apertura verso le tecnologie multimediali. Un’occasione, quella alla visita al festival, che porta a interrogarsi su come le manifestazioni culturali possano riuscire non solo a sopravvivere, ma anche a rinnovarsi in tempi di crisi. Per approfondire il caso Sferisterio, abbiamo intervistato Francesco Micheli, direttore artistico del Festival e i Lucky Assembler, autori della novità di quest’anno: il digital mapping.
Come siete riusciti nell’impresa di trovare nuove sponsorizzazioni? È cambiato in qualche modo il rapporto con il territorio?
Quella delle sponsorizzazioni è stata una delle prime emergenze sulle quali siamo dovuti intervenire. La mia nomina a direttore artistico è avvenuta il 5 gennaio, quando i budget delle aziende sono già chiusi: si è trattato di una corsa contro il tempo. Ho presentato personalmente il progetto a moltissimi imprenditori, ma anche ai commercianti e agli ordini professionali, e nonostante le aziende abbiano risentito in modo a volte durissimo della crisi, ho trovato una grande voglia di partecipazione. Esiste davvero nelle Marche una classe imprenditoriale illuminata che crede nell’arte come strumento di rilancio civile e in prospettiva anche economico, tanto più necessario in un momento di smarrimento e di difficoltà. In concreto abbiamo coinvolto 43 aziende e 8 Comuni del territorio; a volte con piccoli contributi, ma il futuro è proprio qui: nella costruzione di una rete di sostenitori grandi e piccoli che oltre a offrire al Festival sostegno finanziario si sentano parte del progetto, contribuendo al suo radicamento nel territorio.
La critica che talvolta viene mossa ai festival è quella di seguire la tendenza del turismo “mordi e fuggi”: tradizioni antichissime come il treno o il pullman della lirica sono aumentate di volume portando a Macerata centinaia di spettatori che scendono dal mezzo di trasporto, ascoltano l’Opera e ripartono immediatamente dopo. Come accade in ambito artistico con le cosiddette “mostre blockbuster”. Come rispondete a questa critica?
Il problema dell’evento “mordi e fuggi” non si pone solo per i turisti ma per gli stessi maceratesi: se andare all’Opera non è che l’occasione di una sera lo Sferisterio resterà un monumento magnifico e solitario, un’astronave atterrata per caso accanto alle mura della città. Già il mio predecessore aveva riunito nei fine settimana le repliche di tutte le opere in cartellone in modo da offrire ai turisti la possibilità di assistere a tre titoli nel corso di un breve soggiorno in città. Da quest’anno nasce il Festival Off, che dal martedì al giovedì propone un cammino di avvicinamento alle recite d’opera, utilizzando tutta la città come palcoscenico per concerti, incontri, mostre e spettacoli e collaborando con le altre istituzioni culturali della città, dalle Raccolte Civiche all’Accademia di Belle Arti. Con la Notte dell’Opera (il 9 agosto) abbiamo coinvolto tutti gli esercenti in una grande festa che offre a maceratesi e ospiti un’occasione per riscoprire gioiosamente la straordinaria bellezza di questa città. Negli anni prossimi cercheremo di fare ancora di più, creando eventi a Macerata anche nel corso dell’anno e allargando il Festival Off anche al territorio.
La conferma della fiducia alla direzione artistica per tre anni consecutivi, e una programmazione triennale già annunciata. In un momento in cui il capitalismo vacilla, siamo spaventati dai fantasmi della fine dell’Euro e i tagli alla Cultura non si contano. Potete dare un consiglio agli altri festival per affrontare il timore del futuro e costruire su solide basi?
Il punto fondamentale è credere in quello che si fa. Io sono convinto che l’Opera non sia un patrimonio del passato ma una forma d’arte viva, la madre da cui discendono la canzone, il musical, e moltissime manifestazioni della nostra cultura, alta e popolare. L’Opera parla di temi che ci riguardano da vicino con un linguaggio capace come nessun altro di coniugare profondità e immediatezza. Se le cose stanno davvero così allora proprio in un momento di crisi l’Opera può ritrovare il suo ruolo come collante della società, momento di costruzione di un’identità comune. Certo occorrono idee artistiche innovative e rigore contabile assoluto per far fronte alla situazione economica. Ma occorre soprattutto ricreare il contatto vitale tra l’Opera e la società: se si isola, come purtroppo è successo troppo a lungo, l’Opera è perduta, mentre se ritrova la voglia di parlare a tutti può davvero essere il lievito di un nuovo Rinascimento. Anche allora, cinquecento anni fa, l’Italia attraversava un periodo tra i più bui della sua storia dal punto di vista politico ed economico, e l’arte ha saputo essere il motore della ricostruzione.
Il Festival infatti è uscito dalla sua sede, lo Sferisterio, e ha coinvolto la città: ha invaso i teatri, le strade, i cortili, le piazze, con una potenza di fuoco da reggere il paragone con realtà internazionali consolidate. L’Opera, terreno naturale di incontro e convergenza tra le arti, ha dialogato con la letteratura, la filosofia, l’arte, la musica contemporanea, la canzone. E lo ha fatto rivolgendosi a tutti: dai bambini, che saranno il pubblico di domani, ai giovani, che possono identificarsi al meglio nelle storie estreme di Violetta, Mimì e Carmen, a tutti i cittadini e agli ospiti di Macerata. Con spettacoli, concerti incontri, mostre e conferenze che hanno dimostrato la vitalità e l’attualità della tradizione del melodramma. L’iniziativa, che prende forma per il primo anno a Macerata, è sostenuta quasi interamente dai privati. “Abbiamo risposto subito con interesse alla partnership che ci è stata proposta dall’Associazione Sferisterio”, dichiara Alberto Simonetti, titolare dell’impresa che porta il suo nome ed è main sponsor dell’evento, “che con il Festival Off offre una opportunità importante alla cultura del territorio. Anche il privato soffre, ma dobbiamo ripartire. Ripartire proprio dalla cultura, dall’arte. Per questo ci crediamo, per questo la sosteniamo”. Ma la grande novità di quest’anno, durante la “notte dell’Opera”, è stato lo spettacolo di tecnologie digitali: un digital mapping sulla facciata dello Sferisterio. Il progetto, a cura di Lucky Assembler, una realtà tutta maceratese con esperienze nel campo dell’arte, dell’intrattenimento e dello spettacolo, ha suscitato “meraviglia” durante tutta la serata. Abbiamo fatto qualche domanda anche a Francesco “Zuth” Venanzoni e ad Armando Torraco della Lucky Assembler.
La vostra esperienza professionale parte dall’ambiente dell’intrattenimento (Titilla, Nike, …) ma avete rapporti anche con i Beni Culturali…
Noi nasciamo in ambito culturale: sia io che il co-fondatore proveniamo da una formazione in ambito artistico. Dal 2004, anno della nostra nascita, abbiamo lavorato con il Premio dei Teatri di Riccione dedicato a Pier Vittorio Tondelli, facendo una proiezione sulla facciata del Grand Hotel. Da lì siamo partiti con una serie di collaborazioni con il Cocoricò Network che non ha mai abbandonato Bruscia, Presidente dei Teatri di Riccione, portandoci in piazza per il concerto di Stefano Bollani con l’Orchestra Filarmonica di Pesaro: un’unione fra musica e tecnologie digitali e multimediali.
L’amministrazione vi ha favorito nell’organizzazione di questa serata?
Per noi è un vanto affacciarsi sul monumento di maggiore rappresentanza della città, e ringraziamo ConfCommercio che ha reso possibile quest’opera, finanziata dal quartiere in cui ci troviamo ora. Arrivare su un monumento, e per giunta in ambito istituzionale, è un’emozione bellissima.
Come lavorate?
Il nostro è un lavoro di gruppo: c’è chi lavora alla parte amministrativa, le comunicazioni e la parte creativa, come una piccola agenzia di quindici persone, con anche la collaborazione del professor Carlo Gioventù, responsabile della sperimentazione.
Ma quando vi arriva una committenza come lavorate, su cosa vi documentate e cosa decidete di proporre?
Chiaramente le cose sono molto diverse se si tratta di una discoteca, di un museo o di un’istituzione. A noi serve un briefing approfondito con il committente per decidere in che modo sviluppare il lavoro, sulla base di cosa si vuole comunicare e considerando gli eventuali vincoli da rispettare. A volte non ci forniscono nessun materiale, ma per noi non è un problema. Quello che ci è strettamente necessario è effettuare il rilievo, e da quel momento siamo liberi dalla location e ci possiamo concentrare esclusivamente sulla parte software, fino al giorno in cui ci serviremo dei proiettori (sempre rigorosamente noleggiati, visto che 12.000 ansilumen costano molto). Non facciamo prove intermedie fino al giorno stesso del live, perché il nostro è un vero e proprio live set.
In questo caso lo Sferisterio cosa vi ha chiesto e cosa vi ha fornito?
Nello specifico la committenza non è stata lo Sferisterio, è stata il quartiere e ConfCommercio. Il direttore artistico dello Sferisterio ci ha dato il permesso autorizzando l’idea.
E la Soprintendenza non deve essere interpellata visto che si tratta solo di una proiezione…
I nostri interventi sono momentanei, legati a una interazione live che finisce nel momento dello spegnere il proiettore, e non lascia nessun segno.
Ma della tua arte tu cosa vorresti che rimanesse?
L’emozione. Anzi no, il senso del bello. Quello che rimane è infatti spesso il senso del “carino”.
Carino?
È quello che la gente comune pensa quando passa e guarda lavori come questo: non è disturbante e diletta. Io sono un po’ in rottura con questa corrente, che arriva a declinare questi lavori nella pubblicità. Si tratta di un lavoro artigianale e manifatturiero che si può ripetere, ma ogni volta è diverso. Non è grafica pubblicitaria.
Cos’è che rispettate dell’edificio, e a cosa decidete di mancare di rispetto?
Noi violentiamo la facciata e rispettiamo il committente. Il nostro scopo è stravolgere l’architettura, che è anche l’unico limite che abbiamo, ma nel nostro “rivestirla” la stravolgiamo completamente: per noi è uno schermo. Trovo molto limitante ridurre questa arte solo agli edifici storici. Si dovrebbe liberare il mapping dall’architettura storica e portarlo anche su palazzi moderni e perché no, anche fatiscenti.
Cosa cerchi per creare la meraviglia in quello che fai?
La semplicità. Arriva diretta, coinvolge e desta meraviglia. Tutto il resto è tecnica. Io gioco molto coi colori e con le figure, il mio gioco è estetico, cercando di inserire anche contenuti e non rimanere incastrato nel gioco dell’estetica fine a sé stessa.”
Questo per te è il videomapping?
Videomapping è una parola che non esiste per me: io parlo di proiezioni, anche in questo caso con molta semplicità: architetturali, in tempo reale, 2D, 3D, quelli che preparano un filmato e lo mandano il loop, chi sarebbe come voler racchiudere in un unico termine tutte le sfumature della pittura.”
Progetti per il futuro?
Coinvolgere anche gli spettatori nel live, sperimentando nuove forme di interattività.
Simona Caraceni
www.sferisterio.it
www.luckyassembler.com
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