Le proteste in Iran raccontate da un’attivista
Troppo spesso consideriamo i diritti umani come qualcosa di scontato. Non è così in molti Paesi del mondo, come ad esempio l’Iran. Dalle proteste alla violenta repressione, ecco cosa sta accadendo nel racconto di Pegah Moshir Pour, attivista di origini iraniane
Dove non ci sono diritti per le donne e le minoranze non è possibile avere o pensare di avere un futuro. Lo dimostrano le proteste in Iran, siamo al 63esimo giorno ininterrotto di manifestazione in più di 100 città iraniane. Ma perché? Le proteste sono contro il regime, ma prima di spiegare che cosa sta succedendo oggi è necessario spiegare cosa è successo 43 anni fa. Nel 1979 gli iraniani decidono di non volere più la monarchia sotto la famiglia Pahlavi e introducono in Iran la figura dell’Ayatollah per dar vita alla Repubblica guidata da Khomeini, che in seguito divenne islamica. Iniziano le repressioni da parte del governo: i diritti civili vengono sempre meno, il popolo prova a protestare ma le proteste vengono soppresse in breve tempo, cresce la paura nel Paese.
Non è la prima volta che assistiamo a delle rivolte. Ricordiamo il 2009 con il movimento verde, mentre nel 2019 1500 persone sono state uccise per strada in soli tre giorni. Immaginate che in Iran ci siano tre generazioni: quella che ha fatto la rivoluzione nel 1979, quella che ha fatto la guerra Iran-Iraq e la nuova generazione, che compone praticamente il 70% della popolazione, sotto i 35 anni. La chiave di queste rivolte è quest’ultima generazione, che non si ritrova nelle scelte prese dalle precedenti, ha un’identità totalmente a sé e i suoi riferimenti culturali sono diversi, tendono all’Occidente. Ma soprattutto questa generazione non ha paura, perché in Iran non vede più futuro.
LE PROTESTE IN IRAN
Le rivolte sono scoppiate in seguito all’uccisione di Mahsa Jina Amini, una ragazza di 22 anni fermata dalla polizia morale poiché non portava correttamente il velo, uscita morta dalla sessione di rieducazione. Inoltre era curda, quindi si aggiunge la discriminazione razziale. Le donne e la GenZ scendono per strada e chiedono libertà. Le manifestazioni si evolvono e includono sempre più generazioni, non riguardano solo il velo ma tutta la condizione sociale. Questa nuova generazione ha quel coraggio che quelle di prima non avevano e soprattutto ha la perseveranza e sta insistendo in ogni città, iniziando dal Kurdistan fino ad arrivare alle principali città Sante: Mashhad e Qom. Questo è un segnale importante per quanto riguarda il clero sciita, che in queste ore sta anche decidendo chi debba essere il successore dell’Ayatollah Khamenei.
Il regime sta bombardando e uccidendo i civili nella regione del Kurdistan, Sistan e Baluchistan. Sappiamo che il governo iraniano è molto discriminatorio verso le minoranze, e la brutalità che usa verso i curdi e i bahai lo dimostra. Durante la preghiera del venerdì sono state uccise e ferite centinaia di persone.
Perché il regime iraniano sta attaccando sempre di più le donne ma soprattutto la nuova generazione?
Prima di andare avanti capiamo alcuni dati: il tasso di alfabetizzazione delle donne in Iran è oltre il 97%, costituiscono il 65% dei laureati e il 70% di queste laureate lo sono in materie STEM ‒ scienze, tecnologia, ingegneria e matematica.
La prassi del regime è sempre la stessa: arrestare i giornalisti, arrestare gli studenti, chiudere internet e ogni ambiente virtuale, l’informazione ufficiale racconta del nemico statunitense, non viene reso ufficiale il numero degli arresti per poi iniziare il massacro.
Qualche giorno fa sono state condannate a morte 1000 persone solo perché protestavano, non hanno neanche la possibilità di avere dei legali perché anch’essi vengono arrestati o fatti sparire.
Continuiamo a ripetere che le proteste non sono per l’Hijab, perché anche prima dell’insediamento della repubblica islamica il velo si portava in Iran, con la differenza che era una scelta, così come è scritto nel Sacro Corano.
L’Islam non impone l’Hijab ma è una scelta della donna se indossarlo o meno, le immagini in cui vengono bruciati i veli può sembrare una mancanza di rispetto verso i credenti, ma in queste proteste è solo un simbolo. Perciò non autorizza gli islamofobi o i razzisti in Occidente a giudicare chi invece per propria scelta porta il velo.
Perché il vero velo della repubblica islamica è un’imposizione di potere che si poggia sulla testa, la testa dove si racchiude il sapere, quella testa che viene presa a manganellate perché si è scoperta. Il taglio dei capelli elimina la possibilità di essere afferrate per i capelli.
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GIOVANI E LIBERTÀ IN IRAN
La popolazione giovane chiede più libertà e il regime la opprime ‒ soprattutto le donne ‒ semplicemente per mantenere un certo controllo, perché se dovesse cedere sulla libertà di non portare il velo potrebbe poi crollare come un castello di sabbia. Allora davanti alle manifestazioni il regime risponde con forza e violenza perciò non dobbiamo smettere di condividere anche sui social quanto sta accadendo, non dobbiamo smettere di chiedere ai Paesi occidentali di fare delle azioni politiche.
Dire che in Iran stanno protestando contro il velo è una narrazione giornalistica sbagliata. Ecco due chiavi di lettura per capire queste proteste: la prima è quella economica ‒ l’inflazione è arrivata al 52.2%, un aumento generale dei prezzi porta una perdita del potere d’acquisto della moneta, se in Italia compriamo un bene a 9% in Iran lo comprano al 26%. Secondo il World Economic Forum il tasso di disoccupazione avrebbe toccato il 10,2% entro la fine dell’anno. Potete capire il disagio di una popolazione così giovane: per essere più specifici la gente non aveva i soldi neanche per comprare la carne. Arriviamo all’altra chiave di lettura, quella politica: il Presidente Raisi è un ultraconservatore (eletto con un tasso di partecipazione bassissimo), che ha rafforzato tutte le leggi di repressione, compresa anche quella del velo.
Tra il carovita, la disoccupazione e il malessere generale hanno fatto esplodere la rabbia del popolo.
#DonnaVitaLibertà è l’hashtag tradotto in tantissime lingue diventato un trend sui social perché racchiude tutti i diritti delle donne nel mondo: parità salariale, libertà di decidere del proprio corpo, accesso al mondo del lavoro e della politica. Le donne iraniane ci insegnano come non abbassare mai la guardia, perché i diritti sono molto difficili da ottenere e basta un voto per perdere tutto. Un segnale forte è emerso nella riunione informale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in cui l’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite Linda Thomas-Greenfield ha dichiarato: “Dobbiamo condannare questi atti brutali di repressione e violenza. E, soprattutto, dobbiamo sostenere le nostre parole con l’azione“. Questo nasce in seguito alle dichiarazioni della Vicepresidente Harris per rimuovere l’Iran dai 45 membri della Commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne (CSW) a causa della negazione da parte del governo dei diritti delle donne e della brutale repressione delle proteste. L’Iran aveva da poco iniziato un mandato di quattro anni nella commissione, che si riunisce ogni anno a marzo e mira a promuovere l’uguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne.
Un nuovo capitolo deve iniziare per il popolo iraniano, che invoca la propria identità culturale e sociale e chiede di condannare i membri della Repubblica Islamica in quanto stanno violando tutti i diritti umani dell’ONU, di cui l’Iran anche un Paese membro.
Pegah Moshir Pour
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