Fantasmagoria Kounellis
Mostra personale.
Comunicato stampa
“Quando Gianni tocca il nero è un castigo di Dio, come Burri”. Questa affermazione di Pascali mi risuona ancora nell’orecchio. Quando la pronunciò avevamo appena dato vita al nostro trio, basato su un patto di acciaio tra lui, Kounellis e me, e che avrebbe portato di lì a poco, siamo tra fine ’66 e inizio ’67, a una rivoluzione copernicana dei materiali artistici.
In effetti Kounellis pittore usava poco il colore.
Numeri, frecce, lettere, rigorosamente neri, stampigliati sulla tela, si stagliavano con nettezza nello spazio bianco del quadro.
Il nero, dunque, predominava, finché Gianni nella seconda personale a L’Attico, pochi mesi dopo la prima, dove c’erano le rose di stoffa e gli uccellini vivi, ancora giocata sul bianco e nero, espose un vero pappagallo con il campo di cactus.
Il pappagallo, lui si che era colorato!
Se ne stava immobile sul trespolo al centro di un telaio metallico, appeso alla parete ad altezza d’uomo, come fosse un quadro. E in effetti, data la sua fissità, lo si percepiva oscillante tra le due e le tre dimensioni.
Ecco, è probabile che sia stato questo pappagallo dal piumaggio variopinto a vincere la proverbiale ritrosia di Kounellis per il colore.
La conferma l’avrebbe fornita una successiva personale a L’Attico, stavolta a via del Paradiso. È il terzo spazio espositivo, dopo quello di piazza di Spagna, e il garage di via Beccaria, che Kounellis affronta. Ed è chiamato a dare ad ognuno un’interpretazione diversa.
Ora, al Paradiso, lo spazio non è più a pianta centrale, bensì consiste in una sequenza di stanze, una decina, e si articola in un percorso circolare, ad anello.
Che ti fa, allora, Kounellis?
Si inventa un colore diverso per le pareti di ogni stanza: una stanza rossa, una blu, una gialla e via di seguito. Ci si immerge così in un grande caleidoscopio, una specie di vertigine onirica, per ritrovarsi poi nell’ultima stanza senza colore, con una ballerina in tutù che appoggia il capo sul tavolo, come assorta, assopita…
Ecco, a quest’ultima mostra si ispira oggi Fantasmagoria Kounellis. Si tratta infatti, ancora una volta, di stanze colorate. Spiccano sulle pareti, divenute vere e proprie quadrerie, le varie combinazioni del manifesto del 1967. I colori base sono sei. Il taglio della fustella, che segue il disegno tratteggiato dall’artista, consente al fiore al centro di essere sostituito con gli altri colori. La molteplicità degli abbinamenti è tale da creare un leggero costante scompiglio nell’uniformità dell’allestimento modulare. Nell’andirivieni sulle pareti, l’occhio si bea e si smarrisce continuamente…
E poi, sul palcoscenico del teatrino, si staglia la Margherita di fuoco, proprio lei, il pezzo originale della mostra collettiva Fuoco immagine Acqua Terra che anticipò di qualche mese l’esordio dell’Arte Povera di Celant.
È emozionante esporla di nuovo, riaccendere a L’Attico la sua fiamma blu e rossa, dopo tanto tempo. Era giugno 1967, mezzo secolo fa.
La fiamma dell’arte, che scalda cuori e menti, non si estingue mai se custodita gelosamente.
Fabio Sargentini