Vengo anch’io. Grandi manovre nel mondo cinese delle aste, anche Poly Auction apre a Hong Kong. Mentre emergono rapporti torbidi con l’intellighenzia governativa…
Basta un piccolo cenno di crisi del mercato dell’arte, ed ecco che si scatena un rapido fuggi fuggi dalla Cina. Almeno dalla Cina continentale. Ieri vi informavamo dell’annuncio dell’approdo ad Hong Kong di China Guardian: ora è la volta della casa d’aste pechinese Poly Auction, la terza più importante al mondo e prima per giro […]
Basta un piccolo cenno di crisi del mercato dell’arte, ed ecco che si scatena un rapido fuggi fuggi dalla Cina. Almeno dalla Cina continentale. Ieri vi informavamo dell’annuncio dell’approdo ad Hong Kong di China Guardian: ora è la volta della casa d’aste pechinese Poly Auction, la terza più importante al mondo e prima per giro d’affari in Cina. Grandioso risultato, se si pensa che la compagnia è stata fondata solamente sette anni fa. “Apriremo una filiale a Hong Kong alla fine dell’anno. Ci farà entrare in competizione diretta con Christie’s e Sotheby’s” ha dichiarato Jia Wei, head of contemporary art di Poly Auction. E ancora una volta viene rimarcato il ruolo internazionale di Hong Kong, che sta a dimostrare che il solo collezionismo cinese non basta a sorreggere il business, bisogna avvicinarsi sempre più ai compratori esteri, fornendo loro gli strumenti più adatti per l’investimento in arte. La scarsa regolamentazione e trasparenza in terraferma cinese ha allontanato molti compratori occidentali, pilotandoli nella controllata e fiscalmente favorevole Hong Kong. Come China Guardian, anche Poly Auction è sbarcata recentemente in America con una sede newyorchese inaugurata la scorsa primavera durante l’Asia Week, pied-à-terre senza scopo di vendita, ma orientato all’approvvigionamento di opere, dal momento che circa il 40% delle opere vendute in Cina provengono da Stati Uniti, Europa e Australia.
Poly Auction fa parte del gruppo di proprietà statale China Poly Group Corporation, nato nel 1984 per il commercio d’armi, e che comprende ora attività immobiliari, energia, demolizione di edifici e cultura. E proprio questa proprietà statale e lo stretto legame con gli armamenti ha fatto mettere in discussione la credibilità della casa nelle ultime settimane. Questo status consente a Poly un sostegno finanziario garantito, ma fa sorgere il dubbio che il business all’incanto alimenti il sistema militare cinese. Ci va giù pesante Forbes, che riporta in un articolo pubblicato alcuni giorni fa i presunti rapporti di Poly con il racket, oltre a parlare di prezzi gonfiati e di vendite manipolate di oggetti spesso falsi. Una vicenda che fa capire come sia ancora profondamente corrotto il mercato dell’arte nel continente cinese, che si avvantaggia degli scarsi controlli e della mancante legislazione a riguardo. Probabilmente la manovra verso Hong Kong che sta compiendo Poly non servirà solamente a convogliare i compratori internazionali, ma anche a recuperare in termini di immagine.
– Martina Gambillara
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