La pittura veneziana del Cinquecento in mostra a Cuneo

Tiziano, Tintoretto e Veronese sono i grandi protagonisti della mostra che porta nel complesso monumentale di San Francesco i capolavori della pittura veneta al suo apice

Cinque capolavori della pittura veneziana del Cinquecento arrivano nel complesso monumentale di San Francesco a Cuneo ‒ ex chiesa conventuale aperta al pubblico nel 2011 a seguito di un ampio intervento di restauro sostenuto dalla Fondazione CRC ‒ per proporre un’originale lettura di un lustro, gli anni dal 1560 al 1565, in cui il colorismo veneto raggiunge il suo apice. Con il titolo I colori della fede a Venezia: Tintoretto, Tiziano, Veronese sono esposte per la prima volta una accanto all’altra cinque grandi pale d’altare di tre maestri del Rinascimento veneto provenienti da altrettante chiese veneziane. Un progetto voluto da Fondazione CRC e Intesa Sanpaolo e sostenuto dal Patriarcato di Venezia che ha concesso le opere. Proprio don Gianmatteo Caputo, delegato patriarcale per i beni culturali ecclesiastici, è uno dei curatori della mostra insieme a Giovanni Carlo Federico Villa.

Jacomo Robusti, detto il Tintoretto, Crocifissione, 1560 circa, olio su tela, 297x165 cm, Venezia, chiesa di Santa Maria del Rosario, detta dei Gesuati

Jacomo Robusti, detto il Tintoretto, Crocifissione, 1560 circa, olio su tela, 297×165 cm, Venezia, chiesa di Santa Maria del Rosario, detta dei Gesuati

LA PITTURA VENEZIANA A CUNEO

Il percorso dell’esposizione si può leggere da molteplici prospettive interpretative. Quella più ovvia è la narrazione della vita di Cristo in cinque momenti che seguono la narrazione evangelica: l’Annunciazione (1563-65) di Tiziano proveniente dalla Chiesa di San Salvador; il Battesimo di Cristo (1560-61) dalla Chiesa del Redentore e la Resurrezione di Cristo (1560 circa) dalla Chiesa di San Francesco della Vigna entrambi del Veronese; opera del Tintoretto sono invece l’Ultima cena (1561-66) dalla Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio e la Crocifissione (1560 circa) dalla Chiesa di Santa Maria del Rosario.
L’altra chiave di interpretazione è il legame inscindibile delle tele con le chiese dove, da secoli, sono conservate. È un aspetto che la rassegna cuneese evidenzia con particolare attenzione. Non solo con una sezione introduttiva connessa alla storia e all’urbanistica della Serenissima, ma con pannelli che ‒ davanti a ciascuna opera ‒ sintetizzano la storia degli edifici di culto e il loro significato nel tessuto sociale, culturale e religioso della città. Sarebbe impossibile capire appieno un’opera come l’Ultima cena di Tintoretto, “una scena di forte gusto popolaresco, con elementi di inconsueto realismo” sottolinea Gianmatteo Caputo, senza avere consapevolezza che la committenza arriva al pittore dalla Scuola del Sacramento dei santi Gervasio e Protasio (San Trovaso), una confraternita che aveva cura dei poveri e che probabilmente determina la scelta di un’ambientazione assai dimessa, umile. I personaggi siedono in una semplice locanda, attorno a una sommaria apparecchiatura, con sedie rotte e pavimento non spazzato. Gli apostoli hanno i volti dei popolani che frequentavano le calli attorno alla chiesa o quelli degli stessi maestri d’ascia al lavoro negli squeri sulle fondamenta di Ognissanti.

Paolo Caliari, detto il Veronese, Battesimo di Cristo, 1560-1561, olio su tela, 214 x 100 cm, Venezia, chiesa del Redentore

Paolo Caliari, detto il Veronese, Battesimo di Cristo, 1560-1561, olio su tela, 214 x 100 cm, Venezia, chiesa del Redentore

VERONESE, TINTORETTO E TIZIANO IN PIEMONTE

Di estremo interesse anche la storia del Battesimo di Cristo di Paolo Veronese del 1561, un’opera commissionata dal ricco mercante Bartolomeo Stravazino, che compare insieme al figlio Giovanni in un angolo della tela. Venne realizzata per essere ospitata in un oratorio presso la chiesetta di Santa Maria degli Angeli alla Giudecca, che sorgeva nel luogo dove, anni dopo, verrà edificata la chiesa del Redentore, concepita come ex voto per combattere l’epidemia di peste. La tela del Veronese è quindi precedente all’edificio del Palladio e per questa ragione, non essendo adatta agli ambienti più grandi della nuova chiesa, è oggi conservata in Sacrestia. Il Battesimo è una delle due opere presenti in mostra (l’altra è la Crocifissione di Tintoretto) che ha goduto di un recente restauro (1992) nell’ambito di Restituzioni, il programma di restauri curato e gestito da Intesa Sanpaolo.
Abbiamo pensato di svincolarci da una presentazione museale classica”, spiega Gianmatteo Caputo, “ponendo le opere a un metro e trenta di altezza da terra, cercando di non tradire le intenzioni dei pittori e di suggerire il rapporto originale che le tele avevano con l’assemblea dei fedeli e con l’officiante”.
All’originalità del percorso espositivo concorre non soltanto l’allestimento curato dall’architetta Loredana Iacopino, ma soprattutto l’illuminazione dinamica a led ideata da due notissimi architetti della luce come Francesco Iannone e Serena Tellini applicando il cosiddetto “Metodo Monza”, con l’obiettivo di mettere in relazione i colori e il sistema percettivo umano. Secondo Caputo, “è un’illuminazione emozionale che ci permette di cogliere meglio gli aspetti compositivi, coloristici, narrativi delle opere e anche di individuare dettagli iconografici altrimenti difficilmente leggibili”.
Come epilogo, la mostra rende omaggio ‒ con una citazione delle Nozze di Cana ‒ ai tre pittori che hanno sintetizzato al meglio la modernità dell’arte veneziana e sono stati poi ispiratori di tanti altri maestri, da Rubens a Velázquez. Nel dipinto, ora al Louvre a seguito delle spoliazioni napoleoniche del 1797, è lo stesso Paolo Veronese che, dipingendo il gruppo di suonatori ai piedi del tavolo ove siede Gesù, si autoritrae con ironia accanto proprio al Tintoretto e a Tiziano, il vecchio maestro che ha saputo indicare la strada ai due più giovani artisti.
Con questo gruppo di opere, realizzate nell’arco di pochi anni, proposte in questa mostra di singolare unità ‒ di luogo, tempo e azione liturgica”, sintetizza Giovanni Carlo Federico Villa, “giunge a definitiva espressione l’identità somma della pittura veneziana nel suo ‘secolo d’oro’”.

Dario Bragaglia

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Dario Bragaglia

Dario Bragaglia

Dario Bragaglia si è laureato con Gianni Rondolino in Storia e critica del cinema con una tesi sul rapporto fra Dashiell Hammett e Raymond Chandler e gli studios hollywoodiani. Dal 2000 al 2020 è stato Responsabile delle acquisizioni documentarie e…

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