Combattere gli abusi con il fumetto: intervista ad Anna Cercignano

Voce di riferimento del fumetto italiano, nota per le sue storie dedicate al tema della violenza di genere, Anna Cercignano è l'autrice ospite del nuovo numero di Artribune Magazine. Ecco il suo fumetto, inedito e femminista

Nata a Pisa nel 1984, Anna Cercignano ha fatto del fumetto uno strumento di espressione e di lotta contro le disuguaglianze. Protagonista dell’antologia Fai Rumore (il libro edito da Il Castoro che aiuta i più giovani a comprendere e ad affrontare il tema della violenza di genere), l’autrice è ospite del nuovo numero di Artribune Magazine.

Cosa significa per te essere fumettista?
Secondo il mio modo di viverla, essere fumettista è un punto di arrivo, un puzzle che è composto dalle tappe e dalle aspettative che ho verso me stessa, e quelle che secondo me hanno gli altri per potermi definire tale. Come essere scrittrici, essere fumettista è un’attitudine, che in alcuni casi si trasforma in lavoro. Purtroppo, come per molte attività di questo genere, lavorare col fumetto si trascina dietro le contraddizioni che le opere d’ingegno – destinate alla vendita – fanno emergere: libertà e genuinità contro tempistiche, mode e regole; ricerca e devozione al lavoro contro la scarsa retribuzione e molti altri cortocircuiti. Per me, essere fumettista è una costante guerra e pace con tutto questo, cercando allo stesso tempo di conservare la mia integrità psicofisica.

Oltre a scrivere e disegnare storie sei illustratrice, docente alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze e hai all’attivo importanti collaborazioni con riviste come La Revue Dessinée Italia e Linus. Mi aiuti a presentarti a chi non ti conosce?
Di sangue partenopeo, sono nata e cresciuta in provincia di Pisa e, dal 2016, emigrata in Francia. Il 2016 è stato anche l’anno in cui ho deciso di voler intraprendere questo mestiere, per cui ho canalizzato le mie risorse ed energie in questa direzione. Avevo alle spalle alcuni anni di lavoro come decoratrice d’interni e poi restauratrice di affreschi, ed è stata questa esperienza che ha riacceso la mia antica passione per il colore, più nello specifico per le matite colorate. Ho iniziato con la realizzazione di una serie di illustrazioni a tema erotico, partecipando a vari festival come autoproduzione vendendone le stampe. La serie d’illustrazioni ha innescato diverse commissioni, e da lì sono iniziate le prime collaborazioni come illustratrice. In questi ultimi anni sono diventata docente per la Scuola Internazionale di Comics di Firenze, per la quale insegno Tecnica di matite colorate e chiaroscuro.

Un ritratto di Anna Cercignano

Un ritratto di Anna Cercignano

FUMETTO E IMPEGNO CIVILE SECONDO ANNA CERCIGNANO

Che si tratti di fumetto o illustrazione, le tue opere sono sempre accomunate da un’attenzione particolare a temi sociali – dalla violenza di genere all’aborto alle disuguaglianze. Cosa ti interessa comunicare al lettore?
In realtà parlo spesso di queste tematiche mio malgrado. Vivo con un costante senso di colpa per il quale non riesco pienamente a beneficiare di qualcosa senza pensare a chi non ha la mia stessa fortuna. Non riesco a parlare di aborto senza pensare che molte donne non hanno diritto a farlo, non riesco a sopravvivere a qualcosa, senza pensare a chi invece non ha avuto scampo. Questo non mi rende meno egoista, ma mi fa porre delle domande alle quali spesso cerco risposta con il fumetto. Inoltre, vivere sulla propria pelle un certo tipo di esperienze può incattivire, oppure lasciare aperto il canale dell’empatia. Probabilmente, faccio parte di questa seconda categoria. Poi, certamente, ci sono alcune cose sulle quali a quarant’anni si prende posizione. Vorrei che chi legge si facesse delle domande sui temi che tratto, andando al di là del giudizio facile, del pensiero più comodo.

Più nello specifico, quanto credi sia importante dare un nome, e nel tuo caso anche una forma, a problemi sociali altrimenti sottaciuti?
Credo che sia importante, innanzitutto, prendere coscienza del fatto che spesso non siamo sol* a vivere certe sensazioni, alcune esperienze o ad avere certi disturbi. Nel momento che capiamo che altr* vivono cose molto simili, allora non si possono più fare giri di parole: le cose dovrebbero necessariamente acquisire un nome, devono poter essere identificate. Questo processo però andrebbe fatto con la consapevolezza che le cose mutano e che non conosciamo ancora tutto, altrimenti si rischia di fare sempre lo stesso errore: incasellare forzatamente i concetti dentro uno schema inadatto, oppure fingere che non esistano. Il fatto che molti tipi di molestia o abuso non venissero identificati fino a poco tempo fa, è una delle vergogne della società machista nella quale viviamo. Anche dare la forma è importante, come nel caso del dibattito sugli asterischi e sulla schwa: trovo giustissimo che si debba creare un linguaggio inclusivo, ma pensare che basti cambiare una vocale, senza preoccuparsi di come coniugare per integrare la parola nella frase, poggia questa regola su sabbia mobile e diventa impraticabile per la maggior parte delle persone.

Il fumetto di Anna Cercignano per Artribune Magazine #70

Il fumetto di Anna Cercignano per Artribune Magazine #70

IL FUMETTO COME STRUMENTO EDUCATIVO

Quanto può essere utile a tal riguardo il fumetto, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni?
Sinceramente non credo che il fumetto sia un mezzo più efficace di un altro per affrontare alcune tematiche, perché ogni materia può essere spunto di riflessione, di aiuto e scoperta, se presentata nella giusta maniera. Diciamo che sarebbe stato un peccato se ci fossimo accontentati di relegare il fumetto a Topolino per i bambini, o a Tex per i collezionisti. Io credo che sia stata l’apertura dell’ultimo ventennio verso nuovi generi, temi e stili a offrire la possibilità al fumetto di diventare qualcosa capace di parlare alle persone tutte, come la musica e i romanzi. Ma la chiave del dialogo resta l’accesso alla letteratura per tutt*, altrimenti non c’è fumetto o romanzo che tenga. Posso dire che per me, da ragazza, il fumetto è stato di aiuto e di stimolo, quindi, banalmente, mi auguro che lo sia anche per una parte de* giovani di oggi.

A proposito, una delle tue ultime storie (dal titolo Un viso da bambino) è stata inclusa nel 2022 nell’antologia Fai Rumore: un libro che aiuta i più giovani a comprendere e ad affrontare “ad alta voce” il tema della violenza di genere.
Sì, la mia storia apre l’antologia e sono orgogliosa di poter fare parte di questo progetto del collettivo Moleste per la casa editrice Il Castoro. Un viso da bambino parla di come Elisa, una ragazzina di dodici anni vittima di slut-shaming, decida di sopravvivere alla pressione che questo tipo di abusi comporta. E tra l’altro, a darle la forza sono proprio i fumetti. La stesura e la realizzazione della storia sono state dolorose, perché si tratta di un racconto autobiografico che mai avrei pensato potesse finire su carta. Ma quando il collettivo mi ha contattata, ho sentito che era il momento di mettere la mia esperienza al servizio di qualcosa che potesse andare oltre me: parlare alle bambine, agli adulti di domani, fornire uno strumento per fare rete e aiutare a rompere i tabù intorno alle molestie.
Dentro l’antologia ci sono nove storie che affrontano diversi tipi di molestia, ed è difficile non riconoscersi in almeno una storia. Un campanello di allarme, che dovrebbe fare capire la vastità del problema.

Il fumetto di Anna Cercignano per Artribune Magazine #70

Il fumetto di Anna Cercignano per Artribune Magazine #70

LO STATO DI SALUTE DEL FUMETTO IN ITALIA

Da anni vivi a Tolosa. Ricordo che in uno dei tuoi ultimi post su Facebook sottolineavi il diverso trattamento riservato ai fumettisti durante i festival nel nostro Paese e all’estero. Mi aiuti a comprendere lo stato di salute del fumetto in Italia, i passi che sono stati fatti in avanti, e quelli che ancora ci separano da una realtà come la Francia, modello in questo settore?
In Francia esiste la carta degli illustratori che fornisce alcuni strumenti, come le tariffe consigliate per alcune prestazioni, tra le quali, appunto, partecipare a una giornata di dediche in fiera. Per i e le fumettist* però, la carta viene usata come riferimento, ma sono una categoria che sta ancora lottando, tramite sindacato, per far sì che questi compensi siano la norma e non un’eccezione. Io ho esordito in Francia come illustratrice, ma non ancora come fumettista, per cui non ho un’esperienza tale da poter risponderti in modo esaustivo. Quello che però posso già confermare è che il mestiere di fumettista è riconosciuto sotto lo statuto di artista-autore, che esistono sindacati de* fumettist* e che il trattamento economico è spesso più felice di quello italiano, oltre al fatto che esiste il centro nazionale e regionale del libro e altri enti che ogni anno mettono a disposizione dei finanziamenti per la creazione di albi illustrati e a fumetti, residenze e altre iniziative volte ad agevolare la creazione artistica. Questo non vuol dire che qualcuno verrà a cercarti per offrirti lavoro, ma si percepisce che una crescita professionale è possibile.

E qui da noi?
In Italia il fumetto è un settore in espansione, ma che campa ancora sul lavoro gratuito o poco retribuito della maggior parte de* fumettist*. A oggi, ogni città ha una scuola di fumetto e illustrazione, ma nel frattempo non c’è stata una nobilitazione altrettanto importante del mestiere del fumettista. La cosa da fare, anche qui, è fare rete, affinché esigere dei trattamenti più equi diventi la norma. Durante la pandemia si è creato un dibattito sul tema, grazie al quale è nato il Mefu, un’associazione a tutela de* fumettist* che sta riuscendo a creare un dialogo con le istituzioni, oltre a fornire assistenza legale e informativa a chi fa questo mestiere. È un inizio.

Il fumetto che hai realizzato per Artribune si intitola Nata femmina. Di cosa parla?
Mi colpirono le parole di Gino Strada, quando disse che per capire l’immigrazione basta prendere l’immagine di un migrante su un barcone e appiccicarci la foto della faccia del proprio figlio. Quindi ho disegnato le due bambine ispirandomi a mia figlia. Ho preso il viso di mia figlia e l’ho fatta nascere su un barcone e poi di nuovo, e l’ho fatta scappare da una guerra. Le bambine hanno parlato da sole, e così è comparsa questa storia, Nata femmina.
Durante la lavorazione ho avuto paura di fare un discorso esclusivo per altre categorie, ma questo non toglie che, ovunque io mi giri, per la strada, sui social, nella vita, ho la conferma che essere nate femmine apporti dei problemi e dei pericoli. È certo che la vita è difficile anche per gli uomini ma, purtroppo, chi perde il proprio tempo a dire “io sono diverso”, senza prendere posizione a favore della rivoluzione transfemminista, sta solamente ostacolando una riforma urgente e necessaria.
Ho usato pastelli a cera e matite, cercando di preservare immagini istintive e poco lavorate, perché anche io volevo sapere cosa queste due bambine avessero da dire.

Alex Urso

https://www.annacercignano.com/

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Alex Urso

Alex Urso

Artista e curatore. Diplomato in Pittura (Accademia di Belle Arti di Brera). Laureato in Lettere Moderne (Università di Macerata, Università di Bologna). Corsi di perfezionamento in Arts and Heritage Management (Università Bocconi) e Arts and Culture Strategy (Università della Pennsylvania).…

Scopri di più