L’arte di Luba
Tappa a Donestk, in Ucraina, per incontrare Luba Michailova, anima e cuore della Fondazione Izolyatsia, protagonista di un progetto quinquennale, in collaborazione con la Galleria Continua, intitolato Where is the time? Con lei ripercorriamo la sua storia e quella di una fondazione che ha solo due anni di vita, ma identità e progetti già molto chiari.
Come è nato il tuo interesse per l’arte? Sei una collezionista?
Sono sempre stata interessata all’arte, anche se nella società in cui sono cresciuta non c’era una grande possibilità di aggiornamento. Questo territorio, come sai, ha una grande tradizione industriale. Tutto era connesso all’economia del carbone e dell’acciaio, come ad Essen, nella Ruhr, a Sheffield. Sì, c’erano dei libri, ma riguardavano soprattutto i classici. Come tutti i bambini collezionavo francobolli. Mio padre viaggiava moltissimo e me ne portava da tutto il mondo. Quando incappavo in quelli che raffiguravano automobili facevo ottimi scambi con i maschietti, chiedendo loro quelli che rappresentavano opere o musei, come il Prado. Avevo una splendida collezione di francobolli con le opere d’arte! Conoscevamo molto bene l’arte classica e il realismo socialista perchè tutte le industrie, le scuole e gli uffici ospitavano al loro interno opere di quel tipo, prima del crollo del Muro. Gli artisti erano membri dell’Art Union e avevano tra i loro compiti quello di intervenire negli spazi industriali. Quando tutto è cambiato ho cominciato, ad esempio, a collezionare quest’arte, che adoravo, fino a raggiungere una splendida collezione di opere provenienti da quei contesti, dagli anni Cinquanta fino agli Ottanta. Ho iniziato, inoltre, (Luba è una grande imprenditrice, n.d.r.) grazie al mio lavoro, a viaggiare moltissimo, con mia figlia spesso, approfittando di queste occasioni per visitare musei e gallerie d’arte. Successivamente, una mia amica di Kiev, professore di estetica all’Accademia d’arte, mi ha invitato a dare vita insieme a lei a dei programmi per incoraggiare gli studenti a sviluppare dei progetti d’arte contemporanea. Visitavo sempre più mostre, grandi appuntamenti internazionali d’arte contemporanea, come l’Armory Show e coltivavo la mia passione.
E cosa hai scoperto?
Che amavo le opere in cui l’arte usciva fuori dai luoghi deputati, dai musei, andando a instaurare un legame più diretto con il pubblico, parlando con le persone, incoraggiando la partecipazione. L’artista che maggiormente mi ha ispirata, in questo senso, è Chen Zhen. Tornando dai miei viaggi in Ucraina ho capito che era importante adoperarmi per offrire alla mia città un luogo di formazione e promozione culturale. In tal senso mi ha colpito moltissimo ciò che Essen ha fatto trasformando la Zollverein Coal Mine (un luogo mozzafiato, peraltro sotto la tutela dell’Unesco) in un meraviglioso centro culturale e creativo che ha realmente modificato la società, anche prima che la Ruhr diventasse Capitale Europea della Cultura.
Finalmente poi, due anni fa, inauguri Izolyatsia. Quale è stata la reazione del pubblico?
Non male, direi. Bisogna partire dal contesto, che è difficile e non edotto all’arte contemporanea. Un luogo che ha vissuto un momento di grandi trasformazioni sociali ed economiche. Qui c’è solo una galleria d’arte, che vende paesaggi all’italiana. È stata mia figlia Victoria che a un certo punto mi ha detto: “mamma, perché non fai qualcosa?”, proponendomi l’idea di collocare la fondazione nella fabbrica di cui mio padre è stato per oltre trent’anni il direttore, a quel tempo ferma. Mio padre è tra le persone più importanti della mia vita, un vero esempio per me. Quando gli ho proposto di far diventare la sua fabbrica un centro di produzione culturale, dandogli una vita nuova e produttiva, l’idea gli è piaciuta e l’ha appoggiata.
La fondazione esiste solo grazie ai vostri sforzi?
Il nome Izolyatsia ha due significati. Uno è “protetto”, l’altro è “isolato” (la fabbrica in cui trova sede produceva materiali isolanti, n.d.r.). Il nostro impegno è quello di costruire una realtà che rispetti la storia del territorio in cui ci troviamo, ma che allo stesso tempo offra le possibilità laboratoriali di un progetto creativo e indipendente. Ed è ciò che ad esempio avviene con il progetto di residenze Medpunkt, con il quale diamo voce alla scena artistica locale, o con i programmi di formazione dedicati a tutti coloro che vogliano avvincinarsi all’arte. Ho avuto modo di studiare molti esempi di fondazione. Per questo ho deciso di rifarmi al modello americano, ma anche a case history europee, soprattutto francesi, se parliamo di sviluppo di progetti artistici. Negli Stati Uniti c’è un rapporto molto stretto tra comunità e cittadino. Quest’ultimo, se può, ha la responsabilità di contribuire allo sviluppo sociale, economico e culturale.
A questo proposito, ti stai adoperando per incoraggiare la creazione di un network di sostenitori dell’arte contemporanea?
È molto difficile creare ex novo una tradizione filantropica, in tal senso.
Come è nata invece la collaborazione con la Galleria Continua e l’idea di costruire un progetto come What is the time?
Ci siamo conosciuti in occasione di una mostra bellissima dedicata a Chen Zhen, che come ti ho già detto, amo moltissimo. Successivamente ci siamo rivisti più volte, anche durante la Biennale di Venezia. Poi a novembre Lorenzo Fiaschi e Maurizio Rigilio sono venuti a trovarmi, hanno conosciuto mio padre, la mia famiglia, e l’energia che si è creata è stata meravigliosa. A dicembre ci siamo rivisti a Miami e abbiamo deciso di suggellare questa collaborazione, che risponde pienamente alla mission di Isolyatsia di stringere collaborazioni internazionali con realtà che condividono la nostra progettualità e che si sono già confrontate con la proposta di una riconversione virtuosa delle aree industriali.
Santa Nastro
www.izolyatsia.org/en/foundation
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