L’arte contemporanea è vecchia e ha paura del nuovo
Molti artisti contemporanei tendono a “doppiare” le opere poveriste, minimaliste e concettuali, restando intrappolati negli Anni Sessanta e Settanta. Per quale motivo? Perché il nuovo è scomodo. E spaventa
E, chiaramente, l’artista fighetto è conservatore, oltre che dal punto di vista politico-sociale, anche da quello formale, del linguaggio.
Generalmente, i “gusci” delle opere sono ‒ da circa vent’anni – gli stessi inventati dagli artisti trentenni cinquant’anni fa. Dunque, l’aspetto generale dell’opera è poverista, postminimalista, postconcettuale. Questi gusci sono stati accuratamente svuotati dagli intenti e dalle intenzioni iniziali – e non vogliono dire nulla, letteralmente, a parte se stessi. Perché è avvenuto questo?
(Se ci pensiamo, è un po’ come se negli Anni Dieci del Novecento – invece di generare l’esplosione creativa delle avanguardie – gli artisti europei si fossero dedicati per un quindicennio abbondante a “rifare” i quadri impressionisti e postimpressionisti, con minime variazioni.)
Credo che il motivo principale di questo fenomeno sia dovuto al fatto che i ‘decisori’, i gatekeepers del mondo e del sistema dell’arte nazionale e internazionale degli ultimi decenni (artisti, curatori, direttori di musei, direttori di riviste, critici, giornalisti, collezionisti, ecc.) appartengono in buona parte precisamente a quella generazione emersa tra seconda metà degli Anni Sessanta e primi Anni Settanta.
ARTE CONTEMPORANEA E PASSATO
I “giovani” artisti (che in molti casi giovani non sono più) si sono quindi comodamente adeguati e adattati al gusto espresso da quella generazione, alle scelte e alle preferenze cioè della gerontocrazia, rinunciando nella maggior parte dei casi – consapevolmente o inconsapevolmente – a elaborare e sviluppare un linguaggio del tutto proprio, autonomo, anche disturbante e in conflitto con quello poverista/minimalista/concettuale.
Ciò ha ovviamente molto a che vedere con la difficoltà di ottenere (e riconoscere, e percepire) il ‘nuovo’ nella produzione artistica e culturale in epoca postmoderna – oltre che con l’ambiguità maturata dall’aggettivo “contemporanea” del lemma “arte contemporanea” nel corso dell’ultimo mezzo secolo. Ambiguità che consiste di fatto nell’aver distaccato l’essere-contemporanea dell’arte dal tempo che viviamo e che ci attraversa, e nell’averlo invece identificato quasi totalmente con un contemporaneo-ideale, isolato, racchiuso e rinchiuso nelle stanze dei musei e di parecchie gallerie, un contemporaneo fatto di white cube e installazioni e performance e appunto opere concettuali-poveriste-postminimaliste-annisessantasettanta, un contemporaneo in bianco e nero per così dire.
GLI ARTISTI CONTEMPORANEI E IL NUOVO
Un presente/passato, un presente perciò scartato, sfasato, quasi alternativo rispetto a quello quotidiano e in continua evoluzione (anzi, oggi possiamo ben dire in tumulto): “Quando ho scritto Ubik ho costruito un mondo (universo) che differiva dal nostro in un solo aspetto: gli mancava la forza motrice in avanti del tempo. Che il tempo nel nostro reale universo potrebbe indebolirsi, o addirittura scomparire del tutto, non mi è passato per la mente poiché a quel punto non concepivo per nulla il tempo come una forza… Adesso credo che il tempo, a questo punto dell’espansione dell’universo (o per qualche altra ragione), abbia davvero cominciato a indebolirsi, almeno in relazione a certi altri campi” (Philip K. Dick, 1974-1976. Raccoglitore 4 [4:1], ne L’Esegesi, a cura di Pamela Jackson e Jonathan Lethem, Fanucci Editore 2015, p. 37).
Inoltre, come abbiamo detto, l’artista fighetto/a, essendo strutturalmente un conservatore, non è che sia proprio portato al nuovo, a desiderare di creare un’opera autenticamente nuova… (Ho anzi il sospetto che se anche gli/le capitasse, magari per sbaglio, forse ci rimarrebbe anche un po’ male: perché l’opera nuova tende a essere un problema, a essere ingestibile e di difficile fruizione – per non parlare della sua comunicazione.)
((L’opera nuova, infatti, non comunica, non è instagrammabile, non è likeable, non è piacevole, non è accattivante. È invece molto scomoda.))
Christian Caliandro
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