“Donna, Vita, Libertà”. La storia del motto che accompagna le proteste in Medio Oriente

In tre parole, che affondano le radici nella storia, sono racchiusi i principi delle proteste in difesa dei diritti delle donne. Proteste che dall’Iran si sono allargate al mondo intero

Un motto ripetuto nelle piazze, sui social media, in televisione, alla radio, sui giornali, nelle canzoni e nei discorsi dei giovani, soprattutto delle giovani. Jin, Jîyan, Azadî, ovvero Donna, Vita, Libertà: è il motto che oggi si sente ripetere maggiormente nelle piazze di tutto il Medio Oriente. Non si riferisce però solo alla libertà della donna, ma piuttosto alla libertà di un’intera società. Sono le nuove generazioni a manifestare contro le vecchie o meglio, contro le vecchie idee della società, della famiglia e della patria.
La scrittrice libanese Najwa Barakat, in un articolo pubblicato su Al-Araby al-Jadeed, esprime il pensiero tipico e attuale di una ventenne: “Ho vent’anni. Il mondo intero non può aiutarmi, quindi come posso vivere in una gabbia di vetro? Voglio allargare i miei rami, estendere le mie radici, respirare largamente quanto i miei polmoni. I miei occhi più li chiudevo, più sognavo ed essi vedevano sempre più lontano. Niente al mondo può fermarmi. Sono un torrente impetuoso, un vulcano ruggente, un’energia esplosiva a cui nessun corpo, legge o autorità può impedire di crescere”. È questa la visione delle giovani donne del Medio Oriente e del mondo in cui vivono.

LA QUESTIONE DELLA MISOGINIA

Ma le manifestazioni delle donne, come le conosciamo oggi, non risalgono solo ai nostri giorni, infatti è ormai dall’inizio del nuovo millennio che le strade delle città cantano l’eco della libertà. Da Tunisi a Kabul, da Beirut a Teheran, da Diyarbakir a Baghdad, da Aleppo a Sana’a. Su BBC Arabic, la giornalista e femminista palestinese Asma Al Ghul, che vive oggi a Parigi, così scrive riguardo alla situazione delle donne: “La giustificazione sempre utilizzata per criticare le donne guarda alla protezione dei valori della società e delle nuove generazioni. È chiara l’idea della paura del corpo femminile, in quanto fonte di seduzione, un’idea che si estende in profondità nei racconti storici poiché la donna è la causa della sofferenza umana, da quando sedusse Adamo nel mangiare la mela e nel cadere dal cielo sulla terra”.

Per molti questo slogan è andato ben oltre le sue origini, trovando quindi una nuova identità globale nella lotta delle donne per la propria dignità

Misoginia è il termine che indica un atteggiamento di avversione o repulsione per la donna, e quindi più in generale l’odio per le donne e i loro comportamenti; risale alla storia antica come il termine greco “ginecofobia”, che indica proprio la fobia delle donne. A dire la verità entrambi i termini portano con sé il concetto di paura, quella paura di una mente umana maschile in grado di definire leggi, regole e tradizioni contro l’essere che considera inferiore, incapace o perfino posseduto da un demone.

LE ORIGINI DEL MOTTO JIN, JÎYAN, AZADÎ

Jin, Jîyan, Azadî (donna, vita, libertà) è il motto che nasce nei quaderni delle donne curde. Nella rivoluzione contro il governo centrale di Baghdad negli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, era infatti già presente un pensiero simile: Jîn, Jîyan, Azadî (vivere, vita, libertà). Il motto attuale si ispira alla lotta delle donne curde in Turchia contro l’oppressione statale e il patriarcato, sottolineando l’importanza del ruolo centrale delle donne per creare una società libera. In Siria, le donne curde sono state in prima linea nella lotta contro l’ISIS e questo slogan è stato ampiamente anche da loro utilizzato, fino a divenire un simbolo della lotta di tutte le donne, non solo quelle curde. Tuttavia, lo slogan trova le sue radici proprio nella letteratura curda come ad esempio nei racconti Siyabend û Xecê, Derwêş û Adulê e Zembîlfiroş o nella classica storia d’amore Mem û Zîn (scritta da Ehmedê Xanî nel Seicento e considerata l’epopea della letteratura curda) in cui Zîn ‒ sorella del principe ‒ sfida la famiglia perché si innamora di Mem, giovanotto dalla mente brillante, ma di umile estrazione sociale.
Oggi, i manifestanti e gli attivisti solidali con le donne iraniane scandiscono nelle piazze e nelle strade di tutto il mondo proprio questo slogan, senza tuttavia appartenere a un gruppo politico specifico. Per molti, infatti, questo slogan è andato ben oltre le sue origini, trovando quindi una nuova identità globale nella lotta delle donne per la propria dignità. Ciò conferma che gli slogan viaggiano come le idee, si adattano all’ambiente e possono anche mutare il proprio significato originario, ma l’obiettivo resta il medesimo: una società libera, per tutti.

Le proteste in Iran. Courtesy Triennale Milano

Le proteste in Iran. Courtesy Triennale Milano

DONNE IN LOTTA

Nella lotta delle donne iraniane va ricordato un episodio significativo. La società che manifesta oggi ha dimostrato la propria solidarietà a una donna curda, Mahsa Amini, e ha seguito un movimento nato nell’area occidentale del Paese, il Kurdistan. Si sono così rotti i vecchi schemi, quelli che dipingevano i curdi come separatisti o come uno strumento mosso dall’estero, un gesto che ha pochi precedenti nel Medio Oriente, ma che dimostra anche la laicità della società civile iraniana. Jin, Jîyan, Azadî vivrà ancora a lungo, ma per sostenere questo movimento bisogna comprenderlo nel profondo come un pieno diritto e un valore che va al di là della nostra stessa ideologia politica, sociale o religiosa.
Oggi, tra le tante donne che lottano per i diritti femminili nel mondo, due sono divenute veri e propri simboli, vittime a loro volta di quelle stesse società in cui sono nate e cresciute: Malala Yousafzai e Nadia Murad. Due donne che hanno pagato sulla propria pelle crudeli atrocità e che sfoderano un coraggio grande quanto il mondo. Portano con sé il messaggio di donne libere, in lotta per l’uguaglianza e per il diritto di vivere liberamente.
In memoria di Mahsa Amini si possono citare le parole del poeta curdo Cano Şakir espresse per un’altra donna che ha perso la vita contro l’ISIS: “Negli orizzonti del mio paese sei diventata un arcobaleno sacro per le donne del mondo. Nella pianura spezzata, il vento tenero dei tuoi capelli ha fatto scorrere fonti e fiumi”.

Ghiath Rammo

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Ghiath Rammo

Ghiath Rammo

Archeologo orientalista, laureato in Archeologia presso l’Università di Aleppo (Siria). Tra il 2004 e il 2010 ha partecipato agli scavi dell’antica città di Ebla (Siria) come membro della Missione Archeologica Italiana in Siria. Ha maturato esperienza in campo turistico ad…

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