L’esperienza della galleria neon di Bologna raccontata dall’artista Pino Boresta
Spazio non convenzionale per eccellenza, la galleria neon di Bologna è protagonista della mostra andata in scena di recente al MAMbo e del volume che la accompagna. Fra le voci c’è anche quella di Pino Boresta
“Sto tirando fuori troppe storie alla volta perché quello che voglio è che intorno al racconto si senta una saturazione d’altre storie che potrei raccontare e forse racconterò o chissà non abbia già raccontato in altra occasione, uno spazio pieno di storie che forse non è altro che il tempo della mia vita, in cui ci si può muovere in tutte le direzioni come nello spazio trovando sempre storie che per raccontarle bisognerebbe prima raccontarne delle altre, cosicché partendo da un qualsiasi momento o luogo s’incontra la stessa densità di materiale da raccontare”. (Italo Calvino)
Ciao Gino,
come al solito mi ha fatto molto piacere incontrarti alla fiera di Roma “ArtO”. Peccato che tu non abbia avuto modo di partecipare all’incontro (talk) dal titolo Why not me to the Venice Biennial? da me curato venerdì il primo giorno della fiera. Ti aspettavo poi allo stand di Juliet per farti vedere una cosa e fare due chiacchiere, sarà per un’altra volta.
Ti invio altre figurine per l’Album di Oreste Uno, sperando di farti piacere.
Un saluto
aprile 2009
Questa la settima lettera inviata a Gino Gianuizzi che accompagnava l’invio di nuove figurine del mio progetto Album Oreste Uno a compilazione dell’album inviatogli con la prima spedizione. Come si vede, ogni lettera era introdotta da una appropriata citazione da me scelta con cura. Un mio nuovo atto relazionale intrapreso dove il tempo è al centro dell’azione, nel tentativo di colmare distanze e cercare di entrare in relazione con l’altro sempre di più. Questa volta impiegando un rituale lento, che adopera la parola scritta come grimaldello per scardinare e quindi scandagliare coscienze, utilizzando materiali e sistemi di comunicazione e spedizione in via di estinzione come la cara vecchia carta, la cara vecchia lettera e la cara vecchia posta, con tanto di caro vecchio francobollo. Questa, che potrebbe essere equiparata a un’operazione della gloriosa Mail Art di un tempo, si è svolta in un arco di tempo di quasi 10 anni che vanno dall’aprile 2007 all’ottobre 2016. Sono stati circa una ventina i destinatari di queste spedizioni, prevalentemente fondazioni e galleristi e, visto che la classe non è acqua, mi fa piacere qui citare coloro che hanno risposto, ringraziando: Patrizia Sandretto Rebaudengo, Fondazione Prada, Fondazione François Pinault, Alessandro Pasotti della galleria P420. Azione operativa poi interrotta anche a causa delle grosse difficoltà finanziarie nelle quali sono incorso nel 2017. Quasi impossibilitato a comprare perfino i francobolli per continuare le spedizioni, ho deciso di concentrarmi sul progetto SOS-Boresta e crowdfunding correlato.
IL LIBRO NO NEON NO CRY
Mentre ero in viaggio per raggiungere il MAMbo di Bologna, dove ero stato invitato a partecipare alla presentazione del volume No, Neon, No Cry, cercavo di pensare a cosa avrei potuto dire, o meglio aggiungere a quello che già avevo scritto all’interno del libro. Niente di quello che mi veniva in mente mi soddisfaceva, quando improvvisamente, come lo scoppio di un fuoco d’artificio, mi arriva all’orecchio: “Cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente”.
Il magnifico Franco Battiato di cui stava passando in radio la nota canzone era giunto in mio soccorso. Pertanto, decido che avrei iniziato il mio intervento proprio così: citando la famosissima strofa della canzone, raccontando come mi fosse sopraggiunta, e spiegando che io in realtà credo che si possa e si debba cambiare idea, anzi qualcuno sostiene che è sintomo di intelligenza. Io nel corso della mia vita ho imparato a non trarre mai giudizi avventati nei confronti delle persone e spesso ho avuto ragione. Chi incontra Gino per la prima volta può trovare il suo comportamento quello di uno snob, in alcuni casi, anche un po’ stronzo, ma poi ti accorgi ben presto che il suo atteggiamento è solo una forma di timidezza, che non è introversione, ma discrezione, riservatezza. Conoscendolo meglio ci si accorge che è una persona gentile, a volte squisita, ma soprattutto rispettosa degli altri. Gino mi fa pensare a quei pescatori che sanno dove trovare i pesci migliori, ma usano reti con maglie troppo larghe e spesso i pesci migliori fuggono via. Questo perché non è mai stato un pescatore, o meglio un gallerista nel vero e proprio senso del termine, ma più che altro un operatore culturale che ama l’arte, e lungi da lui l’idea di costringere gli artisti a rimanere legati alla sua galleria con qualche sorta di contratto. Non ha mai avuto quella che viene chiamata, con un brutto termine, “scuderia di artisti”, ma artisti che erano anche amici. Ecco cosa dice in un’intervista: “Gli artisti in mostra erano scelti sulla base di relazioni personali, di incontri (…)”. “Ho sempre amato tutto quello che succede prima del momento dell’inaugurazione”. Forse il carattere di Gino non è il migliore per divenire gallerista di successo, ma una cosa è certa, ha fatto comunque la storia dell’arte senza entrare nel grande giro, intendo dire quello dove circolano tanti soldi. Ma ho motivo di credere che non sia mai stato questo quello che desiderava, ma piuttosto una tranquillità economica e finanziaria che gli permettesse di poter continuare la sua attività promuovendo sempre nuovi artisti e diverse realtà artistiche. Ecco quello che dice sempre lui: “In effetti il riferimento era (…) un’attitudine situazionista. Stare dentro il sistema per inserire elementi di disturbo, senza rispettare le regole. Inutile dire che fosse una posizione perdente”. Chi avrà la possibilità di leggere il volume si accorgerà ben presto che grazie al generoso contributo, di coloro* che hanno accettato di donare una testimonianza scritta (come ha fatto il sottoscritto, e che riporto al termine di questa forse un po’ lunga ma necessaria introduzione), quello che ne è venuto fuori con questa pubblicazione non è certamente una celebrazione, ma neanche una anti-celebrazione della galleria Neon e della figura del Gianuizzi, ma piuttosto un libro atipicamente celebrativo, una raccolta di pensieri e ricordi nudi e crudi, senza fronzoli e senza sconti. Il mio pensiero va, però, anche a tutti coloro che potevano lasciare un contributo ma si sono rifiutati o più semplicemente non lo hanno fatto, perché questo mi fa riflettere su quanto ancora vi sia da dire, scoprire e raccontare riguardo a questa lunga esperienza artistica che ha sicuramente influenzato il mondo dell’arte della Pianura Padana in primis, ma anche il resto del territorio della penisola.
Riporto qui, citando l’autore, alcuni brevi passi del volume che possono risultare indicativi proprio per capire meglio quello che fin qui è stato detto:
Elena Bordignon:
“Gino era più interessato a sapere chi fossi, che quello che ero in grado di fare”.
“L’amicizia che ha governato la maggior parte delle relazioni tra Gino e gli artisti ha per molti versi ostacolato e, al tempo stesso, potenziato l’esistenza della NEON nel suo complesso”.
Serena Carbone:
“Neon oggi sarebbe probabilmente considerato un artist run space o uno spazio indipendente, non aveva nessuno dietro che lo sostenesse, tanto che la questione economica è stata fondamentale per la sopravvivenza. Oggi, invece, molti di questi spazi appena gratti la superficie indipendenti non sono, ci sono collezionisti che finanziano”.
Letizia Ragaglia:
“Le realtà citate erano tutte in fervore, stimolanti e soprattutto sperimentali. Si respirava l’esigenza di evitare qualsiasi dogmatismo, di emanciparsi da movimenti come l’Arte Povera e la Transavanguardia che avevano monopolizzato la scelta italiana nel decennio precedente. C’era una curiosità verso le cose del mondo”.
Francesco Voltolina:
“Neon era non solo luogo fisico, ma uno spazio mentale vivo e dinamico, a cui contribuivano apporti di volta in volta diversi è sempre in perenne mutamento. Una dimensione assolutamente unica determinata dalla natura sobria ma acuta ed attenta di Gino, capace di cogliere, anche solo sul nascere, il lavoro di molti artisti che si sarebbero rivelati nel tempo tra i più significativi nella scena italiana”.
“Per me Neon non è stato solo un generatore di relazioni, ma anche un acceleratore o facilitatore di quei processi che portano il lavoro a potersi manifestare nel modo più autentico”.
Paolo Zani:
“Gino Gianuizzi coltivava di là un analogo interesse per l’umano attraverso esperienze artistiche apparentemente più aggregative. Lasciare spazio ad una sorta di casualità relazionale, auspicandola e creando le premesse affinché qualcosa prendesse forma mi pare una delle caratteristiche fondamentali del progetto”.
PINO BORESTA SU NO, NEON, NO CRY
Questo qui di seguito è invece il mio contributo per il volume No, Neon, No Cry: progetto di Gino Gianuizzi, ricerche di Eleonora Mariani, grafica di Matteo Lisanti, pubblicato dal MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna.
Mi ha fatto molto piacere quando Gino, con un’e-mail inviatomi il 6 aprile 2021 alle 15:43, mi ha invitato a scrivere un elaborato, o meglio un contributo testuale, come artista che ha incrociato sul suo percorso la “neon” in previsione della pubblicazione di un libro, il cui intento è quello di costruire un racconto corale della storia della sua galleria. Subito dopo sono caduto nel panico perché i miei articoli (che ho scritto ai miei esordi su Artel, poi per 10 anni su Juliet e ultimamente su Artribune) sono sempre elaborati sull’onda di emozioni e riflessioni repentine, invece in questo caso era quasi come se mi venisse commissionato un testo su qualcosa di cui io non ricordavo di essermi mai appuntato nulla, né nei 10.000 foglietti sparsi per casa e studio né sulle mie ormai famose agende di appunti e racconti. Inoltre, nonostante la stima reciproca tra me e Gino sia ultimamente cresciuta, in verità io non sono mai stato incluso nella programmazione di mostre ufficiali o eventi importanti all’interno della galleria, ho a mia memoria partecipato solo ad alcune attività di cui Gino, spesso insieme ad altri organizzatori, era il curatore. Per cui mi sono chiesto come potessi fare per riavvolgere il nastro della memoria riguardante i miei incontri con il Gianuizzi. Non volendo declinare l’invito per mancanza d’ispirazione e deludere così il mio amico, confesso che ho passato dei lunghi giorni di crisi, ma poi il quid anche questa volta è arrivato: consisteva nell’affidarmi alla corrispondenza via e-mail che, seppure non fitta, vi era comunque stata tra me e lui e la sua galleria.
Questo che riporto qui sotto è quello che ne è venuto fuori:
Io incomincio ad avvalermi della posta elettronica solo dal 1999. Fu una necessità dettata dal fatto di fare parte del gruppo organizzativo del Progetto Oreste, i cui componenti residenti in vari luoghi lungo tutto lo stivale, decisero di affidarsi ed utilizzare questo innovativo sistema di comunicazione veloce ed efficace per coordinarci e tenerci informati. Ricordo che aprii il mio primo account con l’aiuto della mia amica svizzera Carolina Bachmann, anche lei faceva parte di Oreste, ed è proprio in questi anni che conosco Gino Gianuizzi presentatomi da Anteo Radovan (orestiano della prima ora) in occasione della mia mostra Residui Corporei, una personale tenutasi alla Galleria il Graffio di Bologna nel 1998, o forse ho addirittura conosciuto Gino l’anno prima quando sempre nella stessa galleria insieme al gruppo dei “Il Gioco del senso e/o non senso” organizzammo la performance A.C.T. ‒ Assistenza Culturale Telefonica.
1 – Una delle prime e-mail che ho trovato è quella del mercoledì 19 dicembre 2007 alle ore 23:16, dove rispondo a Gino Gianuizzi, Cecilia Guida e Daria Filardo accettando il loro invito a partecipare a Fuori contesto, evento off di Artefiera di Bologna organizzato da neon>campobase. In quella stessa occasione invio pure la mia frase che doveva essere in un primo tempo questa: “Interrogare le zone grigie dell’esperienza, indagare la quotidianità, ascoltare il rumore di fondo, a me è servito”, ma che cambierò, in virtù anche della mia storia personale, nella più incisiva e significativa: “Grazie! Vi faremo sapere”. Frase che ha poi nelle varie tappe dell’evento riscosso un notevole successo, ritrovandomi spesso a firmare diversi di questi miei manifesti gialli a giovani studenti, e non solo, in diverse occasioni.
2 – Nello stesso periodo (per due anni dal 2007 al 2009) io stavo dando anima e corpo al mio progetto Firma Boresta. Una petizione a mio favore per essere invitato a furor di popolo alla 53esima Biennale di Venezia. A parer mio uno dei miei lavori di arte relazionale più interessanti. La petizione fu sottoscritta sia da Gino Gianuizzi che da Cecilia Guida (e altre 997 persone), e per questo compaiono nell’elenco dei firmatari in una serie di miei e-mail spamming, dove spiegavo l’intento della mia azione molto ben descritta in un testo inedito di Chiara Li Volti e da uno di Valeria Arnaldi pubblicato su il Giornale sabato 22 marzo 2008.
3 – Festival arte contemporanea di Faenza
Dopo questa prima partecipazione a un evento organizzato da Gino accadde che dopo un po’ di tempo inviai questa e-mail il giovedì 5 febbraio 2009 alle ore 11:45, ma la mia proposta non venne accolta:
Gentili Silvia Evangelisti, Pierluigi Sacco, Angela Vettese
A seguito della tematica da voi trattata al prossimo festival arte contemporanea di Faenza, se fosse possibile avrei il piacere di poter fare un intervento parlando della mia esperienza riguardo questo progetto/lavoro che ho portato avanti per circa due anni Firma Boresta, parlando dell’esperienza da me fatta, e cosa ho imparato e capito da questo avventuroso progetto.
Vi saluto e vi sarei grato se poteste farmi sapere qualcosa.
L’anno seguente provai nuovamente a partecipare al Festival arte contemporanea di Faenza scrivendo anche direttamente a uno degli organizzatori e citando l’asta di auto finanziamento Very late at night a favore della galleria neon>campobase nella quale avevo partecipato come artista donando a Gino uno dei miei lavori M.E.R.d.A. – Manifesti Elettorali Rettificati da Asporto, ma anche rivestendo il ruolo di battitore d’asta. Asta che purtroppo non andò benissimo. Chiaramente anche questa volta la mia proposta non venne accettata. Avvenne che io andai comunque al secondo Festival di Faenza, e non mi ricordo se in quell’occasione incontrai Gino Gianuizzi, ma misi in atto uno dei miei ArtBlitz più riusciti. Alcuni dei partecipanti di allora sostengono di ricordare vivamente la mia serie di raid con tanto di urlo, più dei vari incontri che si tennero.
4 – E arriviamo all’ultimo invito (oltre a questo per il libro chiaramente) di Gino a partecipare a un suo evento, che mi è arrivato questa volta via Facebook il 31 maggio 2015 alle ore 11:53, chiedendomi di contribuire con un mio di-segno a perdere (disegno o altro e diverso segno es. fotografia di piccole dimensioni max A4), per l’ultimo progetto di Casabianca di Anteo Radovan (curiosamente con lui abbiamo iniziato e con lui concludiamo questa lunga esamina dei miei rapporti ravvicinati del terzo tipo con Gino Gianuizzi) denominato Disseminazione.
Ho chiaramente aderito senza indugio, inviando una mia smorfia non manipolata applicata su un cartoncino celeste, che al termine della giornata espositiva è stato prelevato da un entusiasta Stefano Walter Pasquini, di cui Gino mi ha prontamente inviato foto con la mia opera taggandomi in un post di Facebook del 28 giugno 2015 alle ore 12:13.
E questo è tutto, o quasi.
Bisogna incominciare a comprendere che il valore espressivo e conoscitivo del sapere dell’artista dei nostri giorni, esattamente come stanno tentando di fare gli intellettuali di ogni disciplina e gli scienziati di ogni sorta, non si accontenta più di scoprire, rappresentare, rispecchiare o parlare del mondo abitato, ma vuole partecipare sempre più a costruire i mondi reali e di pensiero che abiteremo in futuro. Tutto questo perché anche gli artisti mediamente svagati sono più che mai consapevoli che nell’era di Internet le cose del mondo interagiscono in continuazione l’una con l’altra. Diventa così essenziale capire che ciascuna impronta che si lascia porta traccia, stato, profumo e puzza delle altre che abbiamo incontrato e magari calpestato, per cui quello che verrà creato diventa importante proprio in virtù di questo continuo scambio e sovrapposizione di informazioni. C’è un disegno dietro la nostra vita, anzi la nostra vita è un disegno, e se si riesce a essere funzionali a questo disegno, imparando a seguirlo affinché si compia, ho motivo di credere che si possa vivere meglio e più in sintonia con i propri desideri. Di conseguenza le nostre scelte risulterebbero probabilmente quelle giuste, perché abbiamo attivato un circuito virtuoso di azioni esatte che potrebbe portarci a un meritato successo, o a qualcosa che si avvicini molto a questo. È così che il disegno in procinto di essere terminato incomincia a mostrare la sua forma definitiva.
Io credo che la confusione che regna all’interno dell’arte contemporanea, e delle molteplici sfaccettate attività e manifestazioni di questa, sia dovuta alla mancanza di consapevolezza, da parte di molti addetti ai lavori, che non è possibile seguire le tracce di qualcosa di cui loro stessi, spesso, non conoscono la direzione, come se fossero alla ricerca disperata di inventare racconti di cui pretenderebbero di conoscere la direzione e il significato. Questo è compito e prerogativa degli artisti.
Ecco, tutto questo Gino lo ha capito, ma, ciò nonostante, quel disegno di cui parlo sopra Gino non è riuscito a completarlo, ma forse non lo ha neanche mai incominciato, bisogna capire a questo punto se il motivo è perché non gli sia mai interessato oppure non sappia disegnare.
Ho spesso avuto l’impressione che con la sua galleria neon non abbia mai ben compreso in che direzione andare e quali storie sposare fino in fondo, ho motivo di credere che nella sua mente vi sia sempre stata una lucida confusione che lo ha portato a frequentare artisti interessanti e a organizzare eventi apprezzati dai più, ma nonostante questo non è mai riuscito a fare quel salto che molti artisti a lui vicini hanno sempre auspicato, e che lui stesso auspicava, anche per conquistare una tranquillità finanziaria. Inutile oggi andare a cercare le colpe, ma i motivi forse qualcuno un giorno li analizzerà, e allora, forse, né verrà fuori un bel racconto, alla faccia di tutte quelle persone che mancando di umiltà non hanno la pazienza di accostarsi e disporsi ai fatti narrativi con la curiosità di coloro che gli eventi li vogliono capire, e non strumentalizzare per propri tornaconti personali, traendo conclusioni e giudizi affrettati che non renderebbero merito alle gesta di Gino Gianuizzi e della sua gloriosa galleria. Per questo spero che questi due libri gli rendano giustizia con un adeguato studio di ciò che è avvenuto alla sua galleria, a lui e intorno a lui. Perché io credo che dentro la storia di ogni persona, anche se marginalmente, possono essercene altre altrettanto interessanti, e forse questa volta il destino ha voluto che una di queste potesse essere la mia e quella di qualcun altro?
Pino Boresta
Gino Gianuizzi (a cura di) – No, Neon, No Cry
Edizioni mamBO, Bologna 2022
http://www.mambo-bologna.org/shop/pubblicazioni/
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